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Eravamo in viaggio da ore.
L'aria all’interno del camper era diventata soffocante.
Eravamo arrivati in California più presto del previsto, grazie alla guida spensierata di Jesse.
Non avevamo idea di dove fossimo diretti. Viaggiavamo e basta, aspettando qualche sento divino, ma a nessuno lassù sembrava importare di noi.
“avvistato il camper dei fuggitivi Kira Maxwell e Jesse Houseman trenta minuta fa, alle 13:30 nei pressi di un diner a Baggor, California.”
Questo era quello che diceva il notiziario alla radio, sempre aggiornato dai giornalisti e poliziotti che ci stavano alle calcagna .
Jesse guidava senza maglietta, il sudore che gli colava sul petto lucido.
-Merda. Dobbiamo far perdere le nostre tracce.-


Ma sapevamo entrambi che non era possibile. Ci seguivano da due giorni, e presto la benzina sarebbe finita o un elicottero ci avrebbe avvistato.
Sapevamo entrambi come sarebbe andata a finire.
-Hai detto che avresti voluto vedere il grand canyon.- disse Jesse in un sussurro.
Lo guardai confusa ed annuii.
Jesse indicò il cartello sul ciglio della strada.
“Benvenuti nella Death Valley”.
Era la verità, era uno di quei posti che avevo sempre voluto visitare. Ricordavo che qualche anno prima, Zach e Jazmin avevano organizzato le vacanze estive proprio lì, e per quanto io li odiassi, non avrei rinunciato per nulla al mondo quella vacanza. Successivamente avevano dovuto annullare tutto per, beh, altri impegni di estrema importanza.
Quando sentii Jesse singhiozzare, mi voltai sconvolta. Jesse stava piangendo. Non aveva mai pianto in quel modo, se non per quella volta che ero scappata e lui mi aveva trovata in una fermata dell’autobus.


-Jesse! Calmati! – gli accarezzai la schiena, e avrei voluto aggiungere  che sarebbe andato tutto bene, ma era inutile continuare a illuderci, come avevamo fatto sin dall’inizio.
Improvvisamente il camper inzió a sobbalzare e a procedere più lentamente.
Guardai il misuratore della benzina, notando che era completamente terminata.
-Non abbiamo altre taniche?-
Jesse scosse la testa, stringendo con rabbia il volante.
Quando ci fermammo del tutto, pochi metri dopo, Jesse lanciò un urlo disperato, e si lasciò andare pesantemente contro il sedile, arreso.
Eravamo Fermi in mezzo al deserto, a pochi passi da decine di poliziotti che non aspettavano altro che quel momento.
-Non posso vivere senza di te, Jesse. Ci separeranno! Chissà dove ti manderanno! Sicuramente più lontano possibile da me,  e probabilmente nemmeno nello stesso stato! Come faccio! Non posso, non posso stare lontano da te per così tanto tempo! – gridai d’impulso, iniziando a piangere insieme a lui.
Jesse mi attirò a se, abbracciandomi stretta, ed era così doloroso pensare che sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio.


-Se non posso vivere insieme a te, è meglio non vivere.- sussurrò Fra i miei capelli.
Quando mi staccai, aveva smesso di piangere.
-Cosa  mi stai dicendo, Jesse?-
-Ci divideranno, Kira. Lo sai quanti anni ci daranno? Gesù, non te lo immagini nemmeno. Siamo in America, qui. –
-Io non voglio andare in prigione! O almeno non senza di te! Con te andrei ovunque!-
-Ovunque?-
Annuii decisa, realizzando solo in quel momento , nel bel mezzo del nulla, che avrei per sempre perso l'unica persona che avevo amato.
-Ti fidi di me, Kira?-
-Ma certo Jesse.-
Jesse mi fece sedere sulle sue ginocchia, senza mai annullare il nostro, molto probabilmente, ultimo contatto fisico.
-Non ci faranno mai stare assieme. Che senso ha vivere, se non possiamo stare insieme? Preferisco morire, piuttosto che separarmi da te.-
Avvicinai la mia fronte alla sua, trattenendo le lacrime. Non avevo mai provato un dolore così forte come in quel momento.
-Si, Jesse. Non avrebbe senso. Starei così male senza averti al mio fianco. –
-Si, è così. Non ci possono separare, se siamo morti. Non potrei sopportare un cosa del genere.-
Annuii, e non ci pensai nemmeno più di tanto mente preparava con minuziosa attenzione due dosi con tutta la cocaina che ci era rimasta, che solitamente ci bastava per due giorni.
Non lo fermai mentre mi iiniettava la dose letale nelle vene bluastre e pulsanti, perché sapevo che era giusto così. Mi fidavo di Jesse, e avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
Qualsiasi.
Quando mi iniettó per la prima e ultima volta la coca endovena,  e capii realmente perché Jesse non era riuscito a fare a meno di bucarsi.
La sentii arrivare, la botta, dritto al cuore. Faceva quasi male, ma probabilmente per il mio stato d'animo. Mi sembrava di oscillare nel nulla, di aver preso una violenta e bellissima scossa di adrenalina pura.

