Cheyenne
«Ti aiuto a scavalcare» Allen si volta e mi fa l'occhiolino, ma la sua espressione soddisfatta si dissolve quando si scontra col mio volto terrorizzato. Non riesco a staccare gli occhi dalla superficie luminosa che riflette i raggi della luna. L'acqua è forse una delle mie più grandi paure, e non sono in vena di combatterla.
«Che succede?» mi chiede, più confuso che effettivamente preoccupato.
«Scavalcare?» esclamo, dimenticandomi per un attimo della piscina e dell'eventualità di fare il bagno.
«E questa sarebbe la tua più grande preoccupazione?» alza un sopracciglio, scettico. Non riesco a fare in tempo a dirgli che ha frainteso tutto, perché in men che non si dica mi ritrovo sospesa in aria, e sono costretta a infilare i piedi sulle sbarre orizzontali che, in alto, intrecciano quelle verticali e a darmi la spinta per oltrepassare gli spuntoni sulla cima del cancello, ma prima di scavalcare lascio cadere le scarpe col tacco dall'altra parte. In modo decisamente goffo, specialmente perché indosso un vestito da sera, atterro dall'altra parte, e la vicinanza con la piscina non fa che darmi i brividi. Indietreggio un po', fino quasi a poggiare le spalle contro il cancello. Oltre al rumore dell'acqua mossa dal vento, in lontananza si sente il suono dei clacson e di Times Square, ma è come se questo piccolo angolo di Paradiso non fosse New York. O meglio dire Inferno, almeno per me. Quando anche Allen mi raggiunge dall'altra parte cerco di spiegargli che sono terrorizzata dall'acqua, ma lui pensa che sia un'altra delle mie lamentele inutili, quindi non mi lascia parlare.
«Allen, è importante!» ripeto, in affanno, mentre lui inizia a spogliarsi. Si sta seriamente spogliando quando fuori sono a malapena cinque gradi. È pazzo, non ci sono altre spiegazioni. «Santo cielo, morirai per ipotermia! Possiamo spostare questo atto a... non so, giugno?!»
«Quanto ti lamenti! Per una volta puoi assecondare il braccio – ovvero me – invece di fare sempre la mente?» sbuffa alzando gli occhi al cielo, e purtroppo perdo secondi preziosi a guardare i suoi addominali scolpiti dal football, secondi che pesano inesorabili sulla mia sorte. Allen si tuffa in acqua, e io mi sento male, non so se all'idea che probabilmente ci lascerà le penne oppure che sono fregata e ce le lascerò io, o ancora meglio, entrambi. Mi porto una mano alla bocca, e quando dopo cinque secondi non lo vedo riemergere inizia a mancarmi l'ossigeno. Dopo sette secondi esatti qualcosa affiora sulla superficie dell'acqua, e quando realizzo che è la schiena di Allen, la testa sott'acqua, mi prende un colpo.
«Oh merda!» esclamo, nel panico più totale. Non so cosa fare, e penso che di sicuro lo shock da contatto con l'acqua gelida l'ha fatto svenire. Mi fiondo sull'altro lato della piscina e, combattendo la mia paura per questo dannato liquido, mi sporgo fino ad afferrarlo per le spalle, rischiando di cadere dentro io stessa, e girarlo a testa in su. Però, non so come – perché non faccio in tempo a concepire alcun pensiero – mi ritrovo catapultata in acqua. Al contrario di quello che pensavo è tiepida, quasi calda, e mi sovrasta, si infila in bocca, nelle narici, e mi getta i capelli in faccia. Una paura che non ho mai provato in tutta la mia vita mi scuote da cima a fondo, e quando penso che veramente è giunta la mia ora, all'improvviso è tutto finito. L'ossigeno mi inonda i polmoni, comincio a sputare acqua da ogni parte e con una mano tremante mi scosto i capelli dal viso. Passato lo shock iniziale mi rendo conto della risata di Allen. Si sta divertendo da matti. Era uno scherzo. Un insieme di rabbia funesta, paura tremenda e adrenalina mi esplode nelle vene. Comincio ad agitarmi e a urlare, senza pensare minimamente al resto degli ospiti che potrebbe scoprirci, ma sono troppo lontani per sentirmi.
«Lasciami! Voglio uscire da questa maledetta piscina!» grido, ma Allen non vuole saperne di lasciare le mie braccia. Ci ho messo un po', ma ho capito che è stato lui a tirarmi in acqua e poi ad afferrarmi per la vita e portarmi in superficie.
«Calmati, Cheyenne, era uno scherzo!» prova a dire, e più io mi agito più mi rendo conto che andiamo a fondo. Inizio ad annaspare e a divincolarmi con più forza, non riesco a controllare le mie azioni, voglio soltanto tornare coi piedi sulla terra ferma.
«Lasciami subito!» grido ancora, con le lacrime agli occhi per la paura. Allen mi lascia andare immediatamente, ma al contrario di quello che pensavo il bordo scompare dalla mia vista, e al suo posto mi investe un'ondata d'acqua, di cui la maggior parte mi finisce in gola. Vorrei gridare, ma non posso. In un battibaleno le braccia muscolose di Allen si stringono attorno alla mia vita e mi tirano di nuovo su. Respiro a pieni polmoni e, mentre gli do le spalle, lui mi sospinge in silenzio verso il bordo, aiutandomi a uscire. Mi allontano il più in fretta possibile dalla piscina con le gambe che tremano, infatti arrivo poco lontano. Mi lascio cadere sull'erba fredda e tiro le ginocchia contro il petto, poggiandoci la testa sopra. Aspetto che il respiro si regolarizzi mentre violenti tremiti mi scuotono da cima a fondo, e nonostante la temperatura sia di pochi gradi il freddo è l'ultima cosa che sento. La paura ancora mi stritola lo stomaco, e l'adrenalina fa tremare ogni singola parte del mio corpo. Ad occhi chiusi, sento le lacrime bollenti che mi scorrono lungo le guance. Sto seriamente piangendo?
«Cheyenne?» un sussurro mi raggiunge piano, e sono consapevole della presenza di Allen alle mie spalle, ma non ho intenzione di alzare lo sguardo. «Mi dispiace, cazzo non lo sapevo! Sono uno stronzo, scusami.» La sua voce è mortificata, e un po' mi sento in colpa per aver reagito in quel modo, ma se mi avesse ascoltato tutto questo non sarebbe mai successo.
«Togliti almeno questo vestito bagnato di dosso, puoi mettere la mia camicia e la mia giacca.» Lo ignoro, ancora sotto shock. «Cheyenne, ti prego, parlami... dimmi almeno che stai bene» supplica.
«S-sto bene» balbetto, ma è poco più che un sussurro.
«Puoi guardarmi negli occhi, per favore?»
«No.»
«Ti prego» l'urgenza nella sua voce mi fa però cambiare idea. Abbandono il luogo sicuro contro le mie ginocchia e sollevo il viso. Allen trasalisce, e leggo chiaramente il dispiacere sul suo volto.
«Cazzo, Cheyenne, non volevo farti piangere» si morde il labbro e con la punta delle dita mi scosta le ciocche fradice dalle guance, poi appoggia direttamente tutta la mano sul mio viso e lo tira contro il suo petto caldo. «Non sai nuotare?»
«Sono terrorizzata dall'acqua» confesso a bassa voce. Terminato l'effetto dell'adrenalina inizio a sentire il freddo, e quasi – e dico quasi – rimpiango il tepore dell'acqua. Quasi.
«È stato uno scherzo di merda» sento Allen scuotere la testa.
«Decisamente» confermo, sarcastica ma non troppo. Restiamo per un po' in silenzio, lui cerca di scaldarmi sfregandomi la schiena e le spalle con le mani, ma sto comunque congelando.
«Cheyenne, posso chiederti una cosa? Devi rispondere in modo sincero, però» esordisce, all'improvviso.
«Dimmi.»
«Ti fidi di me?»
La domanda mi coglie alla sprovvista. Non credo neanche di sapere cosa voglia dire fidarsi di qualcuno, perché non me lo sono mai potuta permettere, ed è quello che gli dico. «In totale onestà non so neanche cosa voglia dire» rispondo, quasi in un sussurro. E d'improvviso mi sento sola da morire, senza niente e nessuno a cui aggrapparmi. Allen mi ricorda la sua presenza stringendomi più forte fra le braccia, e questa sensazione si attenua un po'. Chiudo gli occhi e mi rilasso ascoltando il battito regolare del suo cuore. È questo che si prova quando si ha una cotta per qualcuno?
«Voglio aiutarti a superare la tua paura, ma per farlo dovrai fidarti di me, vuoi provare?» Cerca i miei occhi, e con un dito mi asciuga una lacrima, con essa porta via anche il mascara che mi è di sicuro colato sotto agli occhi.
«N-non so se ce la faccio, Allen» confesso. Non mi piace sentirmi insicura, non è da me. Lui mi scosta un'altra ciocca fradicia dal volto e sorride.
«Un mese fa una ragazza che soffriva di vertigini mi ha detto, mentre se ne stava seduta sul davanzale di una finestra alta un paio di metri, che si tratta di "far fronte alle proprie paure, convincendoti che ciò che ti fa più paura non ti spaventi".»
Sta parlando di me, della famosa prima festa a cui siamo andati. Ma con le vertigini è tutto un altro conto, certo anche in quel caso ho paura di morire, ma sento di avere il controllo sufficiente a tirarmi indietro, invece in acqua non posso fare nulla, sono debole e impotente.
Se dovessi fidarmi della mia testa, gli direi di no all'istante. Ma non sono più la Cheyenne che si fida ciecamente della propria ragione, per questo scelgo di seguire il cuore. Annuisco verso di lui per acconsentire almeno a fare una prova; Allen in cambio mi sorride, sinceramente contento della mia risposta. Si alza in piedi e mi aiuta a fare lo stesso. I capelli gli ricadono sulla fronte, bagnati, e con una mano se li porta indietro. È bellissimo, le gocce d'acqua gli scorrono sulla pelle, solcando i muscoli e inseguendo le linee dei tatuaggi. Mi porge la mano, che afferro, poi mi conduce sull'altro lato della piscina, dove ci sono le scalette per entrare. Si ferma, si volta verso di me e, un po' in imbarazzo, mi squadra da capo a piedi.
«Ho capito, tanto lo so che è tutto fatto apposta per vedermi in intimo, mica ti importa sul serio della mia paura dell'acqua» scherzo, e Allen ride. L'imbarazzo vola lontano, è difficile sentirsi a disagio con lui. Anche se non ci conosciamo da tanto è come se fosse il contrario e fossimo amici da una vita. Sotto il suo sguardo tiro giù il vestito che mi scivola sulla pancia, scoprendo la pelle pallida. Rifletto addirittura la luce della luna per quanto sono chiara. Prima sollevo una gamba, poi l'altra, e lo splendido vestito color porpora finisce a terra. Non mi sento neanche minimamente in colpa, è solo un pezzo di stoffa qualunque. Sollevo le braccia e sciolgo la raffinata acconciatura. I capelli mi cadono sulla schiena, bagnati, causandomi un brivido di freddo. Allen mi sta ancora fissando in silenzio, o meglio, sta fissando la mia pelle scoperta.
«Pensi di essere l'unico ad avere un bel fisico, James? Attento quando ti volti, potresti scivolare sulla tua bava» commento, ironica. Lui torna in sé e alza gli occhi al cielo, senza rispondere. Devo ammettere che prenderlo in giro è una delle cose più divertenti al mondo. Ben presto però l'atmosfera ludica è smorzata dalla vera ragione per cui ci troviamo entrambi, quasi nudi, di fronte alle scalette di questa dannata piscina. L'espressione di Allen cambia e mi rivolge un sorriso rassicurante, d'istinto gli afferro la mano e, quando si volta, con l'altra mi aggrappo alla sua spalla.
«Sei sicura di volerlo fare?» mi chiede, guardandomi da sopra la spalla. Ci penso, ma alla fine decido di non farlo, perché se ci pensassi probabilmente cambierei idea.
«Sì, sono sicura.»
Senza lasciare la mia mano, Allen inizia a scendere le scalette, e quando l'acqua gli sfiora i boxer comincio a sentirmi male. Cosa sto facendo? Ormai però non si può più tornare indietro. Lui entra del tutto in acqua, e mi rendo conto che gli arriva a malapena allo stomaco, ma la piscina è ancora grande.
