«Apri questa maledetta porta!»
Mi allontanai dall'anta tremolante per i pugni che le avevo assestato e caricai una gamba. L'avrei sfondata a calci, se fosse stato necessario, anche a costo di rompermi qualche osso. Avevo paura del buio totale, e temevo per la notte che avremmo dovuto trascorrere lì. L'unica finestra della soffitta, un oblò dal vetro crepato, era ostruita da un'asse di legno che impediva alla luce di entrare, e la lampadina che penzolava solitaria dall'alto sembrava sul punto di saltare.
Colpii la porta con la pianta del piede nel centro. Quella si inarcò verso l'esterno, molle di umidità, per poi ritornare nella sua posizione originaria. I cardini metallici cigolarono, ma non si smossero. Dannazione.
«Slow, lurido assassino, sei così codardo da rinchiuderci qui dentro? Hai paura di cinque ragazze spaurite, è così?»
«Kay, non mi sembra una buona idea...»
Fulminai Charlotte con uno sguardo, costringendola ad abbassare gli occhi. «Non mi importa se per te non è una buona idea. Che io lo insulti o no, lui ci ucciderà comunque. Tenendoci chiuse qua dentro sarà impossibile per noi trovarlo, non ve ne rendete conto?»
Sarah mi posò una mano sul braccio. «Ha detto che dovremo solo passare la notte. Approfittiamone per riflettere sul da farsi e...»
«E cosa? Ti fidi davvero delle sue parole?» le urlai contro, pestando i piedi per terra come una bambina. Ma i miei non erano capricci, erano gli effetti di una crisi di panico. Avrei preferito essere uccisa dalle sue stesse mani, come mio padre, piuttosto che finire i miei giorni in quella cella piena di muffa.
Lei scosse la testa. «Al momento non ci resta altro da fare, Kay. L'hai detto anche tu: non abbiamo nulla da perdere.»
Odiavo quando le mie stesse frasi venivano usate contro di me. «E allora cosa pensi che dovremmo fare?» sussurrai, senza più voce.
Lei indicò il computer con l'indice. Era un modello vecchio, di quelli simili ad uno scatolone, con lo schermo curvo e un milione di cavi attaccati ad un'unica presa di corrente. Alla tastiera mancava qualche lettera, il tappetino per il mouse era logoro, di un blu stinto. Eppure sembrava funzionare.
Feci una smorfia scettica. «Mi pare improbabile che lui abbia lasciato in questo computer dei file compromettenti. E se l'avesse fatto, non ci avrebbe imprigionate qui.»
«Con questo ragionamento implichi la possibilità che ci liberi. Visto? In fondo al cuore, anche tu ci speri.» Sarah mi guardava con gli occhi lucidi di emozione. Sapevo che stava cercando in ogni modo di invogliarmi a vivere, a non lasciarmi cadere nel baratro della disperazione. E mi dispiaceva deluderla.
Forzai un sorriso e andai a sedermi sulla sedia girevole davanti alla scrivania. Sullo schermo, sul classico sfondo azzurro, campeggiavano una ventina di icone, quasi tutte documenti. Avevano nomi in codice, composti da numeri e lettere, di cui non sarei mai riuscita a venire a capo. Ma, anche se fossi riuscita a decifrare quei titoli, non avrei fatto nessun passo avanti: provando ad aprire un file a caso ricevetti soltanto un bip acuto, con un messaggio che mi segnalava l'impossibilità di aprire il documento.
Tirai un pugno al tavolo, facendo sussultare Lindsay e Martha. Sarah si avvicinò a me, chinandosi all'altezza della mia testa e sbirciando il desktop. Posò un dito sul file di un'immagine, intorno al quale si formarono onde colorate di pixel. «Prova con questa» mi consigliò.
Cliccai due volte e l'aprii. Incredibilmente, la schermata cambiò, mostrando il caricamento dell'immagine, che lentamente prese forma in un caos di colori cupi.
La luce della lampadina sfarfallò, facendomi perdere un battito. «Secondo voi di cosa si tratta?» chiesi alle altre, nel tentativo di non farmi prendere dal panico.
Lindsay si scostò i capelli biondi dagli occhi, per poi scuotere la testa. «Non vedo nulla senza occhiali» disse timidamente.
Agrottai le sopracciglia. Non sapevo nemmeno li portasse, gli occhiali. Forse ero una leader più temibile di quanto pensassi, se aveva avuto paura di dirmelo. Ora invece dovevo sembrarle una povera pazza dopo una crisi.
Deglutii e spostai lo sguardo sulle altre ragazze. Martha e Charlotte guardavano lo schermo con la testa inclinata, Sarah era ancora accanto a me, con i gomiti sul ripiano scheggiato. Sembravano confuse quanto me.
