Il secondo giorno non sai cosa fare,
il mistero è profondo, non ti puoi salvare...Nero, buio, freddo. Vedevo e sentivo solo tenebre intorno a me, mi abbracciavano, mi stritolavano nella loro morsa letale. Mi sembrava di soffocare in un denso magma oscuro.
Poi una luce. Una lama bianca e brillante, che raggiunse la mia retina silenziosamente, senza che me ne accorgessi. Ci misi alcuni secondi per mettere a fuoco e altrettanti per capire che quella falce dipendeva dalle mie palpebre socchiuse.
Spalancai del tutto gli occhi e mi guardai attorno spaesata. Ero accasciata in modo scomposto sulle umide assi del pavimento, come la mattina precedente. Ma questa volta non mi trovavo nella mia stanza, no. Ero in soffitta, circondata da scatoloni polverosi, imballaggi e sporcizia. E dai corpi immobili delle mie amiche.
I ricordi di ciò che era successo prima e dopo che la luce saltasse mi affluirono alla mente come un fiume in piena, donandomi una scossa di adrenalina pura lungo la schiena. Quella stanza era così buia, buia e rumorosa. Il carillon... quella maledetta melodia... mi stavano perseguitando, ne ero certa.
O forse stavo semplicemente diventando pazza.
Ora il silenzio governava l'intero ambiente, tanto che mi sembrava di essere immersa nell'acqua di una piscina. E la luce entrava prepotente dalla finestrella circolare incassata nella parete, la stessa che avevo trovato sigillata e completamente inutilizzabile.
Qualcuno doveva essere entrato lì dentro, ne ero sicura. Potevo quasi sentire degli occhi insistenti fissarmi dall'ombra, nascosti fra le cianfrusaglie accatastate negli angoli...
Mi sfregai le mani sulle braccia per farmi passare i brividi e cercai di alzarmi per andare a controllare come stessero le altre ragazze. Non si erano ancora mosse, ma l'alzarsi e l'abbassarsi dei loro petti mi rassicurava quel tanto che bastava per non scoppiare a piangere.
Tuttavia, non riuscii a muovere nemmeno un passo prima di ricadere nuovamente a terra; una fitta lancinante era risalita lungo il mio polpaccio, costringendomi a lanciare un acuto grido di dolore e a dovermi sforzare per trattenere le lacrime. Abbassai lo sguardo verso la mia gamba e per poco non vomitai sul pavimento.
Vicino alla caviglia, sulla parte esterna, si estendeva un profondo squarcio, lungo una decina di centimetri. Era infiammato, i bordi rossi e gonfi, l'interno ancora lucido di sangue fresco, nonostante i grumi appiccicosi rimasti sul parquet rovinato. Era disgustoso, così come l'odore ferroso e dolciastro che emanava.
Ricordavo di aver sentito qualcosa toccarmi, nel caos provocato dal buio improvviso, ma per il panico che mi stringeva lo stomaco non avevo quasi sentito nulla, se non un lieve bruciore. Non mi capacitavo di come avessi fatto a non accorgermi di un taglio simile.
Il problema principale però erano le calze che indossavo e che si erano incollate alla ferita come avrebbero fatto con un barattolo di colla. Tentai di sollevarne un lembo, ma accantonai subito l'idea appena cominciai a sentire tirare le croste formatesi ai margini della ferita. No, non dovevo procedere con troppa fretta. Dovevo cercare del disinfettante, dell'acqua e delle bende, prima di provocare una nuova fuoriuscita di sangue. Ero già sopravvissuta per miracolo, avrei anche potuto dissanguarmi. Anzi, sarebbe stata l'opzione più probabile, il che riportava alla mia prima ipotesi: qualcuno doveva essere entrato e doveva aver fermato l'emorragia, forse con un impacco freddo, o con un laccio improvvisato.
Non sapevo cosa fosse più inquietante, se il carillon e la filastrocca che non mi davano pace o le premure di Andrew perché non morissi prima del previsto.
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Seven days
TerrorSette giorni ha una settimana sette giorni hai per non morire. ll primo giorno ti svegli di scatto per poi guardare sotto al tuo letto. Il secondo giorno non sai cosa fare il mistero è profondo, non ti puoi salvare. Il terzo giorno qualcuno scompar...