2 - Curiosity

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Quelle parole. Quelle maledette parole...

Per tutte le sei ore di lezione non riuscii a fare altro che pensare a ciò che quell'idiota occhialuto mi aveva detto, sussurandomi all'orecchio come per rivelarmi un segreto. Mi aveva shockata, soprattutto perché raramente abbassavo la guardia al punto da lasciarmi cogliere impreparata.

Ma non ero spaventata, assolutamente. Nessuno poteva permettersi di spaventarmi, tantomeno uno sfigato come lui. Ero solo arrabbiata per avergli lasciato prendere l'iniziativa, come una sciocca senza spina dorsale.

Eppure mi sentivo anche... turbata. Non capivo da cosa dipendesse, se dal suo tono misterioso o dalla minaccia implicita che esso nascondeva, ma comunque fosse quel qualcosa mi era rimasto impigliato nel cuore, e lo faceva battere come le ali di un uccellino costretto in una gabbia troppo stretta.

"Accidenti Kay, cosa ti salta in mente? Quello che hai sentito non era altro che un discorso senza senso, pronunciato da un rammollito indegno anche solo di baciarti i piedi. Il re della marmaglia che ti circonda in questa catapecchia. Non devi preoccuparti di lui, Kay. Fingi di non provare nulla..."

Strinsi i pugni, accartocciando il foglio su cui stavo scarabocchiando e sul quale avrei invece dovuto prendere gli appunti di storia. Ero arrabbiata con me stessa. Il motivo? Il motivo era proprio il dover fingere. Volevo passare sopra quella faccenda con la mia solita calma, non far finta che andasse tutto bene mentre il mio cuore mi martellava lo sterno! Volevo poter ridere delle parole di Andrew, insultarlo e continuare a recitare la mia solita parte. Guardare tutti dal mio palco rialzato, vederli ugualmente inferiori, compreso lui.

Ma ciò non poteva accadere, finché non capivo come calmare il mio animo inquieto.

Sentii la campanella segnare la fine dell'ora, ma io rimasi seduta, le dita aggrappate alle pagine del mio quaderno, graffiate dai bordi taglienti dei fogli. Dovevo scoprire perché quel ragazzo, che avevo sempre ignorato, all'improvviso era diventato per me un chiodo fisso. Certo, non lo vedevo praticamente mai per i corridoi, se ne stava quasi sempre chiuso nella sua stanza, ma ero sicura che prima di allora non mi avesse mai provocato un simile effetto.

Qualcosa in lui non quadrava, affatto.

«Key, ci sei? Oggi sembri più scostante del solito. Dipende dalla nottataccia di oggi, non è vero?»

Scoccai uno sguardo lampeggiante a Sarah, dandole ragione senza volerlo. Ero più irascibile e fredda del normale, era vero, e in parte dipendeva dalla mancanza di sonno, ma anche le mie attuali preoccupazioni non mi rendevano certo la vita facile.

La mia amica si passò una mano fra i lisci capelli rossi e si aggiustò i grandi occhiali dalla montatura nera sulla punta del naso con fare clinico. «Kay, vuoi dirmi cosa ti prende? »

«Non sto molto bene. Sono stanca» sillabai.

«Tutto qui?» Inarcò un sopracciglio.

«Sì...»

«Quindi non c'entra nulla l'incontro con Slow di stamattina, giusto?»

Spalancai gli occhi, afferrando i bordi del banco con forza. Sentivo il legno entrarmi nei palmi, ma ero troppo scioccata per reagire. «Tu... hai sentito?»

«Se ho sentito come ti ha minacciata? Sì, è così. Ero proprio dietro di te in quel momento. Avrei voluto assestargli un pugno in faccia...»

«E perché non l'hai fatto?»

«Perché tu l'hai offeso pesantemente, Kay. Te l'ho detto, sei più antipatica del solito oggi.»