Vidi il mio sangue schizzare fuori dalla siringa e Jesse intendo a preparare la sua dose mortale.
Fece da solo, mentre lo guardavo con occhi spalancati .
Sarei stata in grado di fare tutto, in quel momento. Forse avrei potuto correre così velocemente che nessun poliziotto avrebbe potuto prendermi.
La botta non durò a lungo, meno del solito, anche se decisamente più intensa, e il down si impossessò del nostro corpo e della nostra mente velocemente.
Era il due settembre e l'ultima volta che avevo guardato l'orologio erano le due e un quarto.
Nonostante la Death valley fosse considerata  il posto più caldo d'America e probabilmente del pianeta, io il caldo non lo sentivo più.
Non lo sentivo più da un po’ di tempo.
Riuscivo a sentire il sudore scorrere lungo il mio corpo, i capelli attaccati alla fronte e i vestiti fradici, ma non avevo caldo.
La moquette era dura contro la schiena bagnata ma non me ne importava.
Era come se non fossi dentro al mio corpo, come se tutte le sensazioni umane non mi appartenessero più.
Sentivo il rumore fastidioso del vecchio  condizionatore malfunzionante. Girai la testa verso Jesse, steso al mio fianco a testa in giù, potevo vedere solo i suoi occhi.


Mi sembrò che la moquette verde puzzasse. Un odore a malapena impercettibile, ma fastidioso.
O forse era solamente l'odore dei nostri corpi.
Quel camper in cui avevo vissuto per così tanti mesi non mi sembrava più così spazioso.
Le mura si stavano avvicinando, ci guardavano ed io mi sentivo soffocare.
Non riuscivo però ad alzarmi,  non che volessi farlo. Ero anestetizzata, non potevo muovere un solo muscolo.
Era angosciante, ed anche se sapevo che era tutta un'illusione e che le pareti di un camper non potevano prendere vita e schiacciarti, io avevo paura.
Anche se i miei occhi erano aperti, non vedevo nulla, intorno a me.
Guardai Jesse e fui felice di riuscire a vederlo.
I suoi occhi erano quasi del tutto chiusi, e il suo respiro leggero mi accarezzava le guancie, e sentii che le pareti si allontanavano.
-Jesse.- Riuscii a sussurrare.
-Kira.- le sue labbra secche pronunciarono il mio nome con difficoltà,  ma la sua voce mi tranquillizzò immediatamente.
Erano le due un quarto del due agosto a Death Valley, California,  e non potevamo  trovarci in un posto migliore di quello per fare quello che dovevamo fare.
Avevo sonno, volevo appisolarmi solo qualche minuto, ma avevo paura di poter perdere quei pochi istanti che rimanevano da spendere con Jesse.
-Toccami. -
Iniziò a respirare con difficoltà,  e avrei voluto aiutarlo, ma sapevo che non c'era più tempo.
-Non riesco a muovermi.- Disse solamente.
Avevo bisogno del suo tocco ancora una volta.
Mi concentrati sui miei muscoli e guardai il mio braccio, pregandolo perché facesse ancora un'ultimo sforzo.
Tremante, si mosse.
Avvicinai la mia mano al suo viso, scostandoli i capelli lunghi dalla fronte imperlata di sudore.
Erano le due e un quarto nella Death Valley e il termometro segnava 48 gradi.
Ma io non sentivo caldo, e non certo Grazie al condizionatore.
Presto smisi di sentire anche quello.
Riuscivo ancora a sentire Jesse. Dovevo essere ancora lì, distesa sulla moquette verde, ad aspettare. Riuscivo ancora a formulare un pensiero, e mi chiesi se per Jesse era lo stesso.
Riuscivo ancora a vederlo, se pur sfocato.
I suoi occhi rossi si schiudevano e aprivano spesso, lottando per restare vigili.
Volevo che mi parlasse ancora, perché amavo il suono della sua voce e mi faceva stare bene.
-Ci stanno venendo a prendere, Jesse.- riuscii a dire difficilmente.
-Sì. -
I nostri nasi si sfiorarono ma non riuscii ad avvicinarmi di più.
Sperai che anche Jesse riuscisse ancora a pensare. Sperai che non fosse ancora solo un corpo.
Sentivo il mio corpo tremare, il mio cuore iniziava a battere sempre più forte, così velocemente che sembrava solamente desiderare uscire dalla gabbia toracica.
Non c'era più niente intorno me. Niente camper, niente deserto e niente Jesse.
Non c’ero nemmeno io.
Il vuoto assoluto.
Erano le due un quarto del due settembre nella Death Valley, California.

BLOWHOUSE - La cura Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora