15. Ho un regalo per te

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Cheyenne
Oggi il sole ha deciso di sorgere troppo presto, quando mi colpisce in pieno il volto mi sembra di aver dormito a malapena un paio d'ore. Senza aprire gli occhi, provo a girarmi a pancia in sotto, ma qualcosa me lo impedisce. Pigramente apro un occhio, e noto che sul mio stomaco è poggiato un braccio, ed è fottutamente pesante!
«Allen...» mugugno, mi fa fatica addirittura muovere le labbra, ho un mal di testa devastante. Lui continua a russare beatamente di fianco a me, senza curarsi delle mie lamentele. Sbuffo e cerco di svicolare dalla sua presa, ma finisco soltanto col trovarmi ancora più scomoda.
«Inizierò a chiamarti cozza, da questo momento in poi.» Non so con chi sto parlando, perché lui di sicuro non mi sente, ma non mi faccio troppi problemi e continuo a insultarlo. Quando mi rendo conto che tanto non mi porterà a niente, faccio un sospiro e lo sguardo mi cade di nuovo sul braccio di Allen. Non ho mai davvero guardato i suoi tatuaggi, mi sono limitata a constatare che sono lì, ma non mi sono mai effettivamente chiesta quale significato possano avere. Attirata dalle intriganti linee nere, inizio a tracciare il percorso di una di esse per provare a districare questo intreccio di inchiostro. Senza rendermene conto risalgo fino alla spalla, per poi scivolare lungo il fianco. Forse non sto nemmeno più seguendo la stessa linea, ma non mi interessa. Il corpo di Allen è un'opera d'arte, la pelle è morbida e sulle spalle ha una distesa di lentiggini, pressappoco come quelle che io ho in faccia. Non sono soltanto i muscoli a renderlo bello, ma è il complesso. C'è una sorta di armonia in tutto questo, in lui, che mi trasmette... tranquillità. Chiudo gli occhi per un secondo e sospiro. Forse dovrei smetterla di comportarmi come una psicopatica. O forse no. Riesco a girarmi su un fianco, e da questa posizione ho la sua schiena proprio davanti a me. Non ha tatuaggi lungo essa, e sono davvero contenta che abbia deciso di non farli lì. Le lentiggini creano un complicato disegno, che è unico, e sarebbe stato un peccato rovinarlo.
A un certo punto Allen borbotta qualcosa e si gira a pancia in su, lasciandomi finalmente libera. Nonostante abbia conquistato la tanto agognata libertà, adesso non ho più voglia di alzarmi. Anzi, preferisco continuare ad ammirare i suoi tatuaggi. Vorrei tanto farmene uno, ma con quello passerei definitivamente il segno. Con la mano sfioro il luogo in cui dovrebbe trovarsi il septum. Non l'ho nemmeno più messo, so che sarebbe soltanto fonte di inutili litigi con mia madre. Con un sospiro riprendo a seguire le linee scure sul corpo di Allen. Sulla clavicola destra ha tatuata una roulotte in un campeggio, con gli alberi e gli elementi del paesaggio stilizzati, e sotto di essa la scritta keep it simple, una frase totalmente da Allen. Quest'immagine non mi è nuova, anzi ricordo di averla più volte vista girare sul web, ed è bellissima. Trasmette una sensazione di libertà incredibile, e non mi sorprende che Allen abbia scelto di imprimerla per sempre sulla pelle. Sposto lo sguardo sul pettorale sinistro, dove ha tatuato un animale che non mi sarei mai immaginata di vedere sul suo corpo: una farfalla, e di fianco ad essa invece una cosa molto più da Allen: un teschio. Poi i tatuaggi si fermano per lasciare spazio ai suoi addominali mozzafiato, e riprendono sul basso ventre, per diramarsi lungo i fianchi. Non riesco a vederli bene però, perché la coperta me lo impedisce, eppure mi sembra di scorgere un paio di ali sotto l'ombelico. I fianchi invece sono un caotico intreccio di linee che vanno a finire in un mare d'inchiostro sfumato. Una di queste linee attira in particolar modo la mia attenzione, e ben presto mi rendo conto che è il filo di un palloncino. Curiosa, con il dito inizio a tracciare la sua pelle bollente, fino a raggiungere le costole, dove, quasi nascosto, si trova un palloncino nero, circondato da del filo spinato, che tuttavia non lo fa scoppiare. È una bella metafora, e in certo qual modo mi sembra sia la perfetta essenza di Allen. Lui è quel palloncino, ora che lo conosco un po' meglio posso dirlo: delicato, come si è mostrato nei confronti delle mie paure a Cold Spring; fragile, come l'ho visto oggi dopo aver litigato con suo padre, perché nonostante abbia usato un tono sprezzante, ho sentito tanto dolore nelle sue parole; e... inattaccabile dall'esterno. Il filo spinato attorno al palloncino sembra quasi pungermi il dito, mentre ci penso. Allen sembra il classico adolescente sprezzante, consapevole di essere bello e intimorito da nulla, ma ora che lo conosco mi sembra soltanto una stupida definizione stereotipata, anzi mi fa quasi ridere. Non facciamo altro che classificare le persone: non appena vediamo qualcuno, in automatico cerchiamo di collocarlo in una delle categorie che la società, che noi, abbiamo creato, e poi ci sentiamo indignati quando gli altri fanno lo stesso con noi.
Il filo dei miei pensieri viene interrotto proprio dal loro protagonista in persona. Allen borbotta un paio di frasi sconnesse, poi sbadiglia e si stira. Con il braccio si copre gli occhi, come se volesse tornare a dormire, poi all'improvviso lo allontana con uno scatto e si tira a sedere.
«Merda!» esclama.
«Buongiorno anche a te» replico, sarcastica. Allen mi ignora e si alza in piedi. «È tardissimo! Devo... Amy mi sta aspettando! Dio, mi odierà per essere sparito in questo modo.»
Mi metto seduta con cautela e lo osservo rivestirsi di tutta fretta. «Allen» lo chiamo, ma non mi ascolta. Alzo gli occhi al cielo, infastidita, e a passo sicuro vado verso di lui, strappandogli la giacca dalle mani. Finalmente abbassa lo sguardo su di me, confuso. «Che fai?»
«Sono le sette!» esclamo, e grazie a Dio sembra darsi una calmata.
«Ah... pensavo fosse più tardi» si porta una mano dietro la nuca, imbarazzato. «Buongiorno, Kate.»
Alzo gli occhi al cielo e lo ignoro, per poi oltrepassare la soglia della porta.
«Dove vai? Non te la sarai mica presa!» Mi grida dietro, ma ancor prima che possa mandarlo a quel paese me lo ritrovo alle spalle che mi stringe un braccio. Mi volto di scatto per intimargli di lasciarmi, ma la sua vicinanza ricaccia giù tutto ciò che stavo per dirgli. I suoi occhi sembrano ancora più scuri da questa distanza, più profondi, e noto soltanto adesso il piccolo neo situato sulla guancia sinistra. Deglutisco a vuoto, e sono contenta di constatare che non sono la sola ad essere rimasta senza parole.
«Mi dispiace» Allen si schiarisce la gola e fa un passo indietro, senza tuttavia lasciare il mio braccio. «Non volevo essere maleducato.»
«Non fa niente» la mia voce non è mai suonata così incerta alle mie orecchie come in questo momento. Vorrei tirarmi uno schiaffo. Autocontrollo, Cheyenne. Sposto leggermente il braccio verso di me, e Allen lo lascia andare, a disagio. Da dove nasce tutto questo imbarazzo fra noi? Ho il certo sospetto che il fatto scatenante sia stato il quasi-bacio di ieri.
«Hai detto che la cuoca se n'è andata, giusto?» Allen cambia discorso all'improvviso, e non potrei essergliene più grata.
«Purtroppo.»
