Cheyenne
La luce del sole che filtra dalle finestre disturba il fantastico sogno che stavo facendo. Il braccio che ho piegato sopra la testa lo porto davanti agli occhi. Ora che il buio mi conforta nuovamente, do le spalle alla finestra e tiro le coperte fin sopra al naso. Prendo un profondo respiro e... odore di dopobarba? Spalanco gli occhi e balzo seduta. Mi guardo confusa attorno. Sono avvolta in un groviglio di coperte, ma questa non è la mia camera. Mi alzo in piedi cautamente e spalanco le tende. Socchiudo gli occhi quando il sole mi colpisce in pieno il viso, davanti mi si staglia una bellissima vista di Manhattan. Rimango qualche secondo incantata, vedere le cose dall'alto è sempre più bello.
«Buongiorno, Kate Moss.»
Sobbalzo, terrorizzata, e quando mi volto mi trovo di fronte Allen. Indossa una canottiera nera e un paio di bermuda, è sudato e sembra che abbia corso.
«Kate Moss?» domando confusa, anche se forse non dovrebbe essere la mia prima domanda.
Allen si appoggia allo stipite della porta e sorride. «Sembrava che ti stessi preparando a un set fotografico» ghigna.
Alzo gli occhi al cielo e faccio un sorrisetto.
«Scusa, è solo il mio normale atteggiamento, so che non sei abituato a una bellezza rara come la mia.»
Allen si piega su stesso come se lo avessi ferito.
«Ahi, questa mi ha fatto proprio male, avete ragione, Vostra Altezza.»
«Smettila di prendermi in giro, anzi, dimmi dove sono, piuttosto» gli chiedo, poi quando mi accorgo della mia borsa poggiata sul comodino mi torna alla mente tutto, e quasi non mi viene un infarto.
«Cazzo!» esclamo, fiondandomi su di essa. Prendo fra le mani il cellulare e trovo almeno trenta chiamate perse di Lauren e del signor Pierre. Sono nella merda più totale. «Non l'hai sentito suonare?»
«Non ha squillato mai, Cheyenne» risponde Allen, alzo lo sguardo verso di lui e lo trovo confuso, con le sopracciglia aggrottate.
«Certo che non ha suonato, avevo il silenzioso» realizzo, sconsolata. Lauren mi ucciderà, ancora peggio, il signor Pierre lo dirà a mia madre – se già non l'ha fatto – e poi sarà lei ad uccidermi.
«Ehi» non mi ero accorta che Allen si fosse avvicinato. Mi poggia le mani sulle spalle e incastra i suoi occhi scuri come la pece nei miei. «Stai calma, qual è il problema?»
«Sono a casa tua?» ignoro la sua domanda.
«Sì.»
Mi lascio cadere all'indietro su quello che immagino sia il suo letto, disperata. La mia vita è finita. Chissà se sua madre e sua sorella sono in casa. Dio, che figura, chissà cosa avranno pensato. Di sicuro non è affatto la prima volta che Allen porta a casa una ragazza. Non mi sono mai cacciata in un guaio di proporzioni tali.
«La mia vita è finita» do voce ai miei pensieri, mi viene da piangere.
«Che drama queen che sei!» Allen scoppia a ridere e si lancia sul letto vicino a me.
«Drama queen? Sarei dovuta tornare a casa ieri sera, alle due e mezza... a proposito, che ore sono?»
«Le undici e mezza.»
Prendo un cuscino e ci affondo il volto, soffocando un urlo. Allen continua a ridere e mi toglie il cuscino dalla faccia.
«Tanto ormai il danno è fatto, vai a farti una doccia calda, schiarisciti la mente e poi ti accompagno a casa. Però ti consiglio di chiamare e avvisare, almeno per fargli sapere che sei viva e in mani eccellenti.» Mi fa l'occhiolino e si alza dal letto. Quale delle due opzioni è la peggiore? Chiamare l'autista e farmi venire a prendere, oppure lasciare che Allen mi accompagni a casa? Almeno quando Pierre cercherà di uccidermi avrò un testimone.
Sospiro. «Affare fatto.»
Qualche minuto dopo Allen mi spiega come attivare la doccia e mi porge degli asciugamani.
«Ma tua madre e tua sorella non sono in casa?» finalmente trovo il coraggio di chiederglielo, forse c'è una possibilità che la situazione non sia peggiore di quello che già è.
«Mia madre è tornata prestissimo questa mattina ed è uscita di casa circa mezz'ora fa, Amy è da una sua amica, e non credo che tornerà per pranzo» quando nomina sua sorella, contrae la mascella e i suoi occhi si fanno cupi.
«Ehi, Allen, se pensi che la tua vita in questo momento sia un disastro, guarda me, che non so nemmeno se tra un paio d'ore la avrò ancora una vita» il mio tentativo di sollevargli il morale sembra funzionare, perché scoppia a ridere.
«Hai ragione.»
Gli rivolgo un ultimo sorriso e mi chiudo la porta del bagno alle spalle. Che follia. Non ho altre parole. Ieri ho vissuto la serata più divertente della mia vita, non pensavo che alle feste ci si potesse divertire così. Quando sto con Allen mi sembra di non aver mai vissuto veramente, che tutte le esperienze che ho fatto fino a questo momento siano sempre state oscurate da una patina, un filtro tra la realtà e la finzione. Ho fatto così tante cose, forse impensabili per ragazzi della mia età, ma non mi hanno mai dato quella scarica di adrenalina che ho provato quando ci siamo imbucati alla festa o quando ci hanno cacciato, non le ho mai davvero vissute. Ed ora, contro questa porta di legno massiccio, mi chiedo se sia valsa la pena mandare tutto a puttane per una serata del genere. E, dentro di me, purtroppo o per fortuna, mi dico che lo rifarei, lo rifarei senz'altro.
Avanzo a piccoli passi nel bagno. È carino, non troppo grande, le pareti sono rivestite da mattonelle color azzurro chiaro e il pavimento è di marmo, gelido sotto i miei piedi nudi. Osservo per l'ennesima volta la chat con Lauren sul cellulare, indecisa se chiamarla, mandarle un messaggio oppure non fare nessuna delle due cose. Sbuffo e mi lascio cadere sulla tazza del water. Sono un'eterna indecisa.
In che guaio ti sei cacciata, Cheyenne, mi ripeto per l'ennesima volta.
«Okay, va bene Cheyenne, puoi farcela» faccio qualche respiro profondo. «Tre... due... uno...» sto per premere il tasto di chiamata, con gli occhi chiusi, quando il telefono prende a vibrarmi tra le mani. Spalanco gli occhi e vedo il nome di Lauren capeggiare sul display. Balzo in piedi e rispondo immediatamente.
«Lauren?»
«Cheyenne!» Grida così forte da spaccarmi un timpano. Non sto esagerando, mi fischia l'orecchio destro. «Dio mio, Dio grazie...»
«Stai piangendo?» domando incredula.
«Ho provato a chiamarti così tante volte che ho iniziato a temere il peggio, Dio, non so se voglio più ucciderti o abbracciarti, che diavolo di fine hai fatto?!»
«Calmati, Lauren» provo a dire, divertita dalla situazione, anche se i sensi di colpa già iniziano a scavarmi il petto. Come ho potuto dimenticarmi di dire ad Allen che sarei dovuta tornare a casa? Sono pessima, davvero pessima.
«Calmarmi?! Forse è meglio che non ci torni in questa casa, perché appena varcherai la soglia ti staccherò la testa e la appenderò come lampadario!»
«O-kay» mormoro, spaventata. Sembra seria, e lo capisco, sono stata davvero irresponsabile.
«Dove sei? Do l'indirizzo a Jacques» dice affannata.
«Sono a casa di Allen, il ragazzo con cui sono andata alla festa» mi mordo il labbro mentre aspetto che dica qualcosa, ma dall'altro capo del telefono proviene il silenzio più tombale.
«Lauren?»
«Cosa diavolo hai appena detto?!» allontano il telefono dall'orecchio.
«Ma cosa hai capito?» esclamo, arrossendo di botto. Dio, ho trascorso diciassette anni della mia vita senza arrossire nemmeno una volta, arriva Allen James e io divento un semaforo. «Mi sono addormentata nella sua auto e mi ha portata a casa sua.»
Posso immaginare la faccia scettica di Lauren, quindi aggiungo: «Ci siamo svegliati in letti diversi.»
«L'importante non è dove ci ci sveglia, tesoro, ma dove si dorme...»
«Lauren» la rimprovero sussurrando, come se Allen potesse sentirci. Con la mano destra nascondo il viso, rosso come un pomodoro. Dov'è la mia sicurezza? Sangue freddo, Cheyenne. Lauren ride dall'altro capo del telefono.
«Mio Dio, non farmi ridere! Ti stavo rimproverando... sei stata un'irresponsabile Cheyenne, e credo proprio che non uscirai per un bel po'. Quando ti ho detto di entrare a contatto con il mondo adolescenziale delle feste, non intendevo questo! Almeno mandare un messaggio o, che so, rispondere alle telefonate!» continua a rimproverarmi per almeno cinque minuti.
«Va bene, va bene ho capito, sembri mia madre» appena finisco di pronunciare la frase, mi rendo conto di quanto sia una colossale bugia. «No, scherzavo, mia madre non si interesserebbe mai a me in questo modo, se non per ricordarmi che una Leroy non può frequentare certa gente o dormire a casa di cani e porci... e l'ho anche addolcita.» La butto sull'ironia, come faccio sempre quando qualcosa in realtà mi ferisce.
