Capitolo ~ 14 ~

505 18 0
                                    

Dopo alcuni giorni...

Trascinavo il mio corpo su quei corridoi lunghi e vuoti dove regnava la regina del silenzio.
Tutti erano al mare, in spiaggia o in qualsiasi posto che non fosse la scuola.
Continuavo a sbuffare finché, aprendo la porta della classe, buttai lo zaino sul primo banco vicino alla porta e mi sedetti con la testa tra le braccia.
Cercai di rilassare la mente e i muscoli e di godermi quel silenzio.
«Signorina Campbell» mormorò sbattendo la porta dietro di se.
Alzando il capo incontrai i suoi occhi rossi e il viso stanco pieno di occhiaie.
Restai neutra, senza nessuna emozione in viso e con solo la voglia di uscire da quella classe.
Il problema era: come avrei mai potuto recuperare le materie con lui come prof?
«Prof Bieber» mormorai accennando un sorriso.
Lui fece la stessa cosa a sua volta fingendo tutto.
Era incredibile, era come se avesse sbattuto la testa e avesse dimenticato tutto ciò che era successo tra di noi.
Sembrava di stare come il primo giorno dove nessuno dei due si conosceva ed era il semplice rapporto tra alunna e professore.
Farfugliò nel suo ventiquattrore nero in pelle fino a quando tirò fuori un foglio con vari esercizi su di esso.
Camminando verso di me, con la mano sinistra, posò gentilmente il foglio sul mio banco.
Lasciai cadere lo sguardo sulla sua mano e senza pensarci, la afferrai accarezzandola.
Guardandolo negli occhi, iniziai a sfiorare il pollice sentendo la sua carne fredda e screpolata.
Passai all'indice dove potevo sentire il profumo della mia bocca ogni volta che mi diceva di leccarglielo.
Rasentai il medio e l'anulare restando ferma su di esse.
Inalai l'odore che c'erano su di esse, potevo sentire il mio gusto, il mio profumo.
Il profumo mio, solamente mio.
Quel gusto che lui mi fece assaggiare in quella notte.
Quelle due dita che sembravano fatte apposta per penetrare la mia vagina.
Avevano il mio gusto.
Poi ridendo sfiorai quel pezzo di argento molto spesso in filigrana sarda.
«Non sapevo fosse sposato prof Bieber»
Lui tirò velocemente la mano guardandomi «ha un lavoro da fare» mi disse.
Chiusi gli occhi cercando di non piangere davanti a lui.
Appoggiai la testa sul palmo della mano coprendomi il viso e iniziai a fare gli esercizi.

Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.
Era sposato.

«Perché?» urlai alzandomi in piedi andando davanti a lui «perché dannazione?»
Lui deglutì solamente mettendo le labbra dentro.
«Ti sei preso solamente gioco di me e dei miei sentimenti» urlai sbattendo il foglio sulla cattedra facendolo rimbombare.
«Sei solo una cazzo di ragazzina, non puoi capire» urlò alzandosi e restando faccia a faccia con me.
Socchiusi le labbra lasciando cadere una lacrima che finì sul foglio.
«Sebbene io fossi una ragazzina a differenza tua, io non mi sono presa gioco di te» mormorai «io non ti ho mai mentito» urlai «quel giorno, tu eri a conoscenza di tutto, eppure hai continuato fregandotene di quanto tu avresti potuto danneggiare i miei sentimenti» sussurrai.
«Non ho tempo per le tue bambinate, ok?» urlò stringendomi per le guance ritrovandoci a pochi centimetri uno dall'altro «hai finito l'esercizio o no?» mormorò.
Staccai la sua mano buttandogliela lungo il fianco e poi senza più pensieri, lasciai l'aula in lacrime.
Avevo gli occhi appannati dalle lacrime mentre correvo con lo zaino in spalla.
Volevo solamente porre fine alla mia vita, dimenticare tutto e non sapere più nulla dell'accaduto.
Come poteva restare così indifferente a tutto ciò quando io a malapena riuscivo a respirare?
Era sempre la stessa storia, sempre.
Mi davano motivi per affezionarmi per poi buttarmi lì in un angolo con la scusa che io non capivo mai niente, che ero solamente una ragazzina infantile e troppo ingenua.
Credo che in quel momento, Dio, abbia ascoltato le mie preghiere e le abbia fatto esaudire.
Successe tutto molto in fretta, così in fretta che mi ritrovai dall'essere in mezzo alla strada, nell'essere in una stanza bianca, sdraiata in un letto bianco scomodo.
Mi guardai attorno e notai nell'angolo vari mazzi di fiori strette in vita con un laccio color rosa e un biglietto su di esso.
Peonie, girasoli, rose, tulipani.
Afferrai tra le mie mani il primo mazzo, quelle delle peonie sniffandole e sentendo l'ora di felicità.