Puoi farcela, Cheyenne, mi incoraggia il mio subconscio, e ben presto anche Allen. In silenzio, poggio i piedi sul primo gradino. Il tepore dell'acqua mi fa quasi dimenticare la paura. Lui mi osserva con quegli occhi neri come la pece, e non lascia la mia mano nemmeno per un secondo. Scendo un altro gradino, l'acqua mi arriva ai polpacci. Raggiungo il terzo gradino e poi il quarto, l'ultimo, con l'acqua che mi sfiora le cosce. La nota positiva è che è calda, quella negativa che ho voglia di fuggire a gambe levate, ma la presa di Allen è ferrea e rassicurante.
«Forza, scendi qui con me, l'acqua è bassa» mi incoraggia, e faccio come mi dice senza rifletterci troppo. Non avevo calcolato la differenza di altezza, però, e mentre a lui sfiora lo stomaco, a me raggiunge il seno.
«Allen...» comincio a dire, allarmata, ma lui mi poggia le mani sui fianchi e sorride, rassicurante. Sospiro e abbasso lo sguardo sui miei piedi, dato il buio non riesco a vederli, ma sapere che sono saldi a terra mi fa sentire più tranquilla. Ancora guardando verso il basso poggio entrambe le mani sulle spalle muscolose di Allen. Quando sollevo gli occhi, incontro i suoi, che mi fissano nello stesso modo in cui lo facevano quando stava scendendo la scalinata: come se ci fossi solo io nel mondo. Mi si stringe lo stomaco, e la paura se ne va lontano, mentre quelle gemme nere come la notte mi scavano dentro. All'improvviso mi sento nuda fra le sue braccia, come se soltanto una piccola stretta potesse mandarmi in frantumi. Questa improvvisa fragilità mi spaventa e allo stesso tempo mi fa martellare il cuore nel petto. Allen ancora non ha detto nulla, ma i suoi occhi parlano per lui, e per la prima volta leggo l'affetto di qualcuno per me in essi, e mi si stringe il cuore. Poggio la testa nell'incavo del suo collo e chiudo gli occhi, godendomi il tepore dell'acqua. Ad un certo punto penso anche di stare per addormentarmi. Ho ormai le braccia allacciate attorno al suo collo, e lui alla mia vita, e mi rendo conto che ci stiamo muovendo. Apro di nuovo gli occhi proprio quando i miei piedi non toccano più sul fondo, e quasi mi prende un infarto. Conficco le unghie nelle spalle di Allen, e lo sento chiaramente soffocare un gemito di dolore. «Se mi lasci giuro che ti uccido» sibilo, col terrore che mi afferra i polpacci e risale fino allo stomaco. Senza che me ne accorgessi siamo finiti nell'acqua alta.
«Non ti lascio, promesso» mi assicura, e in questo momento sembra riferirsi a tutt'altro. Ingoio il groppo che ho in gola, senza sapere di preciso cosa fare o dire. E di nuovo, come era successo a Cold Spring, nel silenzio della notte con solo il rumore del vento e quello della musica in lontananza a fare da sottofondo, i nostri volti si trovano pericolosamente vicini. So che se accadrà quello che entrambi stiamo pensando non ci sarà più ritorno, anzi la nostra amicizia sarà rovinata, ed è proprio quest'ultimo pensiero a farmi esitare, un secondo che si rivela fondamentale. Delle voci allarmate si avvicinano alla piscina, facendoci scattare entrambi sull'attenti. «C'è qualcuno in piscina, ho sentito delle voci!»
«Ma ne sei proprio sicuro?»
«Sì, signore!»
«Verifichiamo subito.»
Sgrano gli occhi in direzione di Allen, che senza perdere tempo mi spinge verso il bordo e mi aiuta a uscire. Corro verso la scaletta e afferro il mio vestito e i tacchi, mentre Allen fa lo stesso col suo smoking. Ci guardiamo intorno in cerca di una via d'uscita, e per fortuna la troviamo fra due siepi leggermente più distanti tra loro delle altre. Allen mi afferra per un braccio e mi tira fra i rovi, e sono certa che domani avrò dei segni evidenti sulla pelle per cui dovrò dare delle spiegazioni, ma per adesso è l'ultimo dei miei problemi.
«E ora?» gli chiedo in un sussurro urlato, mentre ci giunge chiaramente il suono del cancello che viene aperto.
«Ora dobbiamo andarcene da qui, non possiamo rientrare né tornare di là» risponde lui, come se fosse semplice.
«Ah, sì? E come? Cosa racconterò alla mia famiglia?» replico, con le mani mi tiro i capelli per la rabbia. Mia madre mi ucciderà se sparisco in questo modo.
«Ho la macchina parcheggiata non troppo lontano da qui... se hai un'idea migliore sono tutt'orecchi» alza un sopracciglio, e prima che dia retta alla voglia che sento di tirare un cazzotto su quella sua faccia altezzosa sospiro e annuisco. Per raggiungere la macchina senza dare nell'occhio siamo però costretti a seguire una strada secondaria che Allen dice di conoscere, nonostante a me sembri che un paio di volte abbiamo girato dalla parte sbagliata, ma di ribattere non ho alcuna voglia. In compenso i due tizi che ci hanno beccato non sembrano averci seguiti, dunque una nota positiva in tutto questo c'è. Dopo quella che mi sembra un'eternità raggiungiamo la macchina, e non so come se la stia cavando lui ma io sono letteralmente congelata. Non appena mette in moto accendo l'aria calda al massimo, e resto in attesa che scaldi l'abitacolo, tremando sul sedile. Allen mi osserva con la coda dell'occhio, sospira e poi mi passa la sua camicia e la sua giacca senza staccare lo sguardo dalla strada. Lui si è rimesso soltanto i pantaloni. Senza troppe discussioni accetto di buon grado il suo gesto e mi infilo la camicia, per poi avvolgermi nella calda giacca imbottita. Mi abbandono a un sospiro di sollievo e chiudo gli occhi, godendomi il tepore. Domani avrò di sicuro la febbre, per mia grande gioia.
«Vorrei dirti che mi dispiace averti coinvolta in questo casino, ma ti mentirei, perché è stato assolutamente fantastico» esordisce Allen a un certo punto, lasciandomi di stucco. Un ghigno divertito gli stira le labbra, e dopo un paio di secondi di silenzio non posso fare altro che scoppiare a ridere.
«Sei proprio un idiota» dico fra le lacrime di divertimento.
«È per questo che mi adori» replica.
«Certo, stare con te mi fa sentire intelligente.»
«Che simpatica» esclama lui, sarcastico. Ridiamo insieme, per poi perderci entrambi a guardare New York oltre i finestrini. Dovremmo parlare dell'ennesimo quasi-bacio oppure no? Dovrei tirare fuori l'argomento? Lo osservo con la coda dell'occhio, e non sembra affatto turbato. Forse questi momenti li vivo soltanto io nella mia testa? Forse soltanto per me significano qualcosa? E cosa di preciso? Non lo so, e penso che farmi domande riguardo a essi non mi porterà da nessuna parte, quindi scelgo semplicemente di ignorarli.
Senza neanche che me ne accorga siamo sotto casa di Allen.
«Non preoccuparti, mia madre è al lavoro e Amy ancora alla cena di beneficenza, quindi siamo soltanto noi due... puoi farti una doccia calda, cambiarti, poi ti riaccompagno a casa prima che la tua famiglia rientri, a quel punto sta a te inventarti una buona scusa» mi dice lui, e io che pensavo non fosse in grado di ricoprire il ruolo della mente.
«Mi sembra perfetto.»
Raggiungiamo il suo appartamento e io mi dirigo diretta al bagno, ho un tremendo bisogno di scaldarmi, sento che il gelo mi ha raggiunto anche le viscere. Prima, però, prendo i vestiti puliti che Allen mi porge e mi chiudo nella piccola stanza. Mi spoglio in un battibaleno e mi catapulto nella vasca, immergendomi nell'acqua quasi bollente. Ci resto dentro per almeno quindici minuti, immobile, poi mi lavo i capelli per sciacquare il cloro e infine esco dalla vasca. Ho la pelle arrossata per il calore, ma non ho la minima intenzione di lamentarmi. Mi asciugo i capelli col phon dopo aver indossato i vestiti che Allen mi ha dato: un paio di pantaloni della tuta di Amy, a giudicare da quanto sono stretti, e una felpa che invece deve appartenere a lui, infatti oltre a essere enorme è impregnata del suo profumo. Esco dal bagno con gli occhi che mi si chiudono per lo sfinimento, li sfrego più volte mentre vado verso la sua camera. Entro senza bussare e lo trovo seduto alla scrivania che si rigira una palla da football tra le mani.
