«Quanto manca ancora?»
Chiedo ad Harry mentre mi torturo le unghie. È trascorsa già un'ora da quando Harry è passato a prendermi all'università, e della meta che dobbiamo raggiungere non c'è ancora nessuna traccia. Io sono annoiata, oltre ogni modo, perché il ragazzo accanto a me ha deciso di tenermi il broncio e di non proferire parola per l'intero il tragitto. Si limita soltanto a rispondermi male ogni qualvolta gli chiedo dove siamo diretti e quanto ancora impiegheremo per arrivare.
«Mancano ancora circa tre quarti d'ora, quindi smettila di chiedermelo ogni cinque minuti». Dice ed io sbuffo sonoramente facendogli intendere il mio fastidio. La pioggia ha smesso di cadere e non so più su cosa concentrarmi che non siano le gocce che ho terminato di contare sul vetro del mio lato del passeggero.
«Scusami se voglio sapere dove mi stai portando. Potresti voler uccidermi e nascondere le mie tracce in un posto in cui nessuno penserebbe di trovarmi». Scherzo, ma nella mia voce un pizzico di vero timore. Mi rendo conto della mia ridicola supposizione, ma non posso evitare che l'ansia, che mi accompagna perennemente in ogni momento della mia vita, si impossessi di me.
«Se avessi voluto ucciderti, avrei potuto farlo tranquillamente, senza tenerti in macchina con me per un'intera ora a sorbirmi i tuoi continui lamenti, non credi?» Mi lancia uno sguardo accompagnato da un sorriso, il che fa sorridere anche me, così mi copro subito la bocca per non dargli la soddisfazione di avermi contagiata. Ora che presto più attenzione, o per meglio dire, ora che sta sorridendo di puro gusto, noto un particolare che non avevo mai avuto la possibilità di cogliere, visto il suo perenne cipiglio: le fossette. Piccoli solchi nelle guance che gli garantiscono momentaneamente l'aspetto di un bambino felice. Me lo immagino sorridere più spesso, con un'espressione rilassata e con un carattere più sopportabile: sarebbe davvero perfetto.
«Vuoi toccarle per caso?» A questo punto scoppia in una fragorosa risata.
«C-cosa?» Fingo di non sapere di cosa stia parlando.
«So che le mie fossette mi garantiscono un aspetto ancora più sexy, ma se continui a guardarle in questo modo paleserai il tuo interesse nei miei confronti».
Perché sto arrossendo? Perché sento il bisogno di un bicchiere d'acqua che spenga il fuoco che arde all'interno dei miei zigomi?
«Interesse nei tuoi confronti? Ma senti» sbuffo. «Credi davvero di essere il ragazzo più bello che io abbia mai incontrato sulla faccia della terra?» Alzo gli occhi al cielo. Certo che è proprio convinto.
«Prova a negarlo». Alza un sopracciglio divertito e con aria di sfida.
«Sei affetto da narcisismo, per caso? Scendi dal piedistallo». Le mie parole non lo sfiorano nemmeno, anzi. Scoppia nuovamente a ridere.
«Sei carina quando ti arrabbi con me, il che capita la maggior parte del tempo, quindi sono abbastanza gentile da dirti che sei carina sempre e non solo quando assumi quell'atteggiamento da ragazzina insopportabile».
Cerco di non badare all'effetto che le sue parole hanno su di me, sebbene abbia l'incredibile capacità di farmi dei complimenti ed offendermi al tempo stesso, ma non ci riesco. Una strana sensazione si impossessa del mio stomaco e si accentua nel momento in cui accade qualcosa che potrebbe spingermi ad uscire da questa macchina nel bel mezzo della corsa solo per prendere una boccata d'aria fresca. Harry allunga la mano e la appoggia sulla mia gamba, con fare puramente casuale, senza attribuire alcuna importanza a questo gesto che, per me, di importanza ne ha.
