Pronta a tutto "Terza parte"

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La ragazza impiegò parecchi minuti per riprendersi dal terrore e dall'angoscia provata. La morte che temeva imminente rimase per lunghi tratti nell'aria, lasciandola sul posto terrorizzata. Una volta riacquistato parzialmente il controllo, le parole di Manfredi pronunciate in precedenza vennero comprese e ascoltate. Ma ciò anziché farla sentire meglio gli diede soltanto ulteriori dubbi e perplessità.

Lentamente Elena iniziò a muoversi e sbloccarsi: la sua mente come rimasta assopita da un sonno profondo ma di breve durata, cominciò a rielaborare gli ultimi avvenimenti verificatisi.

Mellish era appena stato ucciso, il suo compagno di squadra una volta assassinato era stato accusato di far parte delle spie. O almeno, questo era quello che aveva detto Manfredi dopo aver compiuto l'atto. Allora tutto ciò, Elena infine realizzò: il piano del mercenario e la divisione della squadra altro non era che uno stratagemma per cogliere di sorpresa il soldato, che a quanto pare, aveva perfettamente funzionato. Eppure Elena era ancora scioccata; ancora una volta la ragazza si ritrovò a domandarsi se le parole dette da Manfredi equivalessero alla realtà.

Titubante Elena si avvicinò al mercenario, intento a studiare il corpo senza vita del soldato.

<Perché l'hai ucciso?> Disse infine, dopo attimi rimasta ad osservare il cadavere.

<Non hai sentito ciò che ho appena detto?> Fece bruscamente. <Era una spia, una delle tante all'interno di Los Angeles.>

<Ma come... com'è possibile? Come fai a esserne così certo? E come fai a sapere tutte queste cose?> Elena era sempre più sconcertata. <Prima le spie, poi gli infetti che possono sentirci e adesso questo.> Terminò infine guardando il cadavere. <Io mi fidavo di quell'uomo.>

Elena non riusciva a crederci, o forse non voleva. Il fatto di aver camminato fianco a fianco con una persona, che in realtà non era altro che una minaccia e un pericolo per la comunità: le faceva accapponare la pelle. Aveva riposto la sua fiducia, nonché la sua vita, nelle mani di uomo che riteneva affidabile e inoltre capace. Sentirsi dire che il suo compagno di squadra non era ciò che credeva, le causava una forte agitazione. Se quello che Manfredi diceva era vero, il soldato avrebbe potuto ucciderla alla prima occasione, senza che lei si accorgesse di nulla: una morte inaspettata e priva di significato, colta alle spalle quando meno se lo aspettava. Ciò la faceva rabbrividire.

<No non può essere.> Disse con un filo di voce.

All'improvviso il mercenario smise di studiare il cadavere, che con lo scorrere del tempo la pozza di sangue in cui era sommerso si stava allargando sempre più in una pozzanghera scura e raggelante. L'uomo con un rapido gesto si staccò l'enorme zaino dalle spalle, e sotto lo sguardo confuso di Elena iniziò a scavare all'interno di esso.

Dopo alcuni istanti passati a cercare estrasse una mappa logora e consumata, dai bordi smussati e strappati. E inaspettatamente la mostrò alla ragazza.

<Sai leggere una mappa?> Gli chiese aspramente.

<Si...> Disse Elena incerta.

La cartina che gli mostrò era disseminata da scritte e annotazione: frecce e simboli per Elena indecifrabili cospargevano la maggior parte della mappa. Alcune zone erano segnate di rosso e altre in verde, come ad esempio Los Angeles e alcune comunità di cui aveva sentito solamente parlare. Invece laddove Elena non conosceva c'erano delle strisce nere e spesse, con delle piccole annotazioni inerenti forse a quell'area e alla sua natura; ma la scrittura della mercenario era ardua da decifrare, proprio come il suo carattere. Il modo duro e frettoloso in cui scriveva rendeva difficile la comprensione, tant'è che Elena riuscì a capire solo in minima parte il significato di quelle note.

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