Capitolo ~ 18 ~

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#Isa
Sbattendo la porta alle mie spalle, di corsa salì le scale poi poi sbattere anche la porta della mia camera, come se non bastasse.
In pochi secondi, mia madre mi raggiunse urlandomi dietro che non mi dovevo più permettere di sbattere cosi le porte.
Alzai gli occhi al cielo sbuffando e lasciandola parlare.
«Sono venuta dai corsi di storia, ok? sono stanca»
Aggrottò le sopracciglia per poi fare una piccola risata «Isa, la scuola è finita, non fanno più corsi di recupero»
Sgranai leggermente gli occhi.
«Dove sei andata più precisamente Isa?» chiese «tu non hai mai fatto corsi di recupero fuori scuola Isa» disse iniziando a preoccuparsi.
Solo allora capì.
Ogni frase, ogni parola che lui mi disse era solamente una bugia, così come tutta la mia vita.
«Ok, sono andata a farmi un giro. Ho bisogno di ricordare qualcosa mamma» mormorai iniziando a piangere sulla sua spalla.

Per tutta la notte non feci altro che pensare, pensare e pensare. Lo sapevo, lo sapevo che quell'uomo aveva qualcosa, qualcosa che mi fece attrarre da lui.
I suoi occhi, la sua mascella, i suoi capelli.
Potevo benissimo sentire le sue ciocche penetrare tra le mie dita.
Quelle labbra: potevo baciarle fino allo sfinimento.
Il suo modo di fare, di sfiorarmi.
Era impossibile che niente fosse successo tra di noi.
Ma lo aveva giurato.
Un'improvvisa fitta alla testa mi fece stringere con le mani la testa e strizzare gli occhi da dolore.
Di colpo, caddi all'indietro sul cuscino e urlando, sfogai tutto il dolore che sentì. Mi morsi il labbro dando un pugno al cuscino e continuando a urlare.
Era come se stessi rivivendo mille volte quel momento, l'unico momento che ricordavo: la macchina che mi tirò sotto e poi tutto nero davanti agli occhi.
Mi passarono davanti agli occhi scene di sesso, sentivo gemiti e sussurri continui, di piacere.
Non capì letteralmente cosa mi stesse succedendo ma poi sentì una voce roca ma allo stesso tempo così soave che mi alleviò leggermente il dolore.
«Potrei fare l'amore con te ore e ore, e non mi stancherei mai»
«sei una droga, Isa, sei la mia droga e non posso farne a meno di te»

