25. Tutto per una ragione

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Sono sempre stato il solo padrone di me stesso.

Federica Pov.
"Andre, aspetta!" esclamai.
"Cos'hai?" mi chiese.
"Guarda qui, sono impronte fresche." dissi.
Andreas si inginocchiò e le tastò, osservò la forma.
"Sì, sembrano appena fatte. Fede proviamo a seguirle." suggerì.
Annuii e ci incamminammo, mi attaccai letteralmente al braccio di Andreas, che con prontezza mi tenne stretta a sé come fossi una figlia, una sorella.
"Grazie Andre." sussurrai.
Lo vidi sorridere nel buio, quando il suo sorriso tutto d'un tratto si trasformò in una faccia pallida e spaventata.
"Ryan!" esclamò, fu allora che lo vidi a terra con del sangue in faccia.
Corsi verso di lui e mi accovacciai a terra.
"Ryan, tutto bene?" chiesi.
"Fede..." disse in un lieve sussurro.
"Cos'è successo?! Sanguini?" chiesi in preda all'ansia.
"Io... sto bene." disse piano.
"Sicuro?" chiese Andreas.
"Sì." gemette.
"Ryan non stai per niente bene, dove ti fa male? Stai fermo, adesso arrivano i soccorsi." dissi.
"Fede... devi andare...." disse.
"Eh?" dissi perplessa.
"Devi andare da Riccardo. È Alessio." mormorò facendo una smorfia.
"Riccardo? È qui?" strinsi i denti.
"Sì." disse.
"Lo so che è Alessio." annuii.
"Andreas, va con lei." disse tirandosi leggermente su.
"No, Andre stai qua!"esclamai guardando il mio amico.
Ryan si oppose, mentre Andreas era indeciso se restare o venire con me; alla fine scelse di seguirmi.
"Ascoltami Fede, dobbiamo stare attenti." continuava a ripetermi, ma io non lo ascoltavo, non più.
La mia mente era persa e semplicemente vagava tra le ansie e le preoccupazioni, un po' come a scuola solo moltiplicato per molte volte quanto il prezzo di una vita intera.
Non è facile mantenere la calma è la lucidità nei momenti difficili, io in questo momento ero totalmente fuori controllo e stranamente mi andava bene esserlo.
Era un vicolo cieco, ma ad un tratto sentii un gemito provenire dal corridoio. Mi sembrava di essere in un film, uno di quei brutti film, purtroppo per me questa era la realtà e non mi sentivo affatto felice di saper che avrei potuto perdere qualcun altro.
"Riccardo!" dissi.
Svoltai e lo vidi seduto su una sedia con Alessio davanti a lui.
Riccardo Pov.
"Ale perché?" chiesi guardandolo.
"Vuoi saperlo davvero? Me lo chiedi seriamente?" emise un'amara risata e mi lanciò uno sguardo agghiacciante, di certo non quello di un mio amico.
"Spiegamelo." dissi.
"Perché il successo ti ha dato alla testa. Ti sei preso tutto fin da subito: il ruolo del playboy, del bravo cantante, del ragazzo di Giulia... mi hai rubato la scena, il mio futuro, che potrebbe essere stato diverso ora. Per colpa tua però adesso credo di aver al mio fianco una ragazza che non mi ama quanto dovrebbe, una carriera a pezzi... per questo ho fatto tutto questo. Perché devi pagare Riccardo, tutto quello che mi hai tolto, ti sara tolto." fece una smorfia abbastanza soddisfatta alla fine della sua spiegazione, mentre io molto probabilmente avevo una faccia inorridita.
"Francesco era un bambino, un fottuto bambino. Cosa ne hai fatto del ragazzo dolce e fantastico che era mio amico? Ti sei dimenticato tutto quello che abbiamo passato insieme? Alessio sei ancora in tempo per finirla qua, ti perdonerò e tornerà tutto come prima." dissi.
"Non è vero, e lo sai anche tu." disse.
"Riccardo!" era la voce di Federica.
Doveva andarsene all'istante, non la volevo qui ora.

