Mi alzai chiudendo il computer e facendo avanti e indietro per la stanza.
Uscì dal balcone inspirando l'aria fresca, appoggiai i palmi sulla ringhiera e guardai la piscina che stava sotto.
Improvvisamente mi ritrovai in ginocchia sul balcone e con le mani sulle cosce che stringevano dal dolore.
Mi sentì un dolore straziante nelle parti basse che dopo vari secondi, diventò un piacere.
Davanti ai miei occhi passarono vari flashback in cui io ero aggrappata a lui che sussurravo il suo nome mentre lui continuava a lasciarmi piccoli baci e a stimolare le mie parti basse.
Respiravo a malapena tenendomi per la ringhiera poi involontariamente emisi un gemito.
Deglutì mordendomi il labbro e appoggiando la schiena sul muro, divaricai le gambe.
Era come se non volesse smettere, come se la mia vagina avesse un bisogno alluncinante di lui.
Mi tolsi i jeans mettendoli accanto a me e infilando la mano sotto le mutande.
Iniziai a stimolare il clitoride con movimenti circolari per poi passare le dita tra le labbra vaginali.
Incurvavo la schiena gemendo e chiudendo gli occhi dal piacere che mi provocavo.
Immaginavo le sue mani sul mio clitoride, le sue labbra sulle mie che le mordevano, il suo cazzo dentro di me.
Chissà se la mia prima volta fu con lui.
Chissà come era averlo dentro di me, sentire gemere il mio nome all'orecchio, le sue mani sfiorare il mio corpo.
Non avevo bisogno di risposte.
Una cosa era certa: avevo bisogno di lui.
Non appena mi sentì venire, infilai due dita dentro di me gemendo e urlando di poco.
«Ju.. Justin» balbettai accartocciando i jeans nelle mie mani.
Lasciai un gemito per poi rilassare i muscoli e togliere le mani dai pantaloni.
Non appena rientrai in casa, lasciai cadere tutto per terra, dalla maglia alle mutande.
Mi buttai nel suo letto dove caddi in un sonno profondo.Non appena aprì gli occhi, il suo profumo mi fece spuntare un sorriso in faccia sebbene non fosse li con me.
Era mattino, avevo dormito tutta la notte nel suo letto e non c'era cosa più bella.
La mia pelle ebbe contatto con i suoi lenzuoli morbidi e bianchi come il latte. Su di essi ormai c'era il mio profumo, la mia impronta, così come mesi fa.
Scendendo giù, aprì l'anta del frigo cercando qualcosa da sgranocchiare dato che non mangiavo da un giorno intero.
«Cosa stai cercando?» domandò stando sulla soglia della porta.
Di colpo chiusi l'anta sbattendola e ritrovandomi così nuda davanti a lui.
Non si mosse di un centimetro, come se fosse un'abitudine per lui vedermi cosi ogni giorno.
Mi guardava e lasciando uno sbuffo, mi venne contro sbattendomi contro il frigo.
«Ho ricevuto varie telefonate dai vicini dicendomi che una ragazza fosse entrata dentro casa mia» disse «Cosa stavi cercando dentro casa mia?» domandò.
Deglutì e spostandomi da lui, andai di corsa sopra nella sua camera dove iniziai a cercare i vestiti sparsi per la camera.
Sentì i suoi passi raggiungere la camera fino a quando chiuse la porta dietro di se slacciandosi la cravatta e buttandola sul letto.
«Rispondi» grugnì stringendo i pugni lungo i fianchi.
Spostai solamente lo sguardo sul letto dove stavano i vestiti trovati nell'armadio.
Li prese in mano e li guardò. Di scatto girò il capo verso il computer acceso.
Abbassò il capo buttando i vestiti sul letto e avvicinandosi a me.
«Come ti sei permessa?» mormorò dando un pugno al muro vicino alla mia testa.
«Mi avevi giurato che tra di noi non era mai successo niente» sussurrai tra le lacrime.
«Infatti non è mai successo niente» gridò serrando la mascella.
Lo afferrai delicatamente per la nuca sfiorando le nostre labbra entrambe secche.
«Perché non vuoi che venga a scoperto di ciò che è successo tra di noi?» domandai tra le lacrime.
