5 - Fear

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Il primo giorno...

Un livido raggio di luce mi ferì gli occhi, attraversando le mie palpebre serrate. Grugnii, passandomi una mano sul volto, fino a coprirne la parte superiore con l'interno del gomito. Mi strinsi le gambe al petto e mi girai di lato, cercando una posizione più comoda con cui coricarmi e tornare a dormire fino al suono della sveglia.

Tuttavia, l'inconsueta sensazione del duro pavimento scheggiato contro il mio fianco sinistro mi indusse a sciogliermi dalla mia posizione fetale e ad aprire gli occhi.

La luce che mi aveva svegliata non proveniva dalla finestra, ma dalla fessura al di sotto della porta chiusa. La porta della mia camera, stanza dove possedevo un letto che, per quanto vecchio, era sicuramente più comodo del parquet consunto che ricopriva il pavimento. Cosa ci facevo stesa a terra, in mezzo alla polvere e agli insetti? Disgustoso... Sospirai. Io non ricordavo nulla, se non...

Mi risollevai di scatto, fra i gemiti dei miei muscoli contratti.

Il carillon.

Quel maledetto carillon.

Mi guardai intorno, timorosa di trovarmelo accanto da un momento all'altro, insieme a quella terrificante melodia che mi aveva accompagnata nel mondo dei sogni. O meglio, degli incubi. Avevo sognato urla di dolore e sangue, tanto sangue, scorrere sui muri, sui mobili, sulle mie stesse mani. Era stato orribile e terribilmente realistico.

Mi infilai le mani fra le mie ciocche bionde, ora sporche di batuffoli di polvere, mentre facevo scattare gli occhi da un angolo all'altro della stanza. Sentivo tutti i nervi del mio corpo in tensione come corde di violino sul punto di spezzarsi.

Dopo aver riscontrato che quell'aggeggio demoniaco era stato solo frutto di una cattiva digestione - doveva essere andata per forza in questo modo, non poteva esserci altra soluzione. Non una soluzione razionale - mi avvicinai al letto di Sarah.

La scossi per una spalla, tirando a indovinare in quale posizione questa si trovasse sotto alla montagna di coperte in cui la mia amica era avvolta. «Sarah... Sarah, svegliati.»

«Mmm... Cosa c'è, Kay? È ancora presto per andare in classe...» farfugliò. Liberando la testa dal suo bozzolo diede una sbirciata alla sveglia elettronica sul suo comodino, che confermava ampiamente la sua tesi. Erano appena le sei del mattino.

«Lo so, ma... ho voglia di uscire da qui.» Non sapevo nemmeno io perché volessi scappare dal luogo che, a ben vedere, era il più sicuro in cui stare, ma avevo una terribile sensazione. Certo, il carillon non esisteva davvero, ma io... Dannazione, non riuscivo a credere alle mie stesse parole! Dovevo controllare, verificare se ero effettivamente pazza o se tutta quella assurda situazione non era altro che la pura realtà.

Sarah mi rivolse uno sguardo stralunato, che divenne via via sempre più serio. Scostò le lenzuola dalle sue gambe e si infilò velocemente la divisa scolastica. La imitai, seppur con meno decisione, con gesti più isterici.

Quando fummo pronte posai una mano sulla maniglia della porta, tirandola verso il basso. Sbiancai.

La serratura era chiusa, e la chiave non era nella toppa. Non era normale: noi la lasciavamo sempre aperta di notte; abitando in un collegio, non dovevamo temere furti o cose simili.

Ma la porta era chiusa. Perché io l'avevo chiusa, la notte prima, e avevo levato la chiave... Spalancai gli occhi, mentre realizzavo cosa ciò stesse a significare. "Non è stato un sogno. Non è stato un sogno..."

Sarah mi toccò una spalla, confusa. «Cosa stai aspettando, Kay?»

«La porta... è chiusa. E non trovo la chiave.»

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