Pronta a tutto "Seconda parte"

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Dopo alcuni instanti, Manfredi mollò la presa e così Elena sollevata tornò a respirare: grata di essere ancora in vita. Tuttavia, la giovane soldatessa indietreggiò intimorita dall'uomo, che per poco non le fece venire un infarto. Profondamente respirava, il suo corpo leggermente tremava per via dello spavento subito, ma il mercenario anziché spigarle l'accaduto: lentamente si avviò su per le scale dell'edificio, dove impotente venne trascinata.

Si guardò attorno cautamente; la luce che filtrava dalle finestre impolverate rivelò che all'interno poco o nulla si era salvato da quella desolazione, che si stendeva a gran voce sulle strade. Mobili e arredi consumati, ricoperti da muffa polvere e piante. Le tende stracciate e il pavimento in rovina, mostravano la vecchia hall di un albergo. Il lampadario ormai non più sul soffitto già da tempo sembrava crollato. Gli anni di mancata manutenzione che lo portarono al collasso, fecero si che l'atrio dell'hotel rimanesse ostruito in gran parte per via delle macerie. Un foro di dimensioni considerevoli si espandeva pericolosamente sopra la testa di Elena. Il piano superiore era in gran parte ceduto, ciò nonostante il mercenario silenziosamente continuò ad avanzare su per le scale, rimaste miracolosamente intatte.

Ancora Elena si stava domandando per quale motivo l'uomo l'avesse portata in quell'albergo. Senza alcun interesse per la ragazza Manfredi si era avviato su verso i piani più alti: con il fucile accuratamente spianato, pronto all'uso.

Elena non poté fare altro che seguire il mercenario, senza il minimo indizio su cosa stesse architettando. Forse tutto ciò faceva parte della missione, dunque assai riluttante iniziò a salire le scale, lentamente e con estrema cautela: pronta a tutto, siccome l'imprevedibile era sempre dietro l'angolo.

Raggiunte le possenti spalle di Manfredi si fermò dietro ad esse, ad una distanza di sicurezza. L'uomo sentendola arrivare si voltò repentinamente, e con il dito indice le ordinò nuovamente di far silenzio. La ragazza non comprendeva il motivo di tale scrupolosità da parte del mercenario, fatto sta, onde evitare ripercussioni di alcun tipo, tacé seduta stante.

I passi dell'uomo era attenti e curati, il suo stivale prima di raggiungere il pavimento si assicurava che non ci fossero detriti o frammenti, che avrebbero potuto far rumore e rivelare così la sua posizione. L'enorme gamba si alzava, ma prima di atterrare con il piede intero cautamente poggiava prima il tallone e poi infine la punta. Elena tentò di imitare l'andatura dell'uomo, ma i suoi muscoli presto iniziarono a soffrire e bruciare, per via dello sforzo dovuto a così tanta accuratezza. Alcune valige abbandonate sulle scale, aperte e circondate da stracci vecchi e malandati, intralciavano il cammino rendendo più difficoltosa l'avanzata silenziosa di Elena. Che al contrario Manfredi, quasi con grazia evitava.

Dopo svariati minuti trascorsi a rilento, raggiunsero l'ultimo piano nonché la fine delle scale. La porta antincendio che portava al tetto era aperta, qualcuno sembrava essere passato di li. Il mercenario raggiunse la soglia e con estrema cautela aprì completamente la porta, facendo prima guizzare oltre la canna del fucile, e poi inseguito la sua mole, guidata dalla bocca dell'arma. A ogni passo Elena era sempre più confusa; cercava di dare a un senso a quel atteggiamento, ma proprio non ci riusciva. Finché con frustrazione smise di cercare una logica, arrendendosi alle proprie perplessità.

Elena varcò la soglia ritrovandosi così in una piccola stanzetta grigia e screpolata, cui una scaletta di metallo si inerpicava su fino al tetto. Manfredi con un cenno le ordinò di mantenere la posizione, dopodiché cautamente si avviò proprio su per quei gradini, raggiungendo così il tetto dell'albergo, lasciando sola Elena in quella angusta stanza.

Passò qualche minuto senza alcun segno proveniente dall'alto, ma all'improvviso un possente tonfo fece sobbalzare Elena. Il botto fu tremendo, tant'è che dal soffitto caddero briciole sparpagliate. La ragazza sentì un gemito di dolore provenire dal tetto, seguito da una bestemmia improponibile: alla ragazza quella voce fu familiare. Così, a perdifiato, rischiando più volte di inciampare su i grandini di quella strettissima scaletta di metallo, si diresse verso l'alto.

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