«Bussare è un optional, Kate?» domanda, senza guardarmi, ma è ironico.
Non gli rispondo e vado a sedermi sul letto di fronte a lui. Lo vedo pensieroso, e mi viene da credere che anche lui stia riflettendo sul quasi-bacio, ma non posso darlo per scontato e non ho la minima intenzione di chiederglielo.
«Grazie per i vestiti... di nuovo» gli dico, e lui mi fa cenno con la mano di non preoccuparmi.
«Ti dispiace se mi faccio una doccia al volo?»
Scuoto la testa, Allen si alza, prende un cambio dall'armadio, poi va in bagno. Io rimango nella sua camera e rivolgo lo sguardo al soffitto. Ci sono dei poster, che ben presto iniziano a essere sfocati. Sbadiglio rumorosamente, e senza neanche accorgermene crollo nel mondo dei sogni pochi istanti dopo.
«Cheyenne» l'eco del mio nome si intrufola nella nebbia che mi inonda il cervello, ma la respingo. «Cheyenne, svegliati.»
Mugugno qualcosa in risposta e mi giro dall'altra parte nel letto, dando le spalle al mio fastidioso disturbatore.
«Cheyenne!» mi urla nell'orecchio, e a questo punto balzo a sedere sul letto.
«Ma sei scemo?» esclamo, con il respiro affannato.
«No, mi ero soltanto stancato di guardarti dormire» spiega, come se fosse logico. È seduto di nuovo sulla sedia della scrivania, con il polpaccio destro poggiato sulla gamba sinistra, e mi osserva con quei due occhi del colore dell'ossidiana. I capelli, adesso asciutti, sono tirati leggermente indietro, anche se qualche ciuffo ribelle gli sfiora le sopracciglia, indossa una felpa nera e un paio di pantaloni della tuta.
Sbuffo e mi lascio cadere di nuovo sul letto, ma questa volta sento il materasso abbassarsi e la testa di Allen compare accanto alla mia. Osservo il suo profilo, e ancora una volta rimango stupita dalla lunghezza delle sue ciglia, che si abbassano folte su quelle gemme scure.
«Smettila di fissarmi, è inquietante» dice a un certo punto, e io alzo gli occhi al cielo.
«Ora sai cosa si prova» replico, ricordandogli che fissarmi è il suo sport preferito. Allen chiude gli occhi e socchiude le labbra.
«Sono troppo stanco per discutere» mormora.
Alzo di nuovo gli occhi al cielo e mi giro su un fianco, così da poterlo osservare meglio. Ha le braccia piegate sotto al cuscino, e per questo la felpa si solleva leggermente e scopre il tatuaggio sotto l'ombelico, che mi rendo conto essere effettivamente un paio di ali, come avevo dedotto la mattina di Natale a casa mia senza riuscire a vederlo per bene.
«Cosa significa il tuo tatuaggio?» gli domando, mentre lo osservo più nel dettaglio. Le piume bianche sono folte e dinamiche, come se il vento le stesse accarezzando proprio adesso.
Lui apre un occhio e mi rivolge un'occhiata indecifrabile. «Quale dei tanti, Kate?»
Alzo gli occhi al cielo. Mi sembra di non fare altro, ma Allen è davvero estenuante.
«Quello sotto l'ombelico, le ali.»
Lui si tira leggermente su col busto e lo osserva, come se lo guardasse per la prima volta, le sopracciglia aggrottate. «L'ho fatto quando mio padre se n'è andato, simboleggia la salvezza» si prende una pausa e lo sfiora con le dita. «Io sono il mio angelo, il mio protettore, e potrò sempre contare su di me.» Un'altra pausa, non so di preciso cosa dire, vedo davanti a me un ragazzo a cui troppo presto è mancata la protezione del proprio padre e il suo appoggio.