«Intendi dire che lo sono un po' anche gli altri giorni?» la presi in giro, cercando di spezzare la tensione. Non feci grandi progressi.

Sarah si sedette sul mio banco, scostandomi i boccoli biondi dal viso. «Sei preoccupata, non è vero? Lo so, lo vedo dai tuoi occhi. Se vuoi posso andare a parlargli, o...»

«Forse ho un'idea migliore» la interruppi. Mi era venuto in mente un modo per alleviare la mia affamata curiosità. Volevo scoprire qualcosa su quel nerd, non tanto perché mi interessasse, ma per prevenire qualche sua possibile mossa. E per capire se potesse effettivamente essere pericoloso.

E c'era solo un modo per farlo...

«So dove sono gli archivi. Una volta ho seguito mio padre fin lì. Mi accompagneresti?»

Sarah si morse un labbro dubbiosa. Sapeva che ciò che volevo fare, per quanto fossi la figlia del preside, era illegale, ma vedevo che voleva aiutarmi, e che l'avrebbe fatto. Infatti alla fine annuì, sorridendomi. «Andiamo.»

~•~

Gli archivi erano posti nello scantinato dell'edificio, ed erano composti da tre diverse stanze, tutte ugualmente umide e maleodoranti: una per i docenti, una per i collaboratori scolastici e l'ultima per gli studenti. Questa era ovviamente la più spaziosa, per quanto una lurida cantina piena di muffa potesse essere.

Gli schedari erano di legno scuro, mezzo marcio ma, incredibilmente, ancora stabile. Alti, pieni di cassetti divisi per lettere. Erano originariamente cassettiere, a parer mio. Mio padre era famoso per essere avaro, in quel posto cadente aveva rinnovato solo lo stretto necessario. Dubitavo avesse deciso di acquistare qualcosa che nessuno avrebbe mai visto. Un vero schedario d'acciaio inossidabile non sarebbe certo servito a fargli fare bella figura con gli esterni.

Mi fiondai sul cassetto contrassegnato da una strisciante S, appuntata in biro blu e sbavata dall'umidità. Sfogliai i fascicoli mentre Sarah si premurava di controllare l'entrata.

Li ripassai tutti più volte, dall'inizio alla fine e viceversa, e solo al quarto giro mi accorsi di una busta più piccola delle altre, tanto sottile da parere vuota. Il nome Slow occhieggiava storto sulla sua superficie, come se fosse stato scritto di getto, per fare in fretta.

Lo aprii. All'interno trovai il classico modulo di iscrizione, con i dati fisici e anagrafici e la fototessera. Notai che il  volto del ragazzo in essa era esattamente uguale a come l'avevo visto qualche ora prima, eppure a quei tempi doveva avere come minimo tre anni in meno...

Scossi la testa e controllai il foglio spillato sul retro, ultimo documento del fascicolo. Era una cartella clinica. Reparto di psicologia, lessi in alto. Che Andrew avesse dei problemi? Da quel che sapevo era orfano, forse era stato in terapia per superare la perdita.

"E se si trattasse di qualcos'altro? Se avesse qualche malattia mentale?" Inutile pensarci. Non potevo scoprire la verità con quel poco materiale, e i paroloni medici che descrivevano la sua patologia non mi dicevano nulla di sensato.

«Kay, hai finito lì? Ho sentito dei passi...» mi mormorò Sarah dalla soglia della porta. Rimisi in fretta i fogli a posto, cercando di risistemarli nello stesso punto in cui li avevo trovati.

Notai un foglietto incollato su un angolo dell'ultimo documento, e qualche appunto preso frettolosamente.

Strinsi gli occhi e riuscii a decifrare alcune parole. Qualcosa che assomigliava a "disturbi", "aggressività", " manie".

«Kay, veloce, arriva qualcuno!»

Lessi solo un'ultima parola, mentre Sarah mi prendeva per un braccio e chiudeva il cassetto nero con un colpo secco. Feci un verso strozzato.

"Omicidio"

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