«Sei sicura di aver letto bene? Sicurissima? Magari si tratta soltanto di un errore di decifrazione. Sì, potrebbe essere andata così. In fondo, sai quanto i dottori possano scrivere male, a volte, e...»
Sbuffai, fulminando Sarah con uno sguardo. Stava strillando da troppo tempo per i miei gusti ed io non ero in vena per stare ad ascoltarla un secondo di più. «Se tu non mi avessi messo tanta fretta forse sarei riuscita a capirci qualcosa di più, non credi?» replicai piccata.
«Ma stava arrivando qualcuno! E poi, non sapevo avessi trovato qualcosa. Potevi avvisarmi!»
«Avvisarti? Dannazione, stavo leggendo la diagnosi di uno psicopatico serial killer! Ti sembrava il momento di fare conversazione?» Mi strinsi i capelli fra le dita, cercando di riprendere fiato. «Dio, Dio, Dio che situazione!»
La mia amica mi prese un braccio, inducendomi a rilassare i nervi. «Hai ragione, mi dispiace, Kay. Adesso però calmati, va bene? Calmati.»
Trattenni il respiro per eseguire il suo consiglio, ma la morsa che mi stringeva il cuore non accennava a scomparire. Mi sentivo svenire, avevo la testa pesante e continuavo ad udire un fischio fastidioso nelle orecchie.
E tutto a causa di una singola parola.
Espirai solo quando i polmoni presero a bruciarmi, ma nemmeno allora i miei battiti erano calati a livelli normali.
Cosa poteva significare ciò che avevo letto? Certo, non ero riuscita a codificare delle farsi complete, ma quel che avevo potuto capire era scioccante e spaventoso al tempo stesso. Omicidio... Omicidio! Quanti altri significati poteva avere questo termine?
"Forse... forse i genitori di Andrew sono stati uccisi da... qualcuno. Forse si riferiva a questo. Forse lui non è il pazzo criminale che sembra. Forse mi sto soltanto facendo prendere dal panico..." riflettei. Sì, come ragionamento aveva senso, in fin dei conti. Ma perché non riuscivo a crederci fino in fondo?
Deglutii e notai che Sarah mi stava fissando preoccupata. «Kay, non credo tu sia nelle condizioni di affrontare le lezioni pomeridiane» mi disse infatti, posandomi una mano sulla spalla. «Vai a riposarti un po'...»
«Non credo ci riuscirei. Ho bisogno di dimenticare tutto questo casino e stare da sola non mi aiuterebbe.» Non volevo ammettere di avere paura di restare sola, no, nemmeno con lei, che mi conosceva meglio di chiunque altro. Nemmeno con l'unica persona con cui riuscivo ad essere me stessa. O, a dire il vero, credevo di riuscire ad essere me stessa. A ben vedere, non mi fidavo neanche di lei. Non mi fidavo di nessuno.
Sarah sospirò, rassegnandosi a non contraddire la mia decisione. «Come vuoi. Ma se ti sentirai male promettimi di prenderti un permesso e correre in infermeria.»
Mugugnai, senza darle una vera risposta, giusto per accontentarla. Sapevamo entrambe che avrei fatto di testa mia in ogni caso.
Soprattutto ora che ero nella confusione più totale.
Una volta in aula ci sedemmo in banchi vicini, aspettando che le lezioni iniziassero. Cominciai ad estrarre il materiale dalla mia borsa, ignorando le voci di Charlotte, Lindsay e Martha che parlottavano fra loro e che cercavano di raggiungerci con i loro odiosi gridolini.
Strinsi il tessuto dell'astuccio fra le dita, prendendo respiri profondi. Dovevo mascherare le mie emozioni davanti a quelle ragazzine. Dovevo riprendere il controllo su di me, o le avrei lasciate libere di sottomettermi.