«In realtà è una stronzata» mormora a voce più bassa dopo un po', grattandosi il retro del collo. Si volta verso di me, che me ne sto ancora in silenzio. «Puoi ripeterti quanto ti pare che non avrai bisogno degli altri, Cheyenne, ma non è vero.»
Mi mordicchio il labbro e mi avvicino a lui, poi allungo una mano e con la punta delle dita seguo i contorni del tatuaggio. La sua pelle è bollente come al solito, e i suoi occhi non mi lasciano un secondo. Quando ho finito di tracciare le linee scure apro la mano e poggio tutto il palmo sul suo ventre, fino quasi a coprire il tatuaggio. Allen sussulta e il suo sguardo, più curioso che confuso, indaga sul mio volto. Restiamo in questo modo per qualche minuto, finché lui non decide di fare qualcosa. Si tira più su e poggia la mano destra vicino al mio fianco, in tal modo torreggia su di me, gli occhi che afferrano i miei e li chiudono in una morsa da cui non ho scampo. Più lui si piega su di me, più la mia mano scivola verso il suo fianco, lo risale e raggiunge la parte alta schiena. La sua fronte è a pochi centimetri dalla mia, i nostri nasi si sfiorano e sento il suo respiro caldo. Ho paura che possa udire il battito accelerato del mio cuore. Schiude le labbra, e non posso fare a meno di fissarle, piene e rosee.
«Io voglio conoscerti sul serio» sussurro. Lui stringe la presa sui miei fianchi e socchiude gli occhi. «Voglio sapere il significato di ogni tua azione, parola, di ogni tuo tatuaggio, Allen, perché sei importante per me, e voglio che tu sappia che non sei da solo ad affrontare... la vita.»
Un debole sorriso gli solleva gli angoli delle labbra, poi d'improvviso si piega su di me. Serro gli occhi e il cuore mi schizza in gola, ma un insieme di delusione e sollievo mi investe quando mi rendo conto che le sue labbra sono atterrate sulla mia guancia e non sulla mia bocca. Una scarica di brividi mi scuote la spina dorsale, ma non voglio chiedermene il motivo. La mano che ancora tengo dietro la schiena di Allen la porto davanti, sul suo cuore, e ho un sussulto nel constatare che sta battendo all'impazzata, allo stesso ritmo del mio.
«Penso che tu mi piaccia più di quanto ammetterò mai» mi sussurra all'orecchio, con un tono che è a metà fra il sarcastico e l'assurdamente serio. Di colpo arrossisco, ma per fortuna lui non può vedermi. Vorrei rimanere così per sempre.
«Non voglio tornare a casa» do voce ai miei pensieri, e Allen ridacchia contro il mio orecchio.
«Ci credo, qui ci sono io.»
«Smettila» rido e gli tiro una manata contro il petto. Lui inizia a ridere e si lascia cadere accanto a me. Vedo di nuovo il soffitto, ma invece di sentirmi libera dal suo peso mi sento ancora più prigioniera e appesantita. Non ci capisco più niente. Quel sentimento che pensavo fosse passeggero è ancora qui, e lui non mi sta aiutando. Prima dice che non vuole che abbia una cotta per lui, poi si comporta come se fosse lui ad averne una per me.
Allen si tira a sedere e mette le scarpe, poi mi osserva in attesa che faccia lo stesso. Con grande fatica e svogliatezza lo raggiungo, e insieme usciamo dall'appartamento e ci dirigiamo verso la sua macchina. Il viaggio di ritorno è silenzioso e tranquillo, non di un silenzio teso ma di uno rilassato, di quelli che calano quando fra le persone c'è un certo tipo di rapporto. Non ci capisco più niente con Allen, sono confusa, i miei sentimenti lo sono, e oserei dire che anche lui lo è, l'ho notato da come si carezza nervosamente l'avambraccio, cosa che fa solo quando è teso. E se davvero fosse lui ad avere una cotta per me? Scaccio immediatamente il pensiero. Non è possibile. Eppure non posso essermi immaginata tutti quegli sguardi e quelle sensazioni.
Si ferma di fronte a casa mia che, come previsto, è buia e silenziosa, fatta eccezione per le stanze del personale.
