11 - Agony

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Ero disgustata. Spaventata, arrabbiata, nauseata. Un misto di emozioni contrastanti e insensate, perché sì, avevo sperato fino all'ultimo secondo di poter incastrare Andrew, ma avevo già la consapevolezza di non potercela fare. Mi ero illusa senza nemmeno rendermene conto, e insieme a me avevo trascinato nel baratro anche le altre. E ora? Ora una di noi sarebbe morta. O meglio, una di loro. Sapevo bene che Andrew mi avrebbe tenuta in vita fino alla fine, per vedermi soffrire più di chiunque altro. Mi odiava, ed io non potevo dargli torto, ma allo stesso tempo odiavo lui con ogni singolo atomo del mio corpo.

Mi alzai di scatto dalla sedia, gettando il mouse a terra e riducendolo in inutili frammenti di plastica e metallo. Un angolo della mia bocca si sollevò, solleticato da una strana voglia di ridere. Che fosse per la disperazione e per un iniziale avvento di pazzia non avrei saputo dirlo. «Sei sempre così divertente, Andrew. Divertente quanto il fatto che uno sporco assassino come te non si trovi a marcire in prigione.»

La sua risata acuta gracchiò attraverso gli altoparlanti, mentre le mie amiche spalancavano gli occhi, resi lucidi dal panico. «Che diamine stai dicendo?» mimò Sarah con le labbra, ma finsi di non vederla. Non volevo ragionare, non ora.

La voce del nostro aguzzino si diffuse nella stanza in quello stesso momento. «Kay, smettila con tutti questi complimenti. Mi farai arrossire.»

«Ti farei arrossire a suon di schiaffi, se potessi.»

«Proposta allettante, ma non provocarmi. Potrei ricambiarti in modo leggermente più violento.» Rise ancora, come se la sua fosse stata una semplice battuta. Ma sapevo bene che così non era. «Ed ora vi consiglio di correre. Io mantengo sempre le mie promesse. Preparatevi ad affrontare questa notte, vi rimane poco tempo.» E detto ciò il brusio del microfono cessò di colpo, insieme alla voce roca del ragazzo e alle sue minacce.

Imprecai, per poi tirare un calcio alla sedia di legno davanti a me. Quella notte. Era ancora presto, ma pensare che quelle sarebbero state le ultime ore per una di noi faceva sembrare il tutto più vicino e orribile.

Una mano si posò sulla mia spalla e per poco non fulminai Sarah con uno sguardo di fuoco. Non potevo prendermela con lei, non era lei la destinataria del mio odio, ma era così difficile trattenerlo. Lei tuttavia mi sorrise, seppur debolmente, come se non avesse notato le mie iridi dilatate e il respiro troppo rapido. «Abbiamo del tempo per organizzarci. Cerchiamo qualcosa da mangiare, medichiamoci le ferite e troviamo un modo per aggirare il piano di Andrew. Sono sicura che con un po' di calma capiremo cosa fare.»

Risi, ironica. «Vorrei essere altrettanto sicura, Sarah.»

No, in realtà non lo volevo. Volevo l'esatto contrario: smettere di sperare invano in una salvezza che non avremmo raggiunto. Smettere di sperare nella mia sopravvivenza, di dover mentire alle mie amiche, quando dicevo loro che non tenevo alla mia vita. Nella mia mente continuavo a ripeterlo, ma il mio cuore non ne voleva sapere.

Tuttavia non dissi niente, così come non avevo rivelato nessuno dei miei sentimenti prima di allora. Seguii le altre ragazze fino alla mensa, a testa bassa. Capii di essere arrivata a causa dell'odore dei corpi in decomposizione. Gli studenti morti due notti prima erano ancora lì, stesi sul pavimento, fra i tavoli, sulle panche. Alcuni senza arti, svuotati del loro sangue, la pelle livida e gli occhi opachi, vuoti. La puzza era insopportabile, tanto che il mio appetito, già tenue, se ne andò del tutto in pochi secondi. Bastò posare il piede in una pozza di sangue rappreso e appiccicoso per farmi venire un'improvvisa voglia di vomitare.  E, per una volta, ciò che mi turbava di più non era lo sporco indelebile sulle mie scarpe di marca. Quella che avevo davanti era una vista che non lasciava spazio a sciocchezze simili.

Lindsay stava piangendo da quelle che mi sembravano ore. Non aveva smesso da quando quel maledetto scaffale avevo ucciso Martha, e non capivo come il suo corpo potesse contenere tanti liquidi. Avevamo dovuto trascinarla fino alla cucina, mentre inciampava sui cadaveri e gridava. Ogni volta che si sentiva sfiorare dalla loro pelle gelida e bluastra lanciava urla disumane, come se la stessero dilaniando dall'interno. Era insopportabile.

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