"Ti faccio i miei più cari auguri per una pronta guarigione, nella speranza di vederti al più presto in forma e scattante."
-La tua prof di storia

Posai le peonie per poi prendere le rose rosse e sentire il loro buonissimo profumo.

"Le auguro una pronta guarigione e tanta salute"
-Il prof Bieber

Le posai con delicatezza e quando stavo per afferrare i girasoli, la porta si spalancò.
«Isa» mormorò una donna correndomi contro e abbracciandomi.
Non ebbi nessuna reazione se non quella di respingerla e guardarla.
Chi era? Perché aveva gli occhi rossi e sotto ad essi, borse e occhiaie?
Focalizzai lo sguardo sulle altre due persone dietro che avevano la stessa faccia della donna che prima mi strinse nelle sue braccia.
Mi sentì un vuoto completo rendendomi conto che le persone che piangevano per me, non le conoscevo.
La donna mi guardò per vari secondi per poi scoppiare tra le braccia dell'uomo grosso e abbastanza alto. Continuava a mormorare un nome e piangendo diceva che non mi ricordavo niente.
Aggrottai le sopracciglia reggendomi sul tavolino che tenevano i fiori. I miei occhi mi si riempirono di lacrime senza nessun motivo. Forse alla vista della donna addolorata e le altre due persone che continuavano ad accarezzarle la schiena.
Con gli occhi pieni di lacrime porsi gli occhi sulla ragazza che mi guardava. Notai in lei una certa somiglianza, i suoi tratti, le sue caratteristiche.
Lasciò cadere una lacrima poi si avvicinò a me mettendomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Chi siete?» mormorai scuotendo il capo.
Mi stringevo la testa tra le mani afferrando le ciocche di capelli.
Continuavo a scuotere il capo indietreggiando sempre di più da loro, mi sentivo in pericolo.
Avevo davanti ai miei occhi delle persone totalmente sconosciute che continuavano a piangere e a ripetere del perché io non mi ricordassi di loro.
Come potevo fermare quella povera donna dal piangere? Come potevo dire a quell'uomo di smetterla di guardarmi con così tanto dolore negli occhi?
Passarono giorni dall'accaduto.
Non appena mi riportarono a casa, che da quanto capì quella era la mia casa, mi mostrarono tutto, anche la mia camera, ogni piccolo dettaglio obbligandomi a ricordare qualcosa.
Fu tutto inutile cosi come quando una ragazza, chiamatasi Gio, venne a casa mia tutta sorridente con uno zaino pieno di robe varie tra cui foto di me e lei.
Sfiorai quelle foto e le analizzai cercando di ricordare ma ogni foto che lei mi passava, io le sciupavo a forza di concentrarmi su di esse. Quando posai l'ultima foto sul letto, la guardai facendo le spallucce e l'unica cosa che riuscì a dire fu un semplice «non mi ricordo» per poi scoppiare a piangere.
Mi strinse forte a se baciandomi la guancia.

Mi strinse forte a se baciandomi la guancia

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
Il mio professoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora