L'agente spense la sigaretta nel posacenere di vetro con un'espressione seccata in volto.
La stanza degli interrogatori era caduta in un silenzio crepitante. Il suo collega, in piedi dietro la sedia della ragazza, lo guardava con occhi dubbiosi. Anche lui era incerto su cosa dire. Era stato costretto ad ascoltare la testimonianza di quella ragazzina per l'ennesima volta, ma come sempre lei sembrava non capire. Avevano provato a spiegarle come stavano i fatti, ma lei si rifiutava di ascoltarli, ripetendo costantemente la stessa storia. Ma il caso andava chiuso e lui ne era diretto responsabile.
«Senti, Kay. Sei stata ritrovata da una volante accasciata in mezzo alla strada. Ancora qualche ora e saresti morta dissanguata per le ferite che riportavi. Abbiamo aspettato che guarissi e ti abbiamo assegnato una psicologa per superare il trauma, ma ora non possiamo più attendere. Ciò che è successo nella scuola di tuo padre è grave e ci serve una pista vera da seguire. Sai cosa intendo con vera, giusto?»
«Ma io -» provò a protestare la ragazza, ma l'agente la fermò con un gesto della mano.
«No. Te lo ripeto ancora una volta: non abbiamo trovato nessun Andrew Slow o Finnegan iscritto alla scuola. Non abbiamo trovato nessun ragazzo della tua età che corrisponda a questo nome in tutta la contea, né che sia stato ricoverato alla clinica Clearwater di Newcastle. Nessuna informazione su qualcuno chiamato Rupert Trenton o Jacob Ivory. Non abbiamo nemmeno trovato il corpo della tua amica Sarah. Tutto ciò che ci hai detto non ha fondamento.»
Kay abbassò lo sguardo sulle sue mani. Aveva i polsi incatenati nonostante non avesse fatto nulla. Era per sicurezza, le avevano detto. «Io ho letto tutto questo su Internet. Lui potrebbe aver cancellato ciò che lo incriminava. Anche se pensavo di... Pensavo...»
L'agente scosse la testa. «Te l'ho detto. Non lo hai ucciso. Se, e dico se, questo ragazzo sia mai esistito davvero, non è rimasto nel collegio. Abbiamo controllato i passaggi segreti e non abbiamo trovato nulla se non nuda roccia. Nessun Andrew e nessun carillon. Gli altri corpi sono stati tutti identificati. Mi dispiace dirtelo, ma devi esserti immaginata tutto.»
Kay sbatté le mani sul tavolo di metallo. La guardia dietro di lei l'afferrò per le spalle e la rimise a sedere con la forza, ma la ragazza non cambiò la sua espressione rabbiosa. «Non ho immaginato quando mi ha ferito. Non ho immaginato quando ha ucciso le mie amiche, mio padre e i miei compagni di scuola. Non. L'ho. Immaginato!»
«Stai calma, per favore. Non giova alla tua posizione lasciarsi andare a escandescenze» grugnì l'agente, tirando fuori un'altra sigaretta dal pacchetto. «Al momento sei fra i sospettati, te ne rendi conto? Dovresti collaborare di più.»
«S - sospettati? Io? Ma è ridicolo! Quel mostro ha ucciso le uniche persone che avevo al mondo e ha cercato di fare lo stesso con me e voi pensate che possa essere stata io a fare tutto ciò? Ridicolo, dannatamente ridicolo.»
«Non sta a lei dire cosa sia o cosa non sia possibile. Ciò che lei ha raccontato non ha un riscontro nella realtà e potrebbe essere il frutto di una mente instabile. E una mente instabile può aver fatto questo e altro. Non possiamo escludere nessuna pista finché non ci dirà la verità. Considerando che lei è l'unica sopravvissuta alla strage e che la casa era serrata dall'interno...»
«Lui era con me» sussurrò la ragazza. I capelli biondi le coprivano il volto contorto dalla rabbia. «Lui era con me e per sette giorni mi ha torturata con i suoi giochi psicologici e -»
L'agente si alzò di scatto dalla sedia, che produsse un gracchio fastidioso sul pavimento di piastrelle scivolando all'indietro. «Ora basta. Sono stanco di sentirle raccontare questa storia. Questo ragazzo di cui lei parla non esiste, deve farsene una ragione. O ci dà delle notizie vere e verificabili o saremo costretti a tenerla ancora in osservazione o, peggio, in prigione, sono stato chiaro?»