Mi volto verso di lui e apro bocca per ringraziarlo, ma quando lui fa altrettanto le parole mi muoiono in gola. Le luci della città alle sue spalle sulle tonalità dell'azzurro tenue mettono in risalto la sua figura interamente nera, gli occhi mi bucano la pelle e mi fanno tremare le ginocchia. Mai nessuno mi ha scombussolata in questo modo, e d'istinto faccio una cosa di cui però mi pento all'istante. Senza dare retta al cervello scatto in avanti e poggio le labbra su quelle di Allen. Lui sobbalza ma non si tira indietro, probabilmente scioccato dalla mia azione inaspettata. Mi ritraggo di scatto, sconvolta anch'io dalla mia stessa impulsività. Premo una mano contro le labbra poi, con gli occhi ancora sgranati e senza il coraggio di guardarlo in faccia, spalanco lo sportello e mi fiondo fuori. Per fortuna Sam e Lauren devono avermi visto e hanno aperto il cancello. Dio, sono un disastro! Ho davvero baciato Allen? E stavolta non c'era alcun "quasi", le nostre labbra si sono toccate sul serio. Mentre il mio cervello assimila ciò che ho realmente fatto e la situazione in cui mi sono cacciata, due braccia forti mi afferrano per le spalle e mi tirano indietro. Sbatto contro il petto di Allen e resto senza fiato, non per l'impatto ma per la paura di ciò che accadrà da questo momento in poi. Lui mi gira verso di sé e mi guarda dritta negli occhi, non riesco a decifrare la sua espressione. «Mi dispiace» sparo subito, in preda all'ansia di aver rovinato tutto. «Non volevo, sul serio, è stata una suggestione data dal momen-»
Le mie parole avventate vengono brutalmente interrotte. Le mani di Allen mi circondano il viso, ed è questione di millisecondi perché la sua bocca si avventi sulla mia. Ho un colpo al cuore, le farfalle spiccano il volo nel mio stomaco e mi sembra quasi che mi avvolgano anche dall'esterno, facendomi sollevare da terra. Dopo un primo attimo di sorpresa schiudo le labbra e lascio che approfondisca il bacio. È dannatamente diverso da tutti quelli che ho dato fino ad oggi, perché si tratta di qualcuno a cui tengo davvero, forse molto di più di quanto sono disposta ad ammettere. Con i pollici mi disegna dei cerchi sulle guance, e poco dopo inizia ad alzare il dito, spostarlo di qualche millimetro e lasciarlo ricadere.
«Cosa stai facendo?» sussurro timidamente, con gli occhi chiusi. Sento il suo sorriso contro le mie labbra.
«Sto contando le tue lentiggini, spesso lo faccio quando ti guardo» confessa, io arrossisco ancora di più, ma lui è troppo vicino per notarlo.
«Come fai a sapere dove sono? Non puoi vederle adesso.»
«Lo so e basta, Cheyenne» mi dice con una leggerezza che si insinua fin dentro al mio cuore, che in questo momento batte per lui, insieme al suo. Lo tiro più vicino a me e all'improvviso mi viene da piangere.
«Abbiamo fatto un casino» mormoro contro la sua spalla. Ho paura che adesso sia tutto rovinato, ho paura dei miei sentimenti. Allen mi stringe a sé e ride piano.
«Fare casini è la nostra specialità.»
E adesso, proprio adesso, so che mi sono presa una cotta stratosferica per Allen James. E che non potrà finire altro che male. Un male dolce e straziante, di quelli che non te ne accorgi ma ti portano via anche l'anima. E il problema è che io, la mia anima, gliela affiderei anche adesso, senza alcun dubbio.Ciao fiori di campo! 🙊
È successo.
Cosa accadrà adesso? È stato solo un errore? Cheyenne ha ammesso di avere una cotta per Allen, ma lui?
Scusatemi per il ritardo ma sono state due settimane molto piene... L'attesa è stata ripagata come speravate? 😌
Ci sentiamo presto 💕
Al prossimo capitolo! 🔜
-A✨
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Misfits - Disadattati
RomanceCheyenne Leroy è la figlia perfetta: brava a scuola, frequenta ragazzi educati e di buona famiglia, ha amiche popolari e ha già in tasca una borsa di studio per Harvard. O almeno è quello che credono i suoi genitori. In realtà Cheyenne non sopporta...