"Vattene!" riuscii a gridare.
Ma al posto di andarsene lei venne verso di noi, avanzando come se stesse andando in guerra: molto, ma molto sicura di sé.
"Perché Ale?" chiese e la voce le uscì in un sussurro e allora capii che il suo non era coraggio, ma era paura mista all' adrenalina.
"Fede allontanati, Andre ti prego..." dissi guardandoli.
Alessio si girò e fu un attimo, estrasse una pistola e la puntò verso Federica, nello stesso istante sentii dei rumori provenienti dai tunnel e delle luci: erano i soccorsi.
"Adesso vedrai morire tua moglie, perché te lo meriti." disse Alessio guardandomi negli occhi.
"Fermo, polizia!" si sentì l'urlo.
Ma non ci fu verso, la pistola era sempre puntata sul suo cuore.
"Alessio, ascoltami. Metti giù quella pistola, ok? Andrà tutto bene, devi sono metterla giù." dissi piano e con cautela.
"No." rispose secco.
"Ale, guardami. Sono io, il tuo amico Riccardo. Non mi ha dato alla testa il successo, sono sempre lo stesso. Avrei dovuto starti vicino, è vero e non l'ho fatto, ma posso rimediare ora. Lasciami rimediare." dissi.
"No." disse ancora.
"Metti giù la pistola!" urlò un poliziotto alzando la sua, ma Fede lo fermò.
Avanzò di poco.
"Ale non risolverai niente facendo così, ma se è ciò che vuoi fare, sparami... fallo. L'Alessio che conoscevo io non era così, era forte e supportava i suoi amici. Sono certa che questo Alessio sia ancora lì da qualche parte, perché guardami bene, sono sempre io, sono sempre la piccola Paper." disse Fede.
Mi irrigidì, non potevo muovermi da questa sedia, ma volevo che lei si allontanasse. Non doveva nemmeno essere qua.
"Anche io sono lo stesso di sempre, ma voglio lo stesso farlo soffrire!" urlò.
"Allora fallo, se è ciò che ti farà star bene." disse lei di rimando.
Con la pistola puntata, misi un dito sul grilletto, ma non sparò. Si accasciò a terra e iniziò a piangere, velocemente la polizia lo prese e lo portò via.
Federica corse verso di me e inaspettatamente mi baciò.
"Riccardo..." sussurrò sulle mie labbra.
"Ciao piccola Paper." dissi ricambiando il bacio.
Mi slegò le mani e l'abbracciai, tenendola stretta a me.
"Riki ho bisogno di fare una cosa, insieme." dissi e notai una lacrima sulla sua guancia, che con un dito spazzai via.
Annuì, aveva già capito. Lo aiutai ad alzarsi e uscimmo da quella specie di fabbrica abbandonata.
***
"Va tutto bene." disse stringendomi forte la mano.
Alessio non aveva sparato e immaginavo anche il perché: non aveva avuto il coraggio, dal momento che aveva sempre delegato tutto.
Si aggrappò alla mia mano come fosse un ancora e con l'altra mano libera aprì la porta.
Si sentiva odore di stanza chiusa, era semibuia e il sole del tramonto filtrava dalla tapparella creando un gioco di colori incredibile.
C'era una culla, un fasciatoio, un armadio e dei giocattoli.
Federica si staccò dalla mia mano e camminò nella stanza, io rimasi fermo.
Aprì l'armadio e annusò i suoi vestiti, stessa cosa fece con le coperte.
Chiuse gli occhi e respirò, le lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso, ma sapevo che non voleva che io l'aiutassi: doveva superarlo da sola e ce l'avrebbe fatta.
In quanto a me, i miei amici e la mia famiglia mi avevano aiutato a tirarmi su subito dopo l'accaduto. Era entrato solo una volta qua dentro dalla sua morte.
Flashback
"Papà, giochiamo insieme?" mi chiese il piccolo nanetto dagli occhi verdi.
"Adesso Franci arrivo, tu inizia ad andare in camera va bene?"dissi finendo di scrivere un testo.
Annuì e sparì dalla vista, quando andai a giocare con lui mi divertii e provai l'ebbrezza di essere ancora un bambino; cosa che serve ad ognuno di noi qualche volta.
Il tempo che avevamo passato insieme non era tanto, ma era ciò che la vita ci aveva donato.
"Fede, vorresti rinnovare le nostre promesse di matrimonio? Solo io e te." dissi.
"Direi di sì, vieni con me in America?" chiese.
"Quello che vuoi tu, va bene anche a me." dissi e l'abbracciai tenendola stretta a me, perché stavolta sapevo che non sarebbe scappata.
TO BE CONTINUE
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, come state? Io bene, anche se un po' stanchina.
La storia è quasi finita, prima del previsto direi.
Ad ogni modo ci sentiamo tra qualche giorno, vado a riposarmi un po'.
Oggi Fede e Riki si vedranno... speriamo bene dato le notizie degli ultimi giorni!
Stay tuned
Vitto💙

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