«Beh... si dà il caso che oggi sia il tuo giorno fortunato, perché hai davanti a te il nuovo Gordon Ramsay» come al solito, si atteggia, e l'atmosfera torna quella di sempre.
«Dei poveri» replico.
«Eh?»
«Sei Gordon Ramsay dei poveri» lo canzono, ma lui ghigna, per niente offeso.
«Permettetemi di dissentire, milady, ma non avete mai avuto l'onore di assaggiare nessuno dei miei piatti» con un buffo accento britannico fa finta di togliersi un cappello e si inchina.
«Cosa stai facendo?» rido.
«Non lo so, ma una cosa la so: non sarai più la stessa dopo aver assaggiato i miei pancake.»
A braccia conserte alzo gli occhi al cielo. Lo faccio spesso da quando conosco Allen, forse perché è la principale fonte della mia irritazione. «E va bene, tanto peggio di me non potrai mai fare... sempre meglio del cibo in scatola.»
Lui si finge offeso, con una mano premuta contro il petto come se lo avessi pugnalato. «Stai sul serio paragonando la mia cucina al cibo in scatola? Non erano buoni i sandwich che abbiamo mangiato a Cold Spring?»
Ghigno e lo prendo in giro. «Chiunque saprebbe preparare dei sandwich, andiamo! Non devi fare un bel niente, soltanto mettere dell'insalata, del tonno e un po' di formaggio fra due fette di pane!»
«Sto rivalutando l'idea di prepararti la colazione, visto che sei così brava» minaccia.
«No! No, no, no! Sono sicura che cucinerai qualcosa di davvero strepitoso!» sbatto le ciglia. Una cosa è di sicuro vera: tutto è meglio del cibo in scatola.
«Allora tu puoi anche... occupare il tuo tempo come preferisci, io mi dedicherò all'arte, donna.»
Scuoto la testa e mi incammino verso il bagno. «Credo proprio che mi farò una doccia... sai, forse dovresti farci un pensierino anche tu, non hai proprio un buon odore.»
Allen alza un angolo delle labbra, come se non stesse aspettando altro se non che facessi questa osservazione. «Beh... è difficile non puzzare quando qualcuno ti dorme appiccicato come una cozza... e ti palpa pure.»
Non ricordo di essere mai arrossita completamente nella mia vita, almeno fino a questo momento. Sono sicura di avere le orecchie in fiamme. Allen scoppia a ridere, divertendosi come un matto di fronte al mio imbarazzo.
«Te ne sei accorto! Ho provato a liberarmi dalla tua stretta per almeno mezz'ora, e per tutto quel tempo tu eri sveglio! Lurido figlio di...» balbetto.
«Va bene, Miss Finezza, ora vado a preparare la colazione sul serio, e tu... mi raccomando: acqua fredda, o non penso che la smetterai di andare a fuoco.»
Pesto i piedi a terra, infuriata e umiliata, mentre Allen se la ride alla grande. Gli do le spalle e marcio lungo il corridoio, per poi chiudermi in bagno e poggiare la schiena contro la porta. Sento il bastardo ridere sulle scale anche da qui!
«Maledetto, brutto, dannato... che stronzo!» sbotto, con un gesto secco della mano apro l'acqua e la lascio scorrere nella vasca. Era sveglio! Per tutto il tempo! Dio, devo essergli sembrata una psicopatica... ma davvero lo stavo palpando? Scuoto la testa, per scacciare il pensiero e con esso l'imbarazzo. Mi libero della maglia e dei pantaloni e mi assicuro che la porta sia chiusa a chiave. Non si sa mai...
Dopo di che scivolo fuori dall'intimo e mi immergo nella vasca. L'acqua calda rilassa i muscoli e ha un effetto positivo anche sul mal di testa. Scivolo un po' più giù, attenta a non bagnare i capelli, e chiudo gli occhi. Potrei restare in questa posizione per ore, ma purtroppo non posso farlo.
Dopo un breve bagno rigenerante, sono costretta ad abbandonare il tiepido calore della vasca e mi avvolgo nell'asciugamano.
