Capitolo 31

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A quelle parole lei sussultò e posò poco dopo gli occhi sulla superficie di vetro.
Lo specchio rifletteva una scena del tutto diversa, o meglio, molto diversa:
(NM) era a terra in quel corridoio, da sola, senza Valentine.

Non capiva assolutamente nulla: quella donna non era presente in quel ricordo, ma la stessa borghese stava parlando da sola e gli specchi riflettevano la verità.
Non aveva senso e lei lo sapeva, tanto che decise di scartavetrare tra le sue memorie di quel giorno, ma tutto era inutile. Il ricordo era sempre tale e quale.

Inutili i tentativi di spiegare tutto, tanto dalla sua bocca non uscivano che versetti strozzati. Più simili a quelli che faceva una donna in procinto di essere impiccata per stregoneria piuttosto che una giovane aristocratica.

«Non lo so, volete una tazza di the e delle paste mentre siamo qui? Tranquilli, ho tutto il giorno da dedicarvi.» disse ironicamente Aleksander, girandosi in malo modo verso i due, rimasti imbambolati.

I due si voltarono verso il moro, che stava a diversi metri davanti a loro. Vanitas scosse la testa e si scusò, tornando a camminare con espressione seria. (NM) gli era appena accanto e lo guardava dl basso -data la statura, lui era circa 175 centimetri d'altezza- non capendo cosa gli prendesse. Insomma, lei non aveva fatto nulla di male, non aveva mai realmente tentato ala sua vita come le era stato detto e allora si chiedeva come mai stesse lì, a camminare con espressione cupa.

Quel che la giovane borghese non sapeva era che il Duca si sentiva come tradito. L'amava, l'amava veramente eppure aveva appena visto una scena che gli aveva lasciato l'amaro in bocca. Stava pregando che la loro guida- se così si poteva definire- fosse un bugiardo, sperava stesse mentendo su quelle superfici di vetro riflettente.

«Ha ragione, ne discuteremo a casa.» disse solamente il nobile, evitando lo sguardo della sposa.

Gli faceva male, un male cane. Anche solo guardare la donna che avrebbe sposato e con cui aveva giaciuto e rendersi conto che era la stessa che aveva visto in quello specchio.
Disperata, seduta su un pavimento freddo che aveva barattato la sua vita per la propria libertà.

Era vero, lei era molto più matura della ragazzina che pensava solo e unicamente a sé, della persona egoista che era quando si incontrarono. Era maturata in così poco tempo che sembrava uno scherzo.
Sapeva, però, che era fin troppo piccola per una responsabilità come quella che si stava per assumere.

«Sei arrabbiato con me?»

Le domande della ragazza erano strane e continue. Non capiva lo stato d'animo dello sposo e, anche con il rischio di farlo arrabbiare più del dovuto, iniziò ad allenare la voce con quelle questioni, che a dirla tutta erano piuttosto inutili.

Il disturbo paranoide è un disturbo di personalità caratterizzato da diffidenza e sospettosità che spingono a interpretare le motivazioni degli altri sempre come malevole per la propria persona o per le persone a cui il paranoico vuole bene (figli, genitori, famigliari...). Gli individui che maturano questa struttura di personalità sono dominati in maniera rigida e pervasiva da pensieri fissi di persecuzione, timori di venir danneggiati, paura continua di subire un tradimento anche da persone amate, senza che però l'intensità di tali pensieri raggiunga caratteri deliranti. L'"esame di realtà" rimane, infatti, intatto. fu ciò che venne in mente altro Duca davanti al comportamento dell'amata, ovvero un pezzo del manuale di psicologia che aveva trovato nello studio del padre.

«Mi odi?»

Vanitas cercò di ignorare  la ragazza. Sapeva che avrebbe dovuto rassicurarla, ma non era il momento. C'erano ancora tante cose che doveva sapere su di lei, troppi scheletri nell'armadio da riesumare. Si sentiva come Giulio Cesare, pugnalato dal foglio Bruto.

Ignorò persino le dita affusolate della promessa che gli tenevano dolcemente la mano e gli occhi (CO) preoccupati per lui, o meglio, per loro. In cuor suo sapeva, o meglio, sperava che lui fosse abbastanza maturo e responsabile da decidere di tenerla ancora con sè. Dovevano avere un figlio, dopotutto. Non poteva essere tanto insensibile da rinnegare l'erede di un casato.

All'ennesima domanda, posta con un tono più disperato e bisognoso di attenzioni delle altre, decise di voltarsi e guardarla negli occhi. Sapeva poco o niente di quella che era la sua malattia, o almeno credeva lo fosse. Non era uno psichiatra, non poteva dire che fosse malata, ma di certo c'era qualcosa che non andava in lei è lui la voleva aiutare.
La presente per le spalle e la guardò dolcemente, come solo lui poteva fare.

«Parleremo a casa con calma, (NM). Non è né il momento né il luogo adatto, ora. Andiamo, risolveremo tutto dopo. Te lo prometto.»

Al che, la ragazza annuì tutta rossa come un pomodoro maturo e abbassò il capo. Non capiva come potesse avere caldo, nonostante la temperatura lì fosse abbastanza bassa da farle venire la pelle d'oca.
Il corvino si scusò con Aleksander con un gesto della mano, ripromettendosi di dare un'occhiata ai libri di psicologia che aveva in una delle librerie del suo studio.
Ripresero a camminare, ma all'improvviso lei si guardò le spalle. Erano dietro di loro. Lo percepiva.

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Ehilà~
Parto col dire che questa settimana farò una revisione completa della storia, quindi nel peggiore dei casi dopo questo fino a sabato non ci saranno aggiornamenti.

Saranno corretti tutti gli errori, sarà dato uno stile un po' diverso quando necessario e saranno omesse o aggiunte delle parti, soprattutto nei primi capitoli. Se ci riesco, lo faccio entro oggi o stasera.

Comunque, che ve ne pare del capitolo? Il tutto mi sembra decisamente forzato, ma non so.
Ditemi cosa ne pensate e noi ci rivediamo nel prossimo capitolo!

Alla prossima~

Midnight Circus [Yandere! Vanitas X Reader]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora