13 - Waiting

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Schegge di vetro si espansero sul pavimento con un rumore di speranze infrante. Tentai di calmare il respiro, ma sembrava tutto inutile. La rabbia era presente e vivida, impossibile da cancellare. Con un mugolio frustrato afferrai l'ennesima lampada di vetro verde dal tavolo della biblioteca e la scagliai a terra, accanto alle precedenti. Alcuni frammenti taglienti mi graffiarono le gambe, ma non me ne accorsi. Ero troppo furiosa per far caso al dolore fisico.

«Kay, smettila. Non risolverai niente distruggendo questo posto» mi riprese Sarah. Aveva un tono piatto. Non si era allontanata nemmeno per un secondo dal corpo esanime di Charlotte. Non aveva nemmeno pianto, però. Stava trattenendo tutte le emozioni dentro di sé. Forse si era finalmente resa conto della situazione. Si era resa conto che presto non sarebbe rimasta in piedi nessuna di noi.

Mi bloccai. Sul tavolo era rimasta solo una lampada, nell'angolo più lontano. La fissai per alcuni istanti, mentre elaboravo dentro di me tutto ciò che era accaduto fino a quel momento. Strinsi i pugni. Le unghie incisero mezzelune rosse sui miei palmi. Fu quella scintilla di dolore a farmi voltare verso la mia migliore amica. Aveva la testa inclinata in avanti, i capelli ramati come una tenda davanti al viso. La sua postura, dimessa e cascante, era un segno palese di come si stesse sentendo. Da schifo, ovviamente. Io non ero da meno. Quel piano era stato un'idea mia e Charlotte ne era rimasta impigliata come un pesce nella rete del pescatore. Ma la differenza fra noi era semplice. Io non ero il tipo da piangere sul latte versato, mentre lei sì. Lei faceva del senso di colpa il suo pane quotidiano e il solo essere rimasta illesa mentre Charlotte era priva di coscienza la stava tormentando. La conoscevo troppo bene per non capirlo. «Sarah, non risolveremo nulla nemmeno aspettando che quel mostro si faccia sentire di nuovo. Ormai è notte fonda, dobbiamo trovare un riparo dove portare Charlotte finché non si riprenderà.»

Sarah scosse la testa con veemenza e battè i pugni al suolo con un singhiozzo mal trattenuto. «E se non si riprendesse? Io sarei la prossima –» Si interruppe per poi esplodere nell'ennesimo singulto. Si portò le mani alla bocca. Tremavano. «Oh, Dio, sono diventata un'egoista» si lamentò fra le lacrime. Mi guardò con gli occhi arrossati. «Sto pensando a me, mentre lei forse resterà cosi per sempre. Che cosa sono diventata, Kay?»

Scossi la testa. Mi inginocchiai accanto a lei e la abbracciai. Non ero molto pratica nel consolare la gente, ma posai il mento sui suoi capelli e le accarezzai la schienza con delicatezza, sentendola scossa dal pianto. Alla fine era scoppiata. Forse era positivo. «Sarah, sono andata a recuperare tutto ciò che l'infermeria mettesse a disposizione, le abbiamo curato le bruciature e le ho fatto un massaggio cardiaco quando ha cominciato ad annaspare senza motivo, non c'è molto altro che potremmo fare. Dobbiamo solo aspettare. Nemmeno noi siamo al sicuro, non puoi colpevolizzarti se hai paura per la tua vita. È ovvio che sia così.»

Lei tirò su col naso ed emise un sospiro tremante. Tornò a sedersi accanto a Charlotte. La osservava come se non la riconoscesse, ora. «Dove possiamo portarla?» domandò poi a bassa voce.

Mi guardai intorno. Lo sguardo mi cadde irrimediabilmente sulla libreria caduta a terra e sulla pozza di sangue rappreso. L'odore era diventato disgustoso e l'aria irrespirabile, anche a causa della telecamera carbonizzata. Emanava un fetore acido di plastica bruciata che mi incendiava i polmoni ad ogni inspirazione. «Sicuramente non possiamo restare qui.»

«È già il quarto giorno?» balbettò Sarah seguendo il mio sguardo. Sapere che il corpo di Martha giaceva poco distante da noi era inquietante e triste al tempo stesso.

Guardai verso il lucernario. «Immagino che la mezzanotte sia già passata. Siamo qui dentro da ore. Quando sono scesa a cercare bende e disinfettante ho dato un'occhiata all'orologio a pendolo in sala comune. Erano le otto, perché ricordo di aver pensato a quando rubavamo gli avanzi dei dolci dalle cucine. Scappavamo sul retro appena finiva la cena perchè le cuoche erano occupate a sparecchiare.»

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