Capitolo 20. Agguato

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«Attenta!».

Due mani solide e tempestive mi afferrarono all'istante, tenendomi sollevata a mezz'aria. Quando realizzai di chi fossero mi sentii svenire, tant'ero sorpresa e senza fiato.

John mi era così vicino. Mai lo ero stata in quel modo con uno sconosciuto. Con un altro, con chiunque altro estraneo avrei cercato sicuramente di divincolarmi. Ma stranamente non con lui. Non ebbi neanche il più piccolo istinto di respingerlo, né la volontà.

Non mi riconoscevo più.

Ci guardammo per quello che mi sembrò un momento interminabile.

Le sue mani erano strette attorno alla mia vita come le mie lo erano alle sue braccia muscolose. Mi guardava in modo così intenso, seducente, ammaliante... Ma vi era anche qualcos'altro: qualcosa che non riuscivo a decifrare nella profondità dei suoi occhi. Ancora una volta mi sembrò, come dire, come se riuscisse a vedere qualcosa a me sfuggente.

Il cuore mi batteva forte ma non per paura. Non riuscii a spiegare il motivo di queste mie nuove emozioni. Beh, perlomeno in seguito perché, sapete, in quegli attimi di improvvisa prossimità ebbi qualche leggero problemino di lucidità; tipo da non ricordare nemmeno il mio nome. Sì, insomma, una cosetta da niente.

Il desiderio di avvicinarmi ulteriormente al suo viso fu forte come in precedenza ma non osai muovermi, anche perché non riuscivo a muovermi, specialmente quando mi si accostò ancor di più con un movimento lento, appoggiandomi al carro.

Mi si mozzò il respiro.

Gli istanti mi sembravano ore, tutto era come rallentato.

Strinsi involontariamente la presa sulle sue braccia mentre il suo profumo delizioso mi avvolgeva e ancora una volta il mio cuore impazziva.

Era così vicino.

Chiusi gli occhi.

Che cosa sto facendo?

«Mh, mh».

Lo sentii schiarirsi sommessamente la voce e riaprii gli occhi come uscita da un sogno.

John aveva un'espressione strana ma non stava guardando me.

Seguii il suo sguardo fino a un punto alle mie spalle e mi accorsi, con non poco imbarazzo, che un lembo del mantello mi era rimasto impigliato in un pezzo di legno rotto sporgente.

Ecco perché mi aveva afferrata e avvicinata al carro.

Oh oh. Avevo capito male.

«Scusami», sussurrai con un filo di voce. Mi scostai velocemente di lato per permettergli di arrivare all'inghippo e liberarmi.

Mi adagiò delicatamente a terra, apparentemente senza il minimo sforzo, e si allontanò di qualche passo ma sempre senza smettere di guardarmi.

Per la prima volta lessi sul suo volto quello che mi parve imbarazzo.

«No, scusami tu. Mi ero ripromesso tante volte di ripararlo e invece...». Fu interrotto da un improvviso belare e si girò verso la fonte del gemito, distogliendo lo sguardo dal mio, concedendomi così di riprendere fiato.

Inspirai profondamente. Avevo trattenuto il respiro?

«Ehi, ma guarda chi c'è!». S'inginocchiò tendendo le braccia a Bianchina, la dolcissima capretta bianca che Brigid mi aveva presentato il primo giorno. Ci stava raggiungendo al galoppo.

«Ehi, ehi, piano, quanta fretta!», esclamò attutendo il colpo con le mani. La nostra amichetta non solo gli si era buttata addosso ma gli si era pure sdraiata addosso. Letteralmente. Era di piccola stazza ma ciò non risparmiò il mio salvatore dal perdere l'equilibrio e ritrovarsi a sedere.

Mi venne da ridere.

«Ma sei impazzita?», rise prendendola in braccio per poi alzarsi e portarla da me. «Ah... questa è una monella!», disse scherzosamente, dandole un paio di colpetti affettuosi sulla schiena. «Avete già fatto amicizia?», mi chiese.

«Sì, Brigid ci ha presentate», confermai in tono scherzoso, «ma ancora non si lascia avvicinare da me». E per l'appunto, quando provai ad accarezzarla, si agitò belando teneramente.

«È dolcissima», ridacchiai.

Eppure fortunata. Molto fortunata.

Va bene, lo ammetto: ero invidiosa di una capretta, tutto nella norma.

«Dolcissima? Ma cosa dici? Questa è da combattimento», mi rispose serio, tanto che per un istante mi venne il dubbio.

Subito dopo, la mia risata si unì alla sua; bella, piena, bassa, musicale e contagiosa come sempre.

«Eh sì, si vede che è aggressiva. Dev'essere piuttosto pericolosa», feci notare stringendo le labbra per non ricominciare a ridere.

«Pericolosa? Scherzi? Questa è letale».

Se non l'avessi vista forse sarebbe stato addirittura capace di convincermi, ma dubitavo fortemente che quel piccolo batuffolo di cotone tra le sue braccia fosse in realtà una spietata capretta assassina.

«Non ci credi?».

Mi sforzai ancora di non ridere. «Beh, devo dire che in particolar modo le corna fanno davvero paura». Ma ce l'aveva? Ah sì, eccole lì. Forse. Ma erano corna?

«E non hai visto ancora niente». Posò delicatamente a terra il fragile esserino che rimase lì a osservarci.

«Forza», le intimò cercando inutilmente di mantenere la voce seria mentre mostrava i pugni massicci. «Fatti sotto». Fece una finta e...

Bianchina schizzò via in un lampo, saltellando come una matta.

Tanto per cambiare scoppiammo a ridere. Mi coprii la bocca con le mani ma non servì a granché. Non riuscivo più a smettere e John non mi aiutava di certo.

«Aspetta, aspetta! Non è finita, sento che si vendicherà», bisbigliò con voce terrorizzata, procurandomi altre risate. Ma aveva ragione: Bianchina sbucò d'un tratto fuori da un cespuglio, prese la rincorsa, si alzò sulle zampette posteriori e cozzò contro il palmo della sua mano aperta – che da sola era grande quanto la sua testa – e ripeté, grattando lo zoccolo a terra per poi tornare alla carica.

Avevo le lacrime agli occhi: era così buffa! Poche volte avevo riso così tanto in vita mia. Ma poi accadde una cosa strana: John cambiò totalmente espressione. Fu pian piano come se ogni traccia di allegria svanisse dal suo volto. Guardava davanti a sé ma sembrava come non vedere niente. Sembrava... triste.

Si alzò in piedi, sospirò profondamente, e si voltò verso casa.

Seguii il suo sguardo e mi accorsi che non eravamo soli.

Oltre il tempo - Parte prima - Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora