10.

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A svegliarmi fu il rumore fastidioso alla porta.
Qualcuno stava bussando così violentemente che temetti volesse far cadere la porta. Non che ci volesse molto, in realtà.
Il sole entrava impertinente attraverso la persiana rotta della finestra. Provai ad alzarmi, ma la testa mi faceva troppo male.
Non capivo come facesse Clay a dormire su quei cosi. Erano tremendamente scomodi, mi era bastata una sola notte per spezzarmi la schiena.
I capelli erano un nido arruffato di nodi. Sentivo il mascara sciolto sulle palpebre. Dovevo avere un’aspetto orribile.
La persona fuori dalla porta bussava sempre più forte, così con fatica mi rialzai.
Il bussare cessò, e la porta si aprì rumorosamente.
-Kira!-
La voce di Jesse era così alta che fui costretta a tapparmi le orecchie. La mia testa chiedeva pietà.
-Dove sei!-
Apparve sulla porta è si bloccò sull’uscio. Sembrava sorpreso di vedermi. Non doveva aver chiuso occhio, conclusi osservando le sue occhiaie i capelli più arruffati del solito, come se ci avesse passato le mani più volte, come faceva quando era nervoso.
Mi raggiunse in poche falcate, sovrastandomi con la sua altezza.
Le sue pupille dilatate mi squadravano sorprese, facendomi diventare più piccola davanti ai suoi occhi. Doveva aver appena tirato.
-Che cazzo ci fai qui!- urlò afferrandomi il polso e facendomi uscire dalla stanza.
Il passaggio fu bloccato in corridoio da Clay, che ci guardava confuso e ancora visibilmente mezzo addormentato.
-Ciao bro.-
-Ciao Bro un cazzo! Ma che fai? Mi vuoi uccidere la ragazza? Guarda come cazzo è ridotta porca puttana!- le sue vene del collo si ingrossarono.
Non mi piaceva. Non mi piaceva il fatto che fosse perennemente arrabbiato.
-Kira, aspettami in macchina.-
-No.-
-Aspettami giù t'ho detto!- mi urlò in faccia, stringendo più forte il polso che non aveva mai mollato.
-Smettila di fare il cazzone Jess. C’è gente qua affianco, non mi va di dormire in macchina.-
Mi divincolai dalla sua presa ferrea, uscendo dall’appartamento di Clay.
Mi massaggiai il polso, scendendo le scale a due a due, bisognosa di respirare aria fresca.
-Ciao.-
Mi bloccai al primo piano.
A parlare era stata una bambina, seduta sullo scorrimano tremolante delle scale.
Mi guardava con i suoi grandi occhi neri, truccati malamente di blu cobalto.
Indossava un vestito a strisce colorato, e ai piedi aveva delle vecchie adidas sporche. I capelli lisci e neri corvino raccolti in una cosa bassa .
Doveva avere dodici anni o poco meno, e mi guardava curiosa, quasi incantata.
-Ciao.-  Risposi esitante.
-Io mi chiamo Gracey. E tu?-
-Ki…Cookie.-
-Tu vivi qui?- mi chiese, leccando il suo lecca lecca.
-No.-
-Cookie è un nome molto strano.- Disse a bassa voce, pensando a voce alta.
-Puoi dirlo forte.-
-Ti piacciono i biscotti?-
-Certo.-
-Forse è per quello che ti chiami così.-
-In questo caso tu dovresti chiamarti lecca lecca.-
La bambina scoppiò a ridere, facendo cadere a terra il suo dolce, senza quasi accorgersene.
-Ti va di giocare con me, Cookie?-
Sentii la porta al piano superiore sbattere violentemente, e i passi pesanti di Jesse scendere le scale.
-Devo andare. Ciao Gracey.-
Uscì dal condominio velocemente, salendo nella vecchia auto rubata di Jesse.
Lo vidi raggiungermi in grandi falcate.
Era visibilmente alterato. Che cosa aveva detto a Clay?
Salì, sbattendo lo sportello violentemente. Bevette quello che doveva essere Whiskey o qualcosa del generedalla sua fiaschetta.

 Bevette quello che doveva essere Whiskey o qualcosa del generedalla sua fiaschetta

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Mise in moto e nessuno dei due disse nulla. Il tragitto proseguì in silenzio, l'aria tesa intorno a noi era papabile. Stringeva il volante con forza, le noche delle dita arrossate.
Che si fossero picchiati?
Jesse accostò bruscamente affianco alla roulotte.
Non scendemmo subito dalla macchina. Guardò di fronte a se, gli occhi vacui e l'espressione tesa.
Il suo naso cominciò a sanguinare ma lui sembrò non farci caso nemmeno quando glielo feci notare. Poi, come se si fosse appena risvegliato, si pulí il naso con la mano e finalmente mi guardò.
-Dobbiamo parlare. Sono così incazzato con te che ora come ora non vorrei nemmeno stare nello stesso posto con te, ma dobbiamo parlare-
Non dissi nulla, e lo seguii all’interno della roulotte.
La prima cosa che feci fu dirigermi in bagno. Mi guardai allo specchio, sorpresa dal mio stesso riflesso.
Come immaginavo, avevo un'aspetto orribile. Il fondotinta si era sciolto e  quasi tutto il resto del trucco era scomparso, rivelando il mio vero aspetto. Non indossavo nemmeno le lenti azzurre. Se qualcuno mi avesse vista in quel modo…
Gracey.
Gracey mi aveva vista e anche bene. E se mii avesse riconosciuta? No, una bambina di quell’etá non guardava i notiziari.
O almeno era quello che speravo.
Tornai in salotto, il panico che mi tormentava. No, nessuno mi aveva vista. Gracey probabilmente si era già dimenticata di me.Presi un’aspirina per quell’ mal di testa martellante e mi sedetti sul divano, ben distante da lui.
-Ti sei fatta ancora, stanotte.- sputò acido.
-Jes…-
-La verità, Kira.-
Annuii solamente, guardando da un’altra parte.
-Perché sei andata a casa di Clay?-
-Perché ero, anzi sono, arrabbiata con te.-
-Gesú Kira,ma non capisci che sto solo cercando di proteggerti? Perché mi fai questo?-
-Io ho…ho agito di impulso! Avevo bisogno di stare lontano da te. Come hai detto tu,non riuscivo a condividere lo stesso posto con te. E non prendertela con Clay.-
-Non dovrei prendermela con lui? Ti ha dato la bianca, avete passato tutta la notte a strafarvi, cazzo! –
-Io…io non…-
-Mi sono stancato, Kira. Vuoi rovinarti la vita! Grandioso, fallo! – prese una dose dalla tasca, sbattendola sul tavolino di legno.
-Dai, tira, io non ti fermo. Non più.-
-Jesse che stai dicendo?-
Si avvicinò minacciosamente, fulminandomi con lo sguardo.
-Sniffala.-
-No…-
-No? Morivi dalla voglia di sballarti, ecco qua. Davanti a me. Ti sto anche dando il permesso. Su, Kira. Tira da quel bel nasino la polvere che ti piace tanto.- disse mostrandomi un sorriso sghembo.
-Io vado a farmi una doccia.-
Mi alzai, ma non potei fare nemmeno un passo, perché Jesse mi fece sedere nuovamente, tirandomi il braccio e issandomi al suo fianco, impedendomi di fuggire.
-Fallo.- mi sussurrò fra i capelli.
-Non mi va ora. Dai…-
-Questo tossico del cazzo ti sta dicendo che lo puoi fare.- Mi circondò le spalle con un braccio, attirandomi a se.- Fatti due righe, tesoro.-
-No…-
-Sniffala.-  Mi guardò negli occhi, improvvisamente più freddi. Il suo sguardo glaciale mi intimoriva.
Provai a spostarmi,ma non me lo permise.
Deglutí, e con le mani tremanti aprii la stagnola e stesi la coca sul tavolino.
Velocemente  mi chinai e  sniffai tutta la dose. Dio, come sembrava così famigliare.
Si alz osservandomi dall'alto per diversi secondi.
Mi afferrò il mento dolcemente, chinandosi su di me.
-Volevi che non ti dicessi più nulla, che ti lasciassi fare le tue esperienze di vita? Lo sto facendo, amore mio.- mi sorrise, un sorriso inquietante e non uno di quelli a cui ero abituata.
Lo guardai uscire dalla stanza, e scoppiai a piangere per l'ennesima volta.

Ho scritto una nuova storia d'amore, intitolata " Perdoname, madre".
È un genere diverso dal solito, perciò se vi va dateci un'occhiata e ditemi che ne pensate ^^

BLOWHOUSE - La cura Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora