1 - Hate

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«Sono così stufa di questo posto! Non vedo l'ora che arrivino le vacanze. Tu non credi, Kay?»

Lanciai uno sguardo scocciato a Lindsay, il mio quarto braccio destro. Sì, quarto. Era troppo insopportabile per salire di grado, ma era anche troppo utile per eliminarla dal mio gruppo. Conosceva tutto e tutti nel collegio in cui studiavamo, era una specie di investigatrice, per quanto stupida apparisse. E lo sembrava davvero molto. «Naturalmente» commentai fredda, dopo averla squadrata.

Lei si aggiustò una ciocca castana dietro all'orecchio, abbassando la testa. Doveva essersi accorta del mio malumore e non voleva provocarmi, rischiando di essere declassata. Beh, faceva bene a temermi. Soprattutto quel giorno.

Non avevo dormito bene, per niente. Avevo continuato a rigirarmi nel letto, lamentarmi e ingoiare i sonniferi di Sarah, la mia migliore amica e compagna di stanza. L'unica che non mi seguiva solo perché ero la figlia del preside. L'unica che non si comportava come un cagnolino ubbidiente.

In ogni caso, non avevo chiuso occhio, e le pastiglie sembravano non avere nessun effetto. Mi sentivo strana, come se qualcosa mi imponesse di alzarmi, di uscire dal letto e andare... non lo so, da qualche parte. Sapevo solo di doverlo fare. "Assurdo. Completamente assurdo."

«Kay, va tutto bene? Vuoi che ti porti qualcosa? Perché, se vuoi, potrei...»

«Sta zitta Charlotte, mi fai venire il mal di testa con il suono della tua voce!» le gridai contro. Guardai i suoi occhi nocciola spalancarsi e capii di aver perso ancora una volta il controllo. Maledizione, mi stava capitando troppo spesso. Se volevo mantenere la mia aura di popolarità non potevo mostrarmi debole. Dovevo avere un pugno di ferro, ma allo stesso tempo dovevo dimostrarmi imperturbabile, superiore. Era faticoso, ma da quando ero in quel luogo lo vedevo come l'unico modo di sopravvivere.

Il collegio che mio padre aveva ereditato due anni prima, il Rottenbridge, chiamato da tutti Rotten per il suo aspetto decadente, era tutto fuorché un posto di classe. Confinato in una piccola cittadina di periferia, aveva l'aspetto di una catapecchia più che di una scuola. Soffitto di legno, da cui a volte filtrava la pioggia, pavimenti di marmo rovinato dal tempo. Scale ovunque. Le uniche cose che possedevano meno di un centinaio di anni erano gli armadietti di latta e gli studenti che ne intasavano i corridoi.

E in quel rifiuto della società io comandavo come una regina. Non che fosse così difficile far obbedire una mandria di contadini. Ero una delle poche ragazze di città della scuola, e ciò significava stare tutto il giorno in mezzo alla feccia. Ero stanca di quel luogo, ma non per i motivi di Lindsay. Ero semplicemente disgustata da tutto, lì. Avrei preferito morire piuttosto che trascorrere un altro giorno là dentro.

Mentre camminavamo in formazione verso la nostra classe continuavo a pensare a quanto fossi sfortunata. Insomma, ci voleva davvero una maledizione per finire così in basso! Schifo, mi faceva tutto schifo...

All'improvviso andai a sbattere contro qualcosa. O meglio, qualcuno.

La rabbia mi salì di nuovo al cervello e afferrai per un braccio il ragazzo che mi era appena venuto contro. «Guarda dove metti i piedi, quattr'occhi!»

Andrew Slow, il re della feccia sopracitata, oserei dire. Era una specie di genio informatico, un nerd. Frequentava raramente le lezioni, se ne stava rintanato nella sua camera tutto il giorno, al buio, a fare chissà che. Non aveva nemmeno un compagno di stanza, perché nessuno voleva avere a che fare con lui.

Magro, occhialuto e con i capelli scombinati. In lui non c'era niente degno di nota, se non un paio di occhi color acciaio, i quali però non erano mai visibili a causa delle lenti spesse.

Storsi la bocca, lasciandolo andare. Mi disgustava anche lui, come tutti gli altri. «Ebbene? Non hai la lingua? O sei solo scemo?» lo incitai, scocciata dal suo silenzio. Avrei potuto proseguire e far finta di niente, ma in tal modo avrei perso la mia autorità.

Andrew mi fissò a lungo senza spiccicare una parola. Sembrava assorto nei suoi pensieri, o forse stava solo cercando le parole con cui rispondermi.

Inarcai un sopracciglio. «Beh?»

«Sei stata tu a venirmi addosso» replicò alla fine, continuando a guardarmi.

Patetico. Cercava di scaricare la sua colpa su di me.

Gli puntai un dito al centro del petto con aria minacciosa. «Tu sei solo uno schifoso microbo, capisci? Un microbo di questa polverosa scuola! Non osare mai più accusarmi di qualcosa!»

«Era la verità. Ma l'odio che provi per chiunque sembra annebbiarti il ragionamento.»

Gli risi in faccia, spingendolo di lato per farmi strada. «Torna nella tua cameretta, su. E non provare mai più a intralciarmi il cammino» lo ripresi, poi feci per andare avanti, le mie amiche che ridacchiavano alle mie spalle. Erano solo delle galline starnazzanti, nulla di più, ma non chiesi loro di fare silenzio, non allora.

Avanzai, tuttavia non potei muovere più di un passo.

La risposta di Andrew mi giunse inaspettata, sussurrata all'orecchio. Non avevo mai permesso a nessuno di avvicinarsi tanto, ma in realtà non mi ero nemmeno resa conto che fosse ancora accanto a me.

«Disprezzi questa scuola, non è così?» mormorò. La sua voce mi dava i brividi, era profonda e sibilante. «Disprezzi le tue amiche, e disprezzi me. Beh, imparerai ad amare tutto ciò, non preoccuparti. E allora vedremo se preferirai ancora morire piuttosto che restare qui.»

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