Lui fece per staccarsi ma io lo trattenni con forza obbligandolo a rimanere così, uno attaccato all'altro.
«Perché era tutto un grande errore» disse.
Serrai gli occhi passando il pollice sulle sue labbra sfiorandole, sentendole.
«Mi fidavo di te Justin» balbettai.
Aprì gli occhi e lasciai cadere una lacrima sulla guancia che cadde sulle sue labbra «avevi detto che eri disposto ad aiutarmi a ricordare»
Questa volta, quando ero io quella che si voleva staccare da lui, lui mi bloccò tirandomi verso di lui.
«Fidati di me quando ti dico che è meglio se non ti ricordi di me»
Presi la sua mano e con finezza la posai sui miei fianchi lasciandolo esplorare il mio corpo, quello che era solamente suo.
«Sentimi» sussurrai con paura che la mia voce interrompesse quel momento di amore puro.
Aveva gli occhi chiusi ma era come se conoscesse il mio corpo a memoria, ogni mio pezzo di carne era la sua condanna. Mi sfiorava e sapeva dove mettere le mani, sapeva i miei punti deboli e li sfiorava rassicurandomi.
«È ancora un grosso errore tutto ciò?» chiesi.
Lui non disse niente ma non fece altro che sfiorarmi la schiena alternando le dita.
«Lo sarà sempre» disse pochi secondi dopo.
Si staccò e allontanandosi da me prese i vestiti lanciandomeli addosso.
«È questo ciò che vuoi Justin?» domandai con la voce spezzata «proprio ora che cerco di ricordare, tu mi spingi via da te?»
Si girò di colpo aggrottando le sopracciglia «sei solo una cazzo di ragazzina, non puoi capire»
Una fitta alla testa mi fece cadere per terra e stringere le braccia attorno ad essa piangendo più di quanto lo stessi facendo prima.
Continuava a scuotere il capo ma l'unica cosa che riuscì a sentire era la mia voce che sembrava continuasse la frase che lui mi disse.
Quella frase continuò a ripetersi continuamente nella mia mente, partì dall'essere a bassa voce fino a trasformarsi in un urlo.
«Sebbene io fossi una ragazzina a differenza tua, io non mi sono presa gioco di te»
«io non ti ho mai mentito»
Quando aprì gli occhi lui era inginocchiato davanti a me e con gli occhi pieni di lacrime.
«Picc..» si fermò «Isabella, stai bene?» chiese prendendomi in braccio e mettendomi sul letto.
Forse per vergogna o perché non era il momento, mi coprì con il lenzuolo e si sedette accanto a me.
Mi passai una mano sul viso e di scatto mi alzai afferrando i vestiti e andando in bagno.
Lui mi seguì velocemente ma bloccò la porta con la mano e io di corsa andai sul balcone dove mi ritrovai sulla ringhiera in bilico.
«Lasciami andare» mormorai buttando giù i vestiti, vicino alla piscina.
Lui accennò una risata passandosi le mani sul viso.
«Salta se hai coraggio» mormorò consertando le braccia.
Aggrottai le sopracciglia guardando indietro e notando la poca altezza che mi divideva dalla piscina, chiusi gli occhi e facendo una capriola all'indietro, saltai.
Lasciai tutte le mie paure cadere con me e per un momento dimenticai di tutto e di tutti, come se fossi di nuovo in quell'ospedale e non conoscevo nessuno e niente.
Mi ritrovai sul fondo della piscina con gli occhi chiusi e con solamente le mani che galleggiavano.
Mi sentivo così libera, senza paure, senza nessun dubbio.
Era tutto più chiaro.
Quando aprì gli occhi me lo ritrovai davanti che tratteneva il respiro e mi guardava.
Salì a galla e presi un bel respiro togliendomi i capelli dal viso.
Mi prese per i fianchi avvicinandomi a lui.
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Il mio professore
Hayran KurguSi dice che la scuola sia la tappa più bella della nostra vita. La stessa cosa però non la pensano Isabella e Gio, migliori amiche, che sono decise che appena il quarto anno liceale finirà, loro non frequenteranno più la scuola. Come passeranno ques...