Tornai ad osservare l'immagine. Era completamente buia, tranne per un alone più chiaro nell'angolo destro. Non capivo cosa potesse essere.
Poi, all'improvviso, mi tornò in mente un ricordo. Una volta avevamo organizzato un pigiama party nel dormitorio del secondo anno, dove erano alloggiate le tre ragazze più giovani. Ad un certo punto della notte mi ero svegliata di scatto ed ero rimasta a fissare il soffitto in attesa che il sonno tornasse a riportarmi con sé. Ricordavo perfettamente la posizione di ogni cosa, tanto tempo ero rimasta in dormiveglia.
E ricordavo bene la luce che entrava attraverso le tende dalla finestra e formava un ovale chiaro in mezzo alle tenebre.
Saltai su dalla sedia, mentre la lampadina mandava altri segnali di cedimento. «Ragazze... questa è la vostra stanza...» balbettai.
Tutte spalancarono gli occhi, identificando le tre sagome grigio scuro con i loro letti. Letti in cui loro giacevano addormentate.
Cominciarono a parlare contemporaneamente, isteriche, sovrapponendosi una con l'altra. Andai avanti con le foto, trovandone una dello studio di mio padre, con lui ancora vivo alla scrivania, ed una della mia camera. Era stata scattata quella mattina: potevo distinguere il profilo del mio corpo davanti alla porta. "Ma cosa diavolo..." Non avevamo telecamere nell'istituto! Mio padre aveva sempre pensato che fossero solo uno spreco di soldi. Ma allora, da dove venivano quelle foto? Erano state scattate dall'alto, precisamente dall'angolo sinistro, vicino alla parete del corridoio.
«Cosa significa tutto ciò?» esclamò Charlotte agitata.
«Non ne ho idea, ma a quanto pare in alcune stanze di questa casa di sono delle telecamere. Possiamo usarle per trovare Andrew, se scopriamo dove nasconde i comandi...» riflettei, tornando a gettarmi sul mouse.
Però, ancora prima che potessi cominciare a cercare qualsiasi cosa, la luce sparì del tutto. La lampadina cessò di funzionare con uno scoppio e la stanza si ritrovò immersa nelle tenebre. Afferrai il bordo della scrivania con entrambe le mani, stringendo forte. "Respira Kay, va tutto bene, respira" mi intimai, anche se ero incapace di ascoltare i miei stessi pensieri.
Martha, Charlotte e Lindsay urlavano, camminando in chissà quale direzione. Sentivo i loro passi sul pavimento, le assi scricchiolanti, le grida disperate. Ma non vedevo nulla, se non il buio più assoluto.
Qualcuno mi toccò la spalla ed io cercai di scattare in avanti, ma la voce di Sarah mi bloccò dal mio tentativo. «Sono io, non preoccuparti» mi rassicurò, sebbene il suo tono fosse teso come una corda. «Dobbiamo cercare di aprire la porta. O la finestra. In qualche modo dobbiamo uscire di qui...»
«Ci ho già provato, inutilmente. Dio, quanto odio il buio...» Non volevo piangere, ma non riuscivo a trattenere i singhiozzi.
D'un tratto, i miei lamenti furono l'unico suono della stanza. Le urla erano cessate, ogni altro rumore sedato dal vuoto. Poi, una melodia. Una melodia che conoscevo bene e che mi fece raggelare il sangue.
«Ma... questo cosa sarebbe?» farfugliò la mia migliore amica. Io scossi la testa, senza riuscire ad aprir bocca. Le note distorte del carillon mi ferivano i timpani, alte, sempre più alte. Le orecchie cominciarono a fischiarmi, ma il terribile suono continuava imperterrito nella sua disturbante esibizione.
«Fa...male» ansimai. La presa sulla mia spalla era sparita, ma percepii un bruciore, come quello di un taglio, sul polpaccio, ed un oggetto duro e freddo premere contro la mia caviglia.
Sollevai le gambe sulla sedia, mentre continuavo a tenermi le orecchie tappate con i palmi delle mani. Temevo che i miei timpani potessero esplodere.
Gridai, le guance bagnate di lacrime che nessuno poteva vedere, gli occhi ciechi in quella camera oscura, il sangue caldo che mi colava fino ai piedi. Nessuno poteva sentirmi, nessuno poteva aiutarmi.
Fu così che svenni, piangendo, spaventata. E con il suono del carillon, che, appena caddi a terra, si interruppe di colpo, come comandato da uno spirito maligno.
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Seven days
HorrorSette giorni ha una settimana sette giorni hai per non morire. ll primo giorno ti svegli di scatto per poi guardare sotto al tuo letto. Il secondo giorno non sai cosa fare il mistero è profondo, non ti puoi salvare. Il terzo giorno qualcuno scompar...