17. Sospetti e segreti

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Recap sui personaggi: Jacques Pierre: autista della famiglia Leroy,
Margherita Viscogliesi: cuoca della famiglia Leroy,
Lauren Reinhart: domestica della famiglia Leroy e amica di Cheyenne,
Sam Kennington: domestica della famiglia Leroy e amica di Cheyenne,
Jeanette Rousseaux: capo delle domestiche della famiglia Leroy,
Courtney Dean: capo delle cheerleader e del gruppo dei popolari con Brad,
Chantal Broadway: braccio destro di Courtney,
Brad Wilson: capitano della squadra di football e capo del gruppo dei popolari con Courtney,
Rick Walker: giocatore di football e migliore amico di Brad,
Jordan Peck: giocatore di football (che ha una cotta per Cheyenne),
Francisco Cabrera: giocatore di football e amico di Allen,
Taylor Parker: migliore amica di Amy.

Cheyenne
Pensavo che tornare alla normalità con il personale che gira per casa e i miei e mia sorella di nuovo fra i piedi mi avrebbe fatto sentire meno sola, invece non è affatto così. Per vari motivi. Innanzitutto nessuno dei miei familiari mi ha chiesto come abbia passato le "vacanze", come al solito; l'unico che si è sforzato di darmi attenzioni è stato mio padre, che mi ha raccontato della loro vacanza, ma dopo nemmeno dodici ore hanno ricominciato entrambi a comportarsi come se non esistessi, presi uno dal lavoro e l'altra dal matrimonio di Amélie.
La scuola ricomincia oggi e finalmente è tornata la signora Viscogliesi, quindi posso smettere di mangiare cibo in scatola. Dopo la sera di Natale non ho più visto Allen, che è partito a sorpresa con la sua famiglia per andare in campeggio a Cold Spring, dunque mi sono dovuta arrangiare sia per quanto riguarda il cibo sia per la compagnia. Ho passato molto tempo con Wendy e devo dire che abbiamo legato subito, è molto affezionata a me, per questo quando la lascio nascosta nella stanza di Lauren piagnucola, motivo per cui devo parlarne ai miei il prima possibile, dato che non l'ho ancora fatto. Per fortuna sono stata previdente e, appena tornate dalle ferie, ho corrotto Lauren e Sam a coprirmi. Per adesso i miei non sospettano nulla, ma non potrò nascondergli per sempre di avere un cane. Sto solo cercando il momento migliore per affrontare il discorso. Mia madre la prenderà malissimo, non mi resta che riporre ogni speranza in mio padre.
Mi arrotolo la sciarpa attorno al collo e mi preparo psicologicamente ad affrontare un altro gelido giorno d'inverno newyorchese. L'unica nota positiva è che ho finalmente tutta la giornata di nuovo piena d'impegni. Dopo scuola ho le prove con le cheerleader e stasera andiamo a cena assieme alla squadra di football, dunque anche con Allen. La cosa mi preoccupa non poco, perché dovremo recitare la parte di due che non si conoscono, quando in realtà il nostro rapporto è su tutt'altro piano. Ho paura di quello che gli altri potrebbero dedurre e dei gossip a cui potrebbero dar vita, ma è inutile rimuginarci così tanto. In realtà la cosa che mi rende più nervosa e al contempo felice è l'idea di rivedere Allen. Mi sono sentita terribilmente sola e annoiata questi ultimi giorni che non l'ho visto. Ci siamo scritti poco, lui è andato in campeggio – stavolta legalmente – e il cellulare gli prendeva poco e male, oltretutto non volevo sottrarre altro tempo alla sua famiglia, aveva già fatto abbastanza per me. Il nervosismo però è dato dal fatto che non so bene come comportarmi con lui dopo la storia dei disegni. È chiaro il messaggio che ha lasciato trapelare: ha ricominciato a disegnare quando ha conosciuto me, e ha disegnato solo me da quel momento. Cosa significa? Che dovrei pensare? Quei disegni sono... stupendi, è come se mi guardassi attraverso i suoi occhi, e quella che vedo è una persona che non sento di essere: luminosa, felice, spensierata... una me a cui di sicuro aspiro ma che non sono.