«Non posso crederci...» sbatto la mano contro la fronte, incredula di non essermi ricordata di prendere dei vestiti puliti... per la seconda volta. Provo a pensare a una soluzione, ma non mi viene in mente nulla. Non posso neanche indossare di nuovo i vestiti di prima, perché ormai li ho messi nella cesta dei panni sporchi, e tirarli di nuovo fuori... semplicemente disgustoso. Con un gran sospiro e la consapevolezza che non potrà finire in altro modo se non male, apro leggermente la porta dopo aver sbloccato la serratura e mi sporgo in corridoio. Tutto tace. Un delicato profumo di vaniglia mi fa brontolare lo stomaco, e sento qualcosa sfrigolare sul gas. Allen è di sicuro al piano inferiore. Torno in area sicura e faccio un gran sospiro. La mia camera si trova a malapena a dieci metri dal bagno... cosa potrebbe mai andare storto? Apro la porta, corro in camera, mi cambio e scendo di sotto. Funzionerà. Conto fino a tre, come se stessi per lanciarmi da un aeroplano in volo per recuperare un compagno caduto in guerra, poi spalanco la porta e corro. Ovviamente, però, questa è la mia vita, e qualcosa nella mia vita deve sempre andare storto. Infatti a metà del mio percorso, quando ormai stavo iniziando ad assaporare il dolce profumo del successo, Allen decide di spalancare la porta della camera dei miei e uscire in corridoio. Non avevo neanche calcolato troppo male lo spazio di frenata, in realtà, tuttavia mi sono scordata il fattore "piedi bagnati", e la collisione è inevitabile. Lui cade a terra, e io gli piombo addosso.
«Ahi, Kate, ma non te l'hanno mai detto che non si corre in corridoio?» mugugna, massaggiandosi la fronte.
«E allora spiegami perché l'avrebbero chiamato così» replico con sarcasmo, mentre sbatto le palpebre per tornare a vedere in modo normale.
«Non mi sembra il caso di fare battute, hai rischiato di uccidermi e...» smette di massaggiarsi la fronte e si rende conto di quanto in realtà questo sia imbarazzante. Adesso è lui quello a deglutire a vuoto, mentre con lo sguardo corre lungo le mie gambe nude.
«Smettila di guardare, idiota!» lo riprendo, cercando di coprirmi quanto più possibile con l'asciugamano. Era questo ciò che stavo cercando di evitare.
«Scusami, Cheyenne, so di averti da poco friendzonata, ma resto comunque un uomo...»
Sbuffo e mi tiro su, aggiustando l'asciugamano attorno al petto. Allen mi imita e poi mi guarda imbarazzato, anzi cerca di non farlo. La situazione è in qualche modo comica, o forse sarebbe meglio dire tragicomica. Alzo gli occhi al cielo, tanto non può vedermi.
«Puoi sempre guardarmi in faccia.»
«Non è così facile come sembra...»
«Idio-»
«Ho capito!»
Questa volta è lui ad alzare gli occhi al cielo, per poi concentrarsi sul mio volto.
«Che ci facevi nella camera dei miei genitori?» gli chiedo, perché davvero non capisco cosa stesse cercando.
«Eh?»
«Quella in cui ti trovavi era la camera dei miei... perché?»
Lui si gratta la nuca, imbarazzato. «Stavo cercando un altro bagno.»
«E secondo te abbiamo costruito due bagni praticamente attaccati?» alzo un sopracciglio, scettica.
«Che diavolo ne so! Io volevo soltanto andare in bagno...»
«E io voglio soltanto i miei vestiti» sospiro sconsolata e lo oltrepasso per raggiungere la mia camera.
«Stai bene anche così!» esclama, e sono tentata di tornare sui miei passi per insultarlo, ma alla fine scuoto la testa e lascio perdere. Nonostante tutto, però, non riesco a fare a meno di ridere... da quando Allen ha deciso di entrare a far parte della mia vita, è davvero tutto più divertente.

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