•Cristian•

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Percepisco una strana pressione, sento una voce ma non capisco cosa dice. Mi impegno e cerco di scandire le parole.
-Povera famiglia, guarda che angoletto divorato dal dolore, ha la sofferenza incisa sul volto-.
Spalanco velocemente gli occhi e vedo davanti a me una donna con una strana divisa di uno stupido colore rosa cipria , capisco.
I miei genitori mi hanno abbandonata, sono finita in un centro per persone depresse come avevano detto.
Una sensazione che non avevo mai provato prima mi invade, ansi mi travolge.
Come hanno potuto farmi una cosa del genere?
Rinchiudermi in un luogo a me sconosciuto senza neanche salutarmi.
Rabbia, odio e dispiacere acquistano più spazio all'interno della mia mente.
-Oh-. Gridacchia la donna.
-Sei sveglia tesoro, che piacere-. Pronuncia quella parola , "tesoro" con tanta semplicità e leggerezza che l'unica cosa a cui riesco a pensare e la voglia di vomitare.
-Io sono un infermiera, diciamo che ho anche studiato psicologia quindi sei hai bisogno di un supporto e lo psicologo non è conttattabile in quel preciso momento allora puoi confidarti con me, potrebbe solo farmi piacere-.
Fisso il pavimento, le mattonelle sono così strane, vi sono dei disegni di alcuni cavalieri, questo posto dev'essere veramente molto vecchio.
Seduta su una sedia riesco a vedere l'intera stanza, i soffitti sono alti e le porte consumate dall'età.
Le pareti rosse risaltano, che colore odioso.
Rosso, perché proprio questo ?
Giro leggermente la testa e noto un letto, forse meglio dire una branda anche essa ormai d'età.
-Come stai Serena?-.
-Male, malissimo, ansi non sto proprio.
Sa provo un dolore allucinante, che non riesco a far emergere, sta lì nel mio cuore , quando vuole lo ferma ma poi lo fa ribattere, infatti lo odio perché se volesse essermi utile per davvero farebbe smettere di battere il mio cuore una volta sola, lo lascerebbe dormire per sempre, lontano dai problemi e dalla tristezza.
Ma forse lei non può capire, no, lei proprio non mi capisce, io non sono come lei , io non sarò mai felice.
Non faccio l'infermiera in uno stupido centro di cura, non affronto piccoli problemi come i suoi-.
La guardo, sembra aspettare qualcosa.
-Ei serena, come stai?
Mi senti?-.
Cristo, l'ho fatto un'altra volta, sono rimasta in silenzio, ho provato a rispondere ma la voce non mi esce.
-Va bene, mi dirai domani come stai.
Tieni, i tuoi genitori mi hanno chiesto di consegnarti questa lettera prima di andarsene.
Leggila, per favore-.
Me la appoggia su una mano, la stringo delicatamente con le dita e accarezzo il foglio, così morbido.
La metto nella tasca dei pantaloni e proprio in quel istante mi accorgo di non aver più i miei vestiti.
Indosso una tuta di un tessuto molto leggero ed economico, il colore è grigio, per questo non mi dispiace.
Adoro il grigio e il nero, anche se sono gli unici che mia sorella odiava.
L'infermiera mi aiuta ad alzarmi, non mi gira la testa stranamente.
-Adesso visto che sono quasi le otto e tra poco è l'ora di cena ti accompagno in mensa-.
Continua a parlare ma non capisce che l'unica cosa che vorrei fare è rimanere qui, ferma e sola.
Cerco di resistere ma mi tira per il polso e non ho abbastanza forze quindi mi lascio trascinare per il corridoio.
-Quella in cui eravamo è la tua stanza, ricordati che è la numero 50-.
Il corridoio è deserto, non c'è l'ombra di nessun altro.
Cerco di camminare il più possibile senza cadere, non voglio che pensino che io sia sfinita perché  poi vorrebbero trovare una soluzione, mi farebbero mangiare, parlare con uno psicologo o altre cose che non mi interessano per niente .
Iniziamo a scendere delle scale molto ripide con gradini stretti, andiamo molto lente.
Riesco ad osservare i minimi dettagli dei quadri che tappezzano l'intera scalinata.
Sono veramente infantili, la maggior parte rappresentano animali e paesaggi.
-Serena prima di farti entrare in mensa voglio accennarti una piccola procedura, va bene ?-.
Dice sorridendo, mostrandomi i suoi denti bianchi.
-Dopo aver cenato tutti si riuniscono in una sala dove possono fare di tutto.
Leggere, guardare la TV, giocare a carte o a qualche altro gioco, parlare, ballare.
Insomma tutto ciò che si deve fare per divertirsi un po'-.
Si interrompe quando io scuoto la testa.
-Sei costretta a venire, fa parte della terapia, vedrai starai meglio, ti servirà per conoscere nuove persone, fidati-.
Di nuovo, l'ha fatto un'altra volta, fidati , perché parla così banalmente, non dà significato alle parole.
Io non mi fido di nessuno, nemmeno di me stessa perché dovrei fidarmi di lei.
Arriviamo davanti ad un enorme porta, avvicina una mano alla maniglia e la apre.
Il mio battito cardiaco aumenta, lo sento.
Troppe persone, troppe, sembrano addirittura felici.
Io non posso stare qui.
-Prendi un vassoio e serviti-. Mi dice la donna indicandomi la fila.
La mensa è praticamente una stanza, una stanza molto grande dove ci sono tantissimi tavoli posti uno dopo l'altro.
Non capisco, sono l'unica ad avere la tuta grigia, forse perché sono arrivata oggi.
L'infermiera mi saluta e poi sparisce così colgo l'occasione per andarmi a sedere.
Trovo l'unico tavolo  vuoto e lascio che le mie gambe si appoggino alla panchina di legno.
Ho deciso, non mangerò mai più così sparirò e finalmente la mia vita avrà un senso.
Inizio a strusciarmi una mano contro l'altra, sono ansiosa e non so per quale motivo.
Poi mi distraggo.
-Ei, sei nuova ?-.
Alzo lo sguardo e intravedo un ragazzo, con un vassoio in mano.
Si siede, velocemente di fronte a me, si passa una mano fra i capelli e mi sorride.
Lo guardo qualche istante, ha i capelli corti e castani, gli occhi verdi e un sorriso da paura, perché è qui se sorride?
Subito mi vergogno di averlo fissato e abbasso lo sguardo.
-Piacere Cristian-. Sussurra avvicinando la sua mano alla mia.

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