Forse lo fa semplicemente con tutte le ragazze che frequenta e non intende infondermi tranquillità o calma; lo fa semplicemente per il gusto di farlo e di provocare in me una qualche sorta di reazione, che tra l'altro tento di ripremere sul nascere, ma senza ottenere concreti risultati. Abbasso quindi lo sguardo sui miei jeans e sulla mano adornata da anelli in argento che gli fasciano le dita e ho una voglia matta di sfiorarle e di rubargli un anello, ma sopprimo questo mio desiderio per evitare di cadere nel ridicolo.
Improvvisamente inizio a sentire caldo, fin troppo, ed apro il finestrino sebbene sia un contrasto con le basse temperature all'esterno. L'aria che penetra in auto agita i miei capelli ed anche suoi, da quanto riesco a vedere con la coda dell'occhio. Non ci penso proprio a guardarlo negli occhi ora come ora. Sono imbarazzata da lui già praticamente sempre, figuriamoci adesso che si sta comportando come se avessimo un legame che vada oltre la semplice conoscenza. Inizia a sfregare il pollice sulla stoffa del mio jeans ed io mi ripeto silenziosamente di smetterla di essere così tesa, di calmarmi, perché lui è troppo perspicace e capirebbe che effetto ha su di me. Sono convinta che lo ha già capito, ma è stato estremamente gentile a non farmelo notare, ed io lo ringrazio mentalmente.
«Di solito non lascio che nessuna prenda i miei anelli, ma se te ne piace qualcuno puoi prenderlo».
Cerco di non far caso al pronome indefinito usato al femminile che mi rimanda alle sue possibili e numerose relazioni e mi concentro sugli anelli, guardandoli per bene per scegliere quale prendere. Alla fine opto per uno in argento, con dei semplici intagli, e glielo tolgo. Provo ad infilarlo al mio anulare, ma è troppo grande, quindi lo ripongo nella borsa.
Toglie la mano solo nel momento in cui deve cambiare marcia e virare verso una stazione di servizio, uscendo così dall'autostrada imboccata già un'ora e mezza fa.
«È qui che avevi intenzione di portarmi?» Chiedo guardando il posto leggermente malandato. È una costruzione in legno, piccola e poco accogliente.
«Sono le quattro e tu non hai ancora pranzato. Siamo solo a metà strada, quindi ci conviene fermarci prima che cali il buio».
«Ciò significa che manca ancora un'altra ora e mezza prima di arrivare?» Chiedo con le mani sui fianchi. Sono stanca e come se non bastasse dovrò passare altro tempo in silenzio, col timore di dire qualcosa di sbagliato e farlo arrabbiare da un momento all'altro. D'altro canto, sono felice che si sia preoccupato del fatto che sono a stomaco vuoto e che non mangio praticamente dalla colazione di stamattina. Parcheggia la macchina proprio accanto all'entrata della piccola struttura ed, inaspettatamente, cammina verso la mia portiera per aprirmela ed invitarmi a scendere. Sorrido di sbieco, ma lui mi guarda male, così ritorno improvvisamente seria e lo seguo verso l'interno.
Scorgo l'unico tavolo per due libero e lo indico ad Harry, che mi supera per raggiungerlo. Due menù sono posti di fronte ad entrambi e prima che il cameriere arrivi, inizio a dare uno sguardo. Harry mi dice che ha optato per un semplice cheeseburger ed una porzione di patatine, così per evitare di impiegare troppo tempo per via della mia costante indecisione, lo seguo a ruota. L'intero pranzo si svolge in silenzio: solo il brusio delle persone che ci circondano a tenerci compagnia. Harry paga per entrambi, dopo un litigio di ben dieci minuti e dopo che ha provato per ben sei volte a prendermi la borsa ed alzarla sul suo capo, consapevole del fatto che lui è più alto di me e che non sarei mai riuscita ad averla indietro.
«È ora di andare». Dice in tutta serietà e mi guida vicino alla macchina.
A stomaco pieno, mi sento un po' più pronta ad affrontare un'altra ora e mezza con lui.
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DIVERTISSEMENT
FanfictionHarry Styles, ventitré anni, è uno dei ragazzi inglesi più belli ed incasinati di Washington. Persi i genitori, Harry non sa più cosa farsene della sua vita. Il suo rifugio? Il divertimento. Quello stesso divertimento definito da Blaise Pascal, filo...