Capitolo ~ 21 ~

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Mi spinse per il petto sul letto e divaricò le mie gambe leccandosi la mano.
«Cosa vuoi fare?» risi alzandomi sui gomiti.
«Ti faccio vedere quanto mi sei mancata» rispose «Non azzardare a toccarti. Tieni le mani sulla testiera»
Mi aggrappai ad essa e allargai ancora di più le gambe. Chiusi gli occhi e appena sentì il vibratore sul mio clitoride, tremai.
Mossi il bacino cercando di calmare i miei muscoli e resistere il più possibile ma tutto ciò mi fu ancora più impossibile quando inserì due dita dentro di me muovendole. Gemetti il suo nome vari volte fino a quando lasciai la testiera e appoggiai la mano sulla sua fermandola, a causa del dolore che sentivo.
«Togli le mani» disse.
Incrociai le gambe attorno al suo collo e continuai a gemere e a sussurrare il suo nome fino a quando non mi fece venire per poi penetrarmi.
Fu tutto diverso, mi penetrò con violenza, come se volesse davvero farmi vedere quanto io gli fossi mancata.
«Justin» mormorai «mi fai male» risi stringendo il suo braccio nella mia mano.
«Dai piccola, in passato resistevi anche peggio» rise abbassandosi per darmi un bacio.
Gli morsi il labbro e scontrai la fronte con la sua socchiudendo gli occhi «oh cazzo» mormorai mordendomi il labbro «si, ti prego»
Ridendo aumentò la velocità fino a quando non mi ritrovai a fare la scarpetta sulla mia pancia e inghiottire tutto.
«Non riesco a farne a meno di te» mi disse prendendomi in bracio e baciandomi.
«Sussurrami» dissi al suo orecchio per poi leccarlo.
«Cosa?» chiese lasciandomi un succhiotto sul collo.
«Ogni pensiero che hai in mente adesso» risposi.
Rise per un momento poi mi strinse le chiappe.
«Ti farei rivivere ogni momento che non ti ricordi, ogni momento passato in classe dove tu continuavi a provocarmi, quel giorno in cui infilai, a tua insaputa, delle palline dentro di te che ti causavano l'orgasmo, il primo giorno che scopammo nella mia piscina, quella notte in cui ti feci venire per 4 volte»
«Non ricordo assolutamente niente di tutto ciò» mormorai scuotendo il capo delusa da me stessa.
Lui mi accarezzò la fronte sorridendomi «non fa niente, viviamo adesso»

Furono esattamente le 3 di notte quando ci ritrovavamo a camminare per i corridoi bui della scuola con paura che qualcuno ci scoprisse.
Mi guardavo attorno cercando di ricordare qualsiasi cosa di quella scuola, risate rimbombare nei bagni delle ragazze, il sudore dei ragazzi che facevano le verifiche ma tutto fu invano.
Avevo davanti ai miei occhi mura nuove, un edificio completamente nuovo per la mia mente.
Nessun angolo, nessuna classe, nemmeno il mio banco, mi fecero sentire nulla, se non vuoto.
In ogni stanza che entravamo, le mie parole continuavano a ripetersi dicendo chiaro «non ricordo assolutamente nulla» ma lui continuava a portarmi in ogni classe raccontandomi dei suoi alluni, delle sue lezioni, dei voti che dava e mi sentivo vuota perché non sapevo come reagire ai suoi commenti.
Dovevo dire qualcosa? Dovevo sentirmi colpevole per non ricordare niente? O doveva sentirsi lui colpevole per il fatto che mi obbligava a ricordare?
Notai, dopo un certo tempo, sebbene le porte furono tutte aperte, una rimase chiusa.
Se prima era lui a trascinarmi per il polso dietro di lui, ora era il mio turno. Insistette varie volte di non entrare in quella stanza ma appena chiesi il perché, lui abbassò il capo come se si sentisse in colpa.
Appena aprì la porta, un odore mi colpì in pieno viso facendomi chiudere gli occhi.
Mi sembrò, per un secondo di avere davanti ai miei occhi me stessa con le lacrime agli occhi e con i palmi posati sulla cattedra con davanti Justin nervoso.
Aprì gli occhi ed era ritornato tutto al normale.
Il riflesso della luna illuminava la stanza e i banchi i quali erano vuoti.
Lo notai girato di spalle che fissava la luna a mani conserte. Mi avvicinai a lui e posando la testa sulla sua scapola, lo abbracciai per la vita.
Chiesi varie volte di raccontarmi cosa era successo in quella stanza ma lui tirò dritto al punto e mi rispose con «tante cose» e fu così che abbandonò la stanza lasciandomi indietro.

Chiesi varie volte di raccontarmi cosa era successo in quella stanza ma lui tirò dritto al punto e mi rispose con «tante cose» e fu così che abbandonò la stanza lasciandomi indietro

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