Era lui.
Era la sua voce.
Quella di Justin.
Era la voce di Justin che mi diceva che ero la sua droga e che non poteva farne a meno di me.
Iniziai a piangere senza sapere il motivo.
Forse perché piano piano stavo ricordando o semplicemente piangevo perché mi sentivo tradita.
Perché invece di giurarmi che non è mai successo niente tra di noi, non mi aiutò?
Perché decise di mentirmi?
Lui mi amava, mi ha sempre amato.
Avevo così tante domande ma senza risposta che sul momento capì che lui era l'unica persona che poteva darmi le risposte di cui avevo bisogno.
Perciò, mi vestì in fretta, senza prendere niente ma con solamente un bigliettino, che appena chiusi la porta della mia camera alle spalle, si poteva notare la mia scrittura.
"Non cercatemi. Appena avrò le risposte alle mie domande, ritornerò. La vecchia Isa ritornerà. Sono andata a vivere."
Raggiunsi velocemente la sua casa in bici ma notai tutte le luci spente e la porta chiusa a chiave.
Urlai varie volte il suo nome ma non ricevetti risposta.
Guardai l'orologio: 5:30
Era già partito.
Raggiunsi velocemente l'aeroporto, questa volta con il taxi e appena posai piede dentro, mi piegai in due a causa della corsa e del poco fiato che mi rimaneva.
Corsi verso il bancone e notai una donna con i capelli mori e occhi verdi.
«Buongiorno» dissi recuperando il fiato «mi saprebbe dire gentilmente in che aereo è il signor» mi fermai strizzando gli occhi e cercando di ricordare il suo nome «Justin Bieber» continuai velocemente.
«Mi dispiace signorina, non posso darle informazioni personali» rispose con un'alzata di spalle per poi sorridermi.
«Senta, l'uomo che sta per partire è l'uomo che io.. io credo di amare, va bene?» urlai «ho perso la memoria e lui è l'unico che mi può dare risposte»
Lei aggrottò le sopracciglia e poi la notai sbiancare in viso mentre mi guardava.
«È già partito.. » balbettò «l'aereo è già partito»
Diedi un pugno al tavolo per poi fare un giro su me stessa e lasciare un sospiro.
«Il prossimo è tra un'ora»
Appena sentì ciò, mi girai velocemente e senza sentire altro, le dissi di sì, che lo volevo.
Tirai fuori 50€ posandoli sul bancone.
«Costa 200€ il biglietto» disse.
Chiusi gli occhi coprendomi il viso con le mani e inginocchiandomi sbuffando. Alzandomi, mi sistemai e in silenzio uscì dall'aeroporto.
Per tutto il viaggio, non feci altro che vedere sorgere l'alba davanti ai miei occhi e i miei occhi riempirsi di lacrime.
Con poca voce, dissi all'autista di fermarsi che dovevo scendere. Sbattendo la porta dell'auto presi una boccata di aria per poi avviarmi verso l'entrata.
Guardandomi attorno notai all'entrata un paio di mazze di rose rosse in un vaso in terracotta e con un dipinto a mano nel quale raffigurava dei girasoli colorati.
Lo afferrai sniffando il buon profumo che emanavano.
Continuando ad indietreggiare guardai per l'ultima volta la sua casa.
Aveva giurato. Mi guardò negli occhi mentre lo disse.
Perché? Perché non voleva che io venissi a sapere tutto ciò che successe tra di noi?
Indietreggiai fino a cascare all'indietro inciampando in un sasso.
Mi alzai e focalizzando, notai la pietra spostata e una chiave offuscata dalla terra. La afferrai infilandola rapidamente nella serratura ritrovandomi così dentro la sua casa.
Il suo profumo dominava in quella casa sebbene fosse partito da varie ore.
Chiusi la porta dietro di me e come un bandito iniziai a toccare e a curiosare ogni cosa.
Notai varie foto appoggiate sui mobili in cui raffigurava lui e da quanto notai dai lineamenti uguali, sua madre e suo padre.
La guardai per vari secondi per poi farmi le scale salendo nella sua camera.
Il letto era tutto disfatto e i vestiti buttati per terra come se avesse fatto fretta all'aeroporto e non avesse avuto tempo di sistemare le cose e metterle al loro posto.
Acchiappai la maglietta che stava per terra e portandola al naso la odorai.
Ero fissata con il profumo che aveva.
Da uomo.
La piegai e aprendo le ante dell'armadio vidi su un piccolo scaffale dei vestiti che non sembravano tanto da uomo.
Presi tutto e li appoggiai sul letto.
Accarezzai quei jeans strappati stretti sulle cosce, la maglietta lunga nera, le mutande Calvin Klein e il reggiseno della stessa marca.
Erano tutti miei.
Tutti quei vestiti che stavano dentro il suo armadio, erano miei.
Perché erano lì? Cosa era successo quel giorno?
Li posai leggermente sul letto quando notai sulla scrivania, il suo pc. Mi sedetti e tirandomi per i bordi della scrivania, accesi il computer entrando su Facebook.
Notai la chat con il mio nome salvata tra i preferiti.
Sapevo che ciò che stavo facendo ora era violazione di privacy ma avevo bisogno di risposte sicure, bisogno di recuperare la mia vita e, chissà, l'uomo che prima amavo.
Infatti, fu così.
La chat non fece altro che darmi le risposte giuste alle mie domande.
I miei vestiti nel suo armadio, le chat, le conversazioni molto erotiche non erano altro che risposte alle mie domande.
Potevo sentire le mie guance andare a fuoco mentre leggevo tutte le cose sessuali che io scrivevo e lui rispondeva.
Era una relazione illegale.
Tutto ciò era vero.
Ero innamorata del mio prof.

 Ero innamorata del mio prof

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