Kay incassò la testa nelle spalle. La sua schiena si alzava a scatti insieme ai singhiozzi, ma l'uomo l'aveva già vista replicare quella scena più volte. Non avevano prove fisiche contro di lei, ma nemmeno a sua discolpa. Il caso però andava chiuso e lui non poteva perdere altro tempo.
Si passò una mano sulla fronte con un sospiro. «Riportala nella sua stanza. Domani sentiremo cosa ha da dire il giudice.»
«Vi prego, voglio solo vendicare Sarah! Solo questo. Vi prego, trovate quell'assassino, fatelo per lei, vi prego!» urlò a quel punto Kay, ma la guardia fu rapida ad afferrarla per le braccia. La fece alzare e la trascinò fino all'uscita mentre lei continuava a strillare parole vane. Percorsero la strada a ritroso dalla saletta per gli interrogatori verso la camera in cui l'avevano confinata in attesa della sua guarigione, un cubicolo di un bianco latteo arredato da un letto singolo e da un comodino.
Erano già sulla porta quando il poliziotto vide la ragazza sollevare la testa di scatto. La sentì irrigidirsi per poi tentare di correre dall'altra parte del corridoio. La bloccò appena in tempo, ma lei non smise di urlare come un ossesso. «Sarah!» ripeteva. «Sarah, sei davvero tu? Sarah, guardami, sono qui!»
L'uomo la spinse all'interno della sua stanza e la richiuse a doppia mandata. Dall'interno la sentiva battere con i pugni contro la porta senza smettere di gridare, ma non le diede corda, come gli avevano intimato di fare. Non si deve dare credito ai pazzi.
Fece per allontanarsi, quando vide che in effetti c'era qualcuno in fondo al corridoio, qualcuno che solo poco prima non era lì. Si grattò la nuca osservando la ragazza dai lunghi capelli rossi avvicinarsi a lui con un sorriso gentile sulle labbra. Indossava dei vestiti comuni, quindi non poteva essere una sua collega. D'altra parte sembrava anche troppo giovane per esserlo. Rimase fermo davanti alla porta per aspettarla. Quando furono uno di fronte all'altra lei sorrideva ancora, mentre l'uomo si sentiva imprigionato in una bolla trasparente. Avrebbe voluto chiederle che cosa faceva da quelle parti o chi stava cercando, ma tutto ciò che fece fu restare immobile e in silenzio, sopraffatto dalla nuova presenza. Come se si trovasse sotto l'effetto di un incantesimo.
«Buongiorno» lo salutò.
Lui non si mosse. Non poteva farlo.
Sarah annuì, come se comprendesse la sua situazione. Poi continuò. «Volevo solo che riferisse alla mia cara, vecchia amica Kay un messaggio da parte mia. O meglio, da parte mia e di Andrew. Dopo che glielo avrà riferito si punterà la pistola alla tempia e si ucciderà, in modo da non correre il rischio di testimoniare in favore di Kay sull'esistenza di Andrew. Ci siamo intesi?»
Questa volta l'uomo si ritrovò ad annuire contro la sua volontà. Aveva gli occhi spalancati per il terrore. Perché non poteva reagire? Cosa gli stava facendo quella ragazza?
Sarah sorrise di nuovo con tranquillità. «Bene. Riferisca pure a Kay che il gioco non è finito. Le manca ancora il suo settimo giorno.» Così detto lo salutò con una mano e gli voltò le spalle, tornando a camminare verso l'uscita.
Il poliziotto non poté evitare di sbloccare la porta della camera di Kay e di entrare. Non riuscì a impedirselo. Sarah si fermò alla fine del corridoio per controllare che facesse ciò che gli aveva ordinato. Chiuse gli occhi quando lo vide serrare la porta alle sue spalle. Attese. Passò un minuto e ci fu silenzio. Poi il rumore di un colpo di pistola infranse la quiete. Sarah sorrise fra sé.
Doveva passare ancora un giorno. Solo allora avrebbe portato a termine la sua missione.
Il settimo giorno.
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Seven days
HorrorSette giorni ha una settimana sette giorni hai per non morire. ll primo giorno ti svegli di scatto per poi guardare sotto al tuo letto. Il secondo giorno non sai cosa fare il mistero è profondo, non ti puoi salvare. Il terzo giorno qualcuno scompar...