Ero quasi riuscita nel mio rituale e stavo per rialzarmi quando sentii qualcosa di strano dietro di me. Una sensazione pungente, come quando per strada cominci a sentirti seguita da qualcuno. Una presenza, alle mie spalle.
Per qualche motivo, sapevo di chi si trattasse ancora prima di vederlo.
Lanciai un fugace sguardo con la coda dell'occhio al banco vuoto dietro al mio. Banco che ora vuoto non era più.
Andrew mi scrutava con gli occhi grigi socchiusi dietro ai suoi occhiali rotondi da secchione. Non aveva tirato fuori dallo zaino nemmeno un quaderno, si limitava a fissarmi, impassibile.
Come se fosse venuto a lezione soltanto per me.
"Maledizione..." La cosa che più mi inquietava era proprio quella: lui saltava quasi tutte le ore, seguiva le spiegazioni dalla sua camera, faceva i compiti a computer. Non avevo idea di quale permesso speciale avesse per essere esentato dal presentarsi in aula, ma ormai era un fatto consolidato da tutti, nella scuola.
Ma ora lui era lì. Dietro di me.
E mi fissava come se volesse perforarmi la schiena con lo sguardo.
Tornai a voltarmi di scatto verso la cattedra, con il sudore freddo che cominciava a colarmi lungo il collo, scorrendo fino alla scollatura della camicetta. "Respira Kay, respira. Non può farti niente qui, ci sono testimoni..." mi ripetei, prima di darmi della stupida. "Ma che mi prende? Io non ho mai avuto paura di nessuno! Non so nemmeno se ciò che ho scoperto su di lui sia vero o no, perché diavolo comincio a preoccuparmi ancora prima che sia accaduto qualcosa? Che diamine!"
In qualche modo, riuscii a sopportare le sue occhiate per bene tre ore di algebra, troppo impegnata nello svolgere i complicati esercizi per far caso a lui. Avevo cominciato addirittura a rilassarmi, in un certo senso. I nervi erano più sciolti, il dolore al petto si era attenuato.
Almeno finché Sarah non se ne andò in camera, e io rimasi sola a sistemare il mio banco.
Almeno finché Andrew non si sedette accanto a me, afferrandomi un braccio con tanta forza da farmi gemere.
«Che... che stai facendo?» Imprecai mentalmente per aver balbettato di fronte a lui. Non volevo mostrarmi debole, soprattutto con quel ragazzo.
Quello che sembrava improvvisamente volermi staccare la testa dal collo.
«Volevo solo dirti una cosa, se mi permetti» disse a voce bassa. C'erano ancora due o tre studenti in classe, non voleva evidentemente farsi sentire da orecchie indiscrete. Avrei voluto che quelle orecchie fossero le mie...
"Kay, piantala. Non può farti del male, vuoi capirlo? È solo uno stupido sfigato, accidenti!" «No, non te lo permetto. Levati dai piedi» gli sbottai contro.
Sulle sue labbra si dipinse un ghigno che mi fece rabbrividire. Si tirò su gli occhiali con un dito mentre con l'altra mano afferrava una delle mie matite, ancora sparse sul tavolo.
Perché mi sembrava improvvisamente così appuntita? Vedevo il luccichio della luce sulla mina, come sulla lama di un coltello.
«Me ne andrò, ma prima ti dirò solo tre parole» mormorò lui, riportando i miei occhi nei suoi. Deglutii e in quell'istante si avvicinò a me, tanto da farmi sentire il suo respiro sulla pelle quando parlò.
Come in trance, sentii la punta della matita conficcarsi nel legno consunto del banco, ad un millimetro dalla mia mano, mentre lo stecco si spezzava in due con uno schiocco secco.
«Resta in ascolto.»
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Seven days
HorrorSette giorni ha una settimana sette giorni hai per non morire. ll primo giorno ti svegli di scatto per poi guardare sotto al tuo letto. Il secondo giorno non sai cosa fare il mistero è profondo, non ti puoi salvare. Il terzo giorno qualcuno scompar...