9 - Mistake

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La porta cigolò sui suoi cardini, rimbombando come un pianto disperato lungo il corridoio e le scale e facendomi venire la pelle d'oca sulle braccia.

Avevo paura di guardare.

Lì dentro, a pochi metri da me, poteva esserci l'obbiettivo delle nostre ricerche, l'assassino di mio padre, il ragazzo che mi stava rovinando l'esistenza. Quante speranze avevo che fosse davvero lì? Era stato troppo semplice trovarlo e lui era troppo furbo per lasciarsi sconfiggere soltanto al secondo giorno. Eppure, quel rumore mi aveva fatto salire l'adrenalina a mille e mi aveva convinta dell'impossibile. L'avevo preso, non poteva scappare.

Trattenni il fiato e aprii gli occhi. Ero in biblioteca, circondata da alti scaffali di mogano rosi dai tarli e da migliaia di libri polverosi, alcuni antichi come la casa stessa. C'erano trattati di biologia e religione, documenti e disegni di artisti ormai deceduti, classici in edizioni pregiate.
C'erano tavoli, panche di legno e grandi vetrate a sesto acuto che confinavano le ombre nere negli angoli più remoti della stanza.

L'unica cosa, o meglio, l'unica persona che avrei voluto vedere era assente, inafferrabile come uno spirito. Strinsi i pugni lungo i fianchi. No, era impossibile che non si trovasse lì dentro. Avevo sentito un libro cadere e lui era l'unico altro essere vivente nella scuola. Doveva essere stato lui a produrre quel suono, non c'erano altre spiegazioni. Ma allora dove si era nascosto? Era ancora lì dentro?

Raggiunsi ad ampie falcate il centro della biblioteca e cominciai a girare su me stessa, analizzando ogni dettaglio, attenta a cogliere anche il più piccolo movimento. Sotto le tavolate lucide di cera, dietro agli scaffali disposti a raggiera, in mezzo alle tenebre soffuse negli angoli.

Niente, non era più lì. Avevo fallito di nuovo e questa volta mi ero anche illusa, avevo riaperto la porta alla speranza quando credevo di averla definitivamente sepolta nei recessi del mio cuore. E ora l'errore mi bruciava ancora più della prima volta, mi tormentava da dentro come un veleno. Strinsi i pugni fino a ferirmi i palmi delle mani con le unghie, fino a farli sanguinare.

Sarah fece un passo avanti, lasciando le altre tre ragazze abbracciate da sole sulla soglia. «Kay, abbiamo sbagliato, ma non è la fine del mondo. Torniamo di sotto...»

«Dove sei, lurido verme? Dove sei, ti nascondi di nuovo? Hai paura, ammettilo, hai paura di cinque ragazze ferite ed indifese, eh? Ho sempre pensato che non avessi una spina dorsale, ma ora me l'hai dimostrato!» esclamai invece io, facendo rimbalzare la mia voce contro le volte a padiglione della biblioteca, graffiandomi la gola con l'acidità delle mie parole. Sentivo il fuoco della rabbia corrodermi i polmoni e assorbire la paura di una sua eventuale reazione. Non temevo una punizione, volevo soltanto colpire il suo orgoglio, in un modo o nell'altro. La situazione non poteva peggiorare, arrivati a quel punto.

Sarah corse verso di me per tapparmi la bocca, ma ormai il danno era fatto e non ne ero affatto pentita. «Sei impazzita?» strillò lei, dandomi una spinta. Barcollai all'indietro, ma mantenni l'equilibrio e le gettai un'occhiataccia. «Nel giro di pochi giorni saremo tutte pazze, Sarah. Cominceremo ad accusarci a vicenda, a sospettare di ognuna di noi finché ci uccideremo a vicenda. Succede sempre così, succede sempre...» Mormorai fra me l'ultima frase, continuando a ripeterla come un mantra fino a farle perdere significato.

Sarah allungò una mano, preoccupata, nel tentativo di accarezzarmi i capelli, ma io zoppicai all'indietro. Raggiunsi uno dei tavoli e mi aggrappai ad esso come d un sostegno, tuttavia mi fermai di colpo quando colpii qualcosa di duro con il retro della scarpa, facendolo strisciare sul parquet.

Mi voltai, mentre sentivo i passi delle altre ragazze venire verso di me, mossi dalla mia stessa curiosità. Il mio cuore ebbe uno spasmo.

A terra giaceva un grosso tomo dalle pagine ingiallite, con una spessa copertina in cuoio marrone, screpolato dalle intemperie. Lo raccolsi con mani tremanti, lo capovolsi. Era pesante, senza un'intestazione a riportarne l'argomento né altri indizi che ne indicassero la datazione. Lo posai sul ripiano in legno, lontano da me, e rimasi a fissarlo. Sapevo, dentro di me, che quello era il libro che avevo sentito cadere, lo stesso libro che Andrew aveva fra le mani poco prima di fuggire chissà come dalla stanza.

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