L'esterno "Terza parte"

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Le barricate oramai erano un lontano ricordo: Elena estremamente concentrata si guardava attorno cautamente. Il suo sguardo guizzava in ogni punto della strada, gli edifici in rovina potevano nascondere calamità; pertanto Elena non si fidava. Al minimo rumore che udiva i suoi sensi scattavano prontamente, forse anche troppo, poiché il suono udito più di una volta si rivelò soltanto un timore infondato.

La strada che percorrevano era affollata da vecchie macchine rugginose e in rovina. Una fila interminabile di automobili deteriorate, occupava la carreggiata per lunghi e indissolubili chilometri. La coda formatasi più di vent'anni fa, ancora attendeva di circolare.

Mai Elena aveva visto così tante auto messe insieme. I vetri grigi e le gomme sgonfie e lacerate, facevano apparire quei mezzi come dei vecchi reperti esposti alla luce del sole. All'interno: polvere e muffa si estendeva senza tregua, nel cruscotto e sui sedili. Ogni oggetto dentro quei veicoli sembrava essersi ibernato in un lungo e incalcolabile sonno. Qualche cadavere, ossuto e decomposto ormai già da tempo, risiedeva al volante col cranio poggiato su di esso.

Per quale motivo erano morti in quella posizione? Si chiese Elena osservando le ossa all'interno delle macchine. Perché anziché scappare e mettersi al riparo, hanno deciso di morire con le mani sul volante? Non era forse meglio correre al sicuro? Piuttosto che sperare in una fuga problematica, visto l'inteso traffico che regnava, a bordo del proprio veicolo.

Era difficile trovare una risposta: solo chi ebbe la sfortuna di assistere a quei momenti di pura follia, potrebbe trovarne una. Elena, no di certo.

<Fate attenzione.> Disse a un tratto Manfredi. <Queste macchine possono nascondere degli infetti.>

L'atteggiamento calmo dell'uomo suscitava ad Elena uno strano senso di sicurezza. Osservandolo là fuori Manfredi non appariva mai teso, ne agitato. Il che dava fiducia ad Elena. L'uomo sembrava essere a conoscenza di ogni cosa: la tranquillità e la certezza con cui camminava infondeva sicurezza e sollievo ai timori di Elena. Invidiava la sua calma. Mellish al contrario, si mostrava sempre più in ansia.

Non riusciva proprio a capire il motivo di tale agitazione; l'inquietudine del soldato non sembrava essere legata all'esterno. Da quel che aveva capito, Mellish già più di una volta doveva essere uscito dalle mura, dunque non aveva senso un simile timore. Qualcosa, di natura più profonda, disturbava i suoi pensieri. I suoi occhi, puntavano costantemente le spalle di Manfredi: forse era lui, la causa del suo tormento. Eppure finora, l'uomo non aveva fatto altro se non camminare.

Elena constatò sorpresa, che il mercenario infondo non era così mostruoso, come si immaginava. Fino a quel momento, il suo atteggiamento si era mostrato più enigmatico che spaventoso. Ancora non riusciva a capire la sua logica, tuttavia: i racconti atroci e gli avvenimenti brutali che dipingevano quell'uomo, non si erano ancora manifestati.

<Fermi.> Manfredi si arrestò al centro di un incrocio intasato.

Le auto ostruivano la strada in ogni sua direzione, pertanto Elena quando si mise alla ricerca del motivo che spinse l'uomo a fermarsi: non vide altro che mezzi malandati.

Mellish si guardò attorno allarmato. <Cosa c'è?>

Manfredi non si muoveva: le sue orecchie erano tese verso qualcosa che solo lui sentiva. Elena non percepiva nulla, anche Mellish si guardava intorno perplesso e confuso.

<Via dalla strada.> Il mercenario con un'agilità incredibile, sotto gli sguardi disorientati dei due soldati, scavalcò un paio di macchine per raggiungere un vecchio emporio dalla vetrina frantumata.

Elena incerta lo seguì, non riuscendo a comprendere l'atteggiamento dell'uomo. Mellish si guardò attorno un ultima volta, dopodiché scattò anche lui verso il negozio sfasciato.

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