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Non riesco a smettere di guardare il video sui media. (Guardatelo e gustatevelo)
Sono stata travolta dall'ansia durante la scrittura di questo capitolo, l'ho scritto tutto d'un fiato e spero che vi piaccia.
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Dopo l’accaduto, Jesse non mi rivolse più la parola.
Provai ad avvicinarmi, nonostante fossi ancora arrabbiata con lui, ma riusciva sempre ad evitarmi.
La maggior parte del tempo la passava fuori casa, e io me ne stavo da sola a guardare film scadenti e a pensare a quello che avevo fatto, a cosa avevo sbagliato per meritarmi quell’indifferenza. Me ne stavo sola con la mia mente e con le domande che si poneva. Ero diventata un problema, o forse lo ero sempre stata.
Clay non era più venuto, il che era strano, visto che passava l'ottanta per cento del tempo qui. Jesse usciva sempre, senza avvisarmi e facendomi preoccupare. Tornava sempre tardi, spesso lo sentivo, e dormiva sul divano.
Quella situazione iniziava ad infastidirmi. Non avevo già sofferto abbastanza? Hai ucciso la tua sorellina, te lo meriti e come. Dovresti essere chiusa in prigione, magari fino alla morte, anzi, forse ti meriteresti la pena di morte. E invece sei qua, con addosso vestiti griffati, droga gratis e un letto caldo. E ti lamenti se il tuo ragazzo ti da della pazza?
Sapevo sin dall' inizio che tutto questo era troppo grande per noi. Non si può fuggire dall’inevitabile. Come potevo pretendere che Jesse sopportasse tutto questo per me? Ha messo in pericolo la sua vita, per me.
Non era lui il colpevole in questa storia. Non potevo tenerlo intrappolato per sempre. Gli stavo impedendo di farsi una vita normale, come tutti i ragazzi della sua età.
Potrebbe finire in prigione, e sarebbe tutta colpa. Avrei potuto evitare di perdere anche l'unica persona che contava nella mia vita, se me ne fossi rimasta all'ospedale.
Non potevo fargli questo. Lui non lo meritava.
Presi il borsone di Louise Vuitton che mi aveva regalato qualche giorno prima, prima che litigassimo, e ci infilai alla rinfusa qualche indumento invernale. Non avevo molti soldi, ma me li sarei fatta bastare finché non avrei trovato una soluzione. E la soluzione migliore era solo una. Consegnarsi, pagare per quello che avevo fatto.
Arrendermi.
Mi sistemai meglio il trucco prima di uscire. Non volevo farlo realmente. Io l'amavo, e lasciare una persona che si ama è sempre doloroso. Ma è proprio perché lo amavo, che dovevo lasciarlo libero.
Forse sono stata così egoista da non pensare a come si poteva sentire Jesse.
Era pomeriggio inoltrato, fuori era buio pesto e l'umidità s'infiltrava sui miei capelli biondi.
Guardai la roulotte alle mie spalle. Avrei dovuto scrivergli un biglietto, forse. Ero così vigliacca da non riuscire nemmeno a dargli una spiegazione.
Non avevo preso molti vestiti, e probabilmente avrebbe capito che me ne stavo andando per sempre solo quando avrebbe notato la mancanza del borsone .
Uscì dalla vegetazione, ritrovandomi nella strada deserta.
Dove ero diretta? Non lo sapevo.
Ovunque, dove mi avrebbe portata il destino.

Jesse Pov
Parcheggiai la vecchia auto affianco alla roulotte. Diedi un occhiata all'orologio. Era molto tardi.
Le vendite stavano andando alla grande e presto avremmo dovuto spostarci ancora, per gli affari di Juan.
Uscii dall’auto stringendomi nel cappotto e coprendomi la testa col cappuccio dalla pioggia battente. Faceva più freddo del solito, Quella sera.
Entrai nella roulotte e accesi la luce. Quel silenzio era così triste.
Andai in frigo e feci per prendere una birra, ma poi cambiai idea e aprì un coca cola.
Ero stanco, volevo buttarmi sul divano e dormire subito, ma avevo bisogno di togliere quei vestiti bagnati.
Mi diressi in camera cercando di fare meno rumore possibile, maledicendo il cigolio della porta, sperando di non svegliarla dal suo sonno leggero.
La stanza era così buia che sbattei il mignolo sullo spigolo del letto, imprecando a voce alta.
-Scusa, non volevo svegliarti.- Dissi immediatamente, sapendo che si svegliava anche con uno sbuffo d'aria.
Non mi rispose.
Strizzai gli occhi, cercando di vedere la sua figura nell'ombra.
-Kira?-
Accesi la luce, capendo perché non mi aveva risposto.
Nel letto, non c'era nessuno.
Andai a vedere in bagno, trovandolo vuoto.
Uscii fuori, bagnandomi ancora e cercandola dietro alla roulotte.
Ma Kira non c'era.
Provai a chiamarla al cellulare, trovandolo spento.
Doveva averlo fatto ancora. Quella volta in cui avevamo litigato, Clay l'aveva fatta dormire da lei.
Digitai velocemente il suo numero.
Mi rispose dopo molto.
-Bro?-
-Passamela.-
-Chi?-
Alzai gli occhi al cielo. -Kira.-
-Kira?-
-Portala a casa.-
-Di che cazzo stai parlando?-
-So che non vuole parlare con me, e nemmeno io, ma non voglio più litigare. Diglielo e riportarla indietro.-
-Kira non è qui.-
-Non prendermi per il culo.-
-Amico,non la vedo da due giorni.-
Clay non mi avrebbe mentito. Perché dovrebbe?
Il panico mi assalì, facendomi rabbrividire.
Che diavolo stava succedendo?
Quello che provai fu simile al sentimento che provai quando mi dissero che mio padre era morto, quando ero molto piccolo.
-Jesse, ci sei? Che succede?-
-Kira non è qui.-
-Che significa che non è…-
-Raggiungimi subito, Clay.-
Riattaccai, entrando letteralmente nel panico.
Provai nuovamente a chiamarla, sperando inutilmente di trovare il suo telefono acceso.

BLOWHOUSE - La cura Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora