3. Racconti del passato

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In piedi a notte fonda sai che mi farò trovare.
Riccardo Pov.
Vorrei non aver mai aperto quella cazzo di porta, vorrei che lei l'avesse chiusa a chiave per non far entrare nessuno e che per lo meno fosse vestita.
Le lunghe ferite che le segnano la schiena non mi piacciono neanche un po', sono troppo fresche per essere soltanto un incidente.
E poi, da come mi sta guardando ora, capii che quello che le era successo a New York non era bello.
Mi aggrappai alla maniglia della porta e chiusi gli occhi prendendo un respiro profondo.
"Cosa sono quelle?" sibilai con voce roca, mi si era prosciugata la gola.
"Riki..." mormorò infilandosi alla velocità della luce la maglia e avvicinandosi.
"Cosa sono quelle?" richiesi con più voce, riprendendomi.
"Fammi spiegare." disse.
"Dimmi che non è quello che penso." le dissi.
Appoggiò la sua mano sulla mia e mi indicò il letto, facendomi segno di sedermi.
Mi sedetti e strinsi forte le lenzuola tanto che le nocche diventarono bianche.
"Da dove vuoi che inizi?" chiese mordendomi il labbro.
"Dall'inizio Fede, dall'inizio." risposi.
"Quando Francesco è morto, sono crollata nel baratro dove ero caduta anche dopo la morte di Nico. Pensavo fosse stato un incidente, una brutta coincidenza che aveva portato me e il piccolo nello stesso supermercato di quei pazzi. Non era ed è così, non è mai stato un incidente. Era tutto premeditato, una cosa da progettare e riprogettare, quel giorno avrebbero dovuto sparare a me. La pallottola sarebbe dovuta finire nella mia testa, non in quella testolina così piccola." tremò e senza accorgermene notai che anche i miei occhi erano bagnati.
"Non me lo perdonerò mai. Ti starai chiedendo chi, chi può pensare ad una cosa del genere: ancora non lo so. È quello che ho cercato di scoprire tutti questi anni, il mio intento era quello di andarmene per un po' per proteggere tutti voi e per far sì che nessuno fosse ferito per colpa mia. Avrei preferito che tutti sentiste la mia mancanza e soffriste in altro modo, ma morire... quello no, mai più. Le cose non sono andate come credevo: una sera, mi hanno trovata sotto il mio appartamento e mi hanno minacciata. La persona con cui uscivo, mi aveva circuita ed è uno di loro, ero troppo presa a far scordare al mondo che amassi solo te e non capii l'inganno. Fino a quando non ho trovato un telefono con dei messaggi da numeri sconosciuti, li ho letti tutti e pensavo non mi avrebbe mai scoperto.
Poi però stupida, mi lasciai sfuggire una frase nel bel mezzo di una litigata e da quel giorno iniziarono le botte, spesso non erano solo mani, quelle che vedi tu sono le ultime e le più recenti e sono frustrate. Perché ho lasciato che mi facessero questo? Perché pensavo di cavarmela da sola e che avrei potuto ricavarne qualche informazione, mi sbagliavo. Nessuno se ne accorse, nessuno alla Universal e nessun vicino o persona che incontravo. Tutto ciò non ha funzionato e la mattina che ho preso quell'aereo, stava per tirar giù la porta d'ingresso di casa mia. I giornali avranno già riportato le notizie, sono ritornata a casa e sei... sei in pericolo." disse mormorando.
Ci misi un po' a metabolizzare ogni informazione che mi aveva appena detto.
Prima mi rattristai pensando a nostro figlio, poi i preoccupai e infine, mi incazzai.
Non con lei, non aveva alcuna colpa, è vero il proiettile era per lei, ma porca puttana... nessuno dei due avrebbe dovuto sopportare una cosa del genere.
"Sei una cogliona." riuscì a dire alla fine.
"Lo so e mi dispiace, vorrei tanto rimediare...." sussurrò.
"Sei una scema, perché non me l'hai detto subito?! Perché sei scappata al posto di rimanere qua e lottare insieme!" le dissi.
"Avevo paura mi odiassi e ne ho ancora." rispose.
"Io non ti odio, non ti odierò mai. Anche se volessi, non potrei. Non è colpa tua, Francesco non è morto per colpa tua." esclamai.
Federica Pov.
Non era colpa mia? Invece sì, il mio compito era quello di proteggerlo, non di mandarlo dritto dritto nell'oltretomba.
Flashback
"Mamma, mi prendi queste?" mi chiese con la sua vocina, tipica di quando voleva ottenere qualcosa.
"No, le caramelle fanno male e ne abbiamo tante altre a casa. Poi le dai tutte a Thiago e lui sta male..." tentai di spiegare mentre stavo leggendo le didascalie sulle bottiglie di vino.
Borbottando buttò il sacchetto nel carrello, feci per girarmi e sgridarlo, ma sentii un boato e il vetro della porta adiacente a noi andare in frantumi.
Mi girai di scatto e vidi mio figlio a terra e tanto, troppo sangue.
"No, no, no, no!" ripetei, non mi accorsi di star piangendo.
Non sentii il tempo passare, sapevo di star stringendo tra le mie braccia il corpo inerme di un bambino a cui la vita era stata rubata, ma solo quando un signore dell'ambulanza mi toccò la spalla e mi parlò realizzai.
"Signorina, lo lasci a me." disse mettendo una mano sulla mia.
"No, lo devo proteggere!" esclamai.
"Posso chiamarla Federica?" chiese e annuii.
"Federica, guardami. Lo aiuterò io." disse rassicurandomi.
"È morto, non lo puoi più aiutare..." singhiozzai.
"È in un bel posto, lascialo andare, vorrebbe così." disse e finalmente mollai il suo corpo.
Lui lo prese in braccio e lo avvolse in un telo argentato.
L'avevo visto fare in tanti film, non pensavo sarebbe potuto diventare realtà.
"Riki, non voglio che tu... che ti facciano male per causa mia." dissi.
"Neanche io lo voglio, ma ora siamo insieme e non succederà più nulla di brutto. Dio, se solo sapessi chi ti ha fatto del male, lo pesterei fino a fargli dimenticare il nome e perché è nato." disse frustrato.
Si alzò dal letto e si avvicinò a me, mi girò e mi sollevò la maglia, piano e lentamente.
Penso stesse scrutando la mia schiena, quando ci passò sopra le dita mi mancò il fiato.
Mi era mancato il suo tocco lieve.
"Riki..." mormorai.
"Stai ferma." disse accarezzandomi.
Sfregò delicatamente e mi sembrò di essere quasi guarita dal dolore. Chiusi gli occhi e emisi un gemito.
"Non possiamo, non ancora." mormorai.
"Perché no?" disse baciandomi il lobo dell'orecchio.
"Perché non voglio avere debolezze, tu sei l'unica mia debolezza oltre alla mia famiglia." ripresi il controllo e fissai i suoi occhi blu.
"Perché siamo sempre e costantemente costretti a stare lontani?" chiese guardandomi come un cane bastonato.
"Io... non lo so." risposi.
"Avremmo il nostro lieto fine?" chiese poi.
"Il lieto fine c'è solo se la storia finisce, credo che non finirà mai la nostra." risposi.
Mi guardò di sbieco, non sapeva se interpretarla in modo positivo o negativo.
"In che senso?" disse.
"Come preferisci tu. Vedila anche dal lato positivo però." abbozzai un sorriso e mi allontanai.
"Mi accompagni in camera sua?" mi chiese tutto d'un tratto.
"Io... no... Riki, non ce la faccio." dissi.
"Non ce la faccio nemmeno io, però insieme ci siamo sempre dati più forza." disse piano.
"Sarà rimasto tutto come prima, come ogni stanza. Tempo al tempo." dissi.
Annuii.
"Per lo meno torna a dormire in camera con me." mi supplicò.
"Te l'ho detto, se stiamo troppo vicini torneremo insieme. Dobbiamo sistemare i nostri casini." ripetei.
Lo sapevo, sapevo me l'avrebbe chiesto prima o poi, come sapevo che avrei ceduto presto perché in un modo o nell'altro noi ci amavamo, sempre.
TO BE CONTINUE
Spero vi sia piaciuto! Come state? Io ho un sonno, domani è il mio ultimo giorno di scuola.
Non riuscirò a postare nulla mi sa, ad ogni modo buona lettura.
Sembrano essersi riavvicinati i Rederica, ma niente è dato al caso. Tornando alla realtà, invece, io seriamente rischio di diventare come loro... sbaglio o sono un po' schizzofrenici? Cambiano idea ogni due secondi ahaha😂
Beh, speriamo bene dai🙈
Stay tuned,
Vittoria💙

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