«Non parlare così di tua madre, sai che tutto quello che fa lo fa per il tuo bene...»
«Se mi conoscesse davvero saprebbe qual è il "mio bene"» replico, stizzita.
«Non voglio discutere con te di questo, Cheyenne, sono questioni che riguardano la tua famiglia in cui non mi è dato immischiarmi» mi risponde, gentile ma decisa. Capisco che ha messo un punto al discorso, e lo accetto.
«Allen mi riaccompagna a casa, sarò lì tra un'oretta, penso» le dico.
«Va bene... Ah e, Cheyenne?»
«Sì?»
«Ho convinto Pierre a non dire nulla a tua madre e nemmeno alla signora Viscogliesi o alla Rousseaux.»
Faccio un sospiro di sollievo, come se avessi avuto un peso imponente sul petto fino ad ora.
«Grazie, Lauren.»
«Non ti basterà ringraziarmi, tesoro, nemmeno da qui a Natale per tirarti fuori dai guai.»
«Significa che per Natale ti farò un bel regalo» scherzo. Saluto Lauren con il petto più leggero e mi dedico finalmente alla doccia.
Dopo una quindicina di minuti sono davanti allo specchio, avvolta nell'asciugamano, che cerco di districare i capelli con le dita, ma ogni nodo è un'imprecazione di dolore.
«Ehi, va tutto bene lì dentro? Non è che stai cercando di tagliarti le vene per suicidarti, no?» Allen bussa alla porta, e la sua deduzione mi fa scuotere la testa.
«Hai finito di origliare? Non è educato» lo rimprovero scherzosamente.
«Non stavo origliando, si tratta semplicemente di correre in aiuto di una donzella in pericolo, si chiama cavalleria.»
«Allora preferisco di gran lunga i fanti, se si fanno gli affari loro» ridacchio per la battuta triste, Allen rimane in silenzio.
«Mi hai appena fatto venire voglia di appendermi al soffitto per la trachea con questa battuta, Cheyenne.»
Alzo gli occhi al cielo. «E poi sarei io la drama queen.»
Lascio perdere i capelli, tanto non c'è niente da fare, e... mi sono dimenticata una cosa fondamentale: i vestiti.
«Allen?» chiamo, imbarazzata.
«Sì?»
«Dio, sei ancora qui!» esclamo con gli occhi sgranati. Lui scoppia a ridere.
«Per ogni evenienza.»
«Non ho vestiti da mettere» confesso, e le guance si colorano istantaneamente di rosso. Devi riprendere il controllo, Cheyenne.
«Che problema c'è?»
«Allen, fai il serio!» lo rimprovero.
«Va bene, va bene... ti presto qualcosa io, aspetta lì.»
Dopo un paio di minuti Allen bussa alla porta. Controllo che l'asciugamano sia ben stretto in vita e apro la porta. «Se sbirci ti disintegro» lo avverto, per fortuna la modalità semaforo si è spenta. Allen si copre gli occhi con le mani e chiude la porta dopo avermi porto i vestiti, l'ultima cosa che vedo è il suo sorrisetto divertito. Questo ragazzo adora prendermi in giro.
Lascio cadere l'asciugamano a terra, indosso l'intimo della sera precedente e poi i vestiti che mi ha dato Allen. Anche questi sono di Amy. Un altro paio di jeans, neri questa volta, e una maglietta verde con sopra disegnato un uramaki. Un uramaki. Sì, Allen si diverte decisamente a prendermi in giro.
«Ti odio» esclamo, spalancando la porta della sua camera. Allen è stravaccato sul letto, ancora disfatto, che digita qualcosa sul suo cellulare.
«E poi dici a me di violare la tua privacy, potevo essere nudo» mi dice, scettico, con un sopracciglio alzato.
«Ma non lo sei, e sei una merda» lo accuso, puntandogli il dito contro.
«Cosa ho fatto?» ghigna, e si mette a sedere sul letto. Si è cambiato, adesso indossa una maglietta nera a mezze maniche, un paio di jeans dello stesso colore e degli anfibi.
«Questa maglietta è illegale in almeno cinquanta paesi» dico indicandomi.
Allen scoppia a ridere di gusto e, detesto ammetterlo, ma ben presto lo seguo anch'io.
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Misfits - Disadattati
RomanceCheyenne Leroy è la figlia perfetta: brava a scuola, frequenta ragazzi educati e di buona famiglia, ha amiche popolari e ha già in tasca una borsa di studio per Harvard. O almeno è quello che credono i suoi genitori. In realtà Cheyenne non sopporta...