«Signorina Leroy» la voce del signor Pierre mi riporta alla realtà, e mi sforzo di accantonare tutti questi pensieri. Gli sorrido, felice di rivederlo sulla soglia della porta come ogni mattina, il completo ben stirato e il volto radioso. Lui fa un passo verso di me e mi rivolge un sorriso genuino. «Mi fa piacere trovarla bene, come ha trascorso le vacanze?»
Sorrido dentro di me di fronte alla sua formalità. Non cambierà mai.
«Non c'è male, lei invece?»
«Oh, i miei nipotini mi hanno fatto impazzire» un sorriso pieno d'affetto gli illumina il volto, e un po' invidio i suoi nipoti.
«Che ne dice di accompagnarmi a scuola e raccontarmelo?» gli propongo, lui annuisce e andiamo insieme verso l'auto. Dalla sera della festa, quando gli avevo chiesto di coprirmi, il nostro rapporto ha avuto un picco pauroso. Pierre non mi aveva mai dato confidenza prima d'ora, forse perché io gli rendevo la cosa impossibile, dato che tutto ciò a cui mi limitavo erano gli ordinari saluti, invece adesso sembriamo due vecchi amici che si rivedono dopo tanto tempo. Mi sono addirittura seduta davanti. Prima però che riusciamo a partire, intravediamo Amélie che percorre di corsa – per quanto glielo permettono i tacchi – il vialetto con dietro una decina di buste e bustine. Per quanto le riesce si sbraccia anche per farci segno di non partire. Alzo mentalmente gli occhi al cielo. Sa proprio come rovinare una giornata che era iniziata in modo positivo. Pierre mi guarda corrucciato, senza dire nulla, come se mi stesse chiedendo scusa, ma lui non ha colpa. Amélie spalanca la portiera posteriore e fa un sospiro teatrale. «Grazie per avermi aspettata, Jacques, devo fare la stessa strada di Cheyenne e ho approfittato.»
Stringo i pugni. La cosa che odio di più di mia sorella è che è un'arrogante senza precedenti. Persino i miei genitori chiamano quasi sempre il signor Pierre per cognome, lei invece da irrispettosa qual è lo chiama per nome. Da sempre.
«Non si preoccupi signorina Leroy, dove posso accompagnarla?» le chiede Pierre. Mia sorella ridacchia.
«Signorina ancora per poco, infatti sto proprio andando a ritirare l'abito per il matrimonio, nel frattempo ho anche portato qualche regalino di Natale da consegnare alle mie amiche.»
A me non l'ha mai fatto il regalino di Natale, la stronza. Quanto la detesto.
Sposta lo sguardo su di me e spalanca gli occhi, come se fosse sorpresa di vedermi. «Ciao Chey! Non ti avevo mica vista... come mai sei seduta davanti? Dai, vieni dietro a farmi compagnia così mi racconti un po' come hai trascorso le vacanze.»
Che stronza. In realtà non le frega un bel niente delle mie vacanze, altrimenti me lo avrebbe chiesto due giorni fa, quando è tornata. Sono sicura che l'unica ragione per cui vuole che io vada dietro è che non sopporta di non essere al centro dell'attenzione, e stando dietro da sola non lo sarebbe.
«In realtà c'è ben poco da raccontare» rispondo, senza neanche voltarmi.
«Andiamo, sorellina, non farti supplicare» per quanto il suo sorriso possa essere ingannevole, il suo tono non lo è affatto, e le parole sibiliate fra i denti sono cariche di astio, come se avessi oltrepassato il limite soltanto rispondendole. Siccome non ho voglia di discutere decido di dargliela vinta, rivolgo un sorriso di scuse a Pierre, che dal canto suo è più dispiaciuto di me, e faccio felice la principessa, salendo dietro di fianco a lei. Amélie sorride vittoriosa e si poggia al sedile. Dopo di che non mi rivolge più la parola. Neanche. Una. Volta. Mai. Quando scendo dall'auto per andare a scuola non mi saluta nemmeno. È proprio la regina degli stronzi. Il vento mi sferza il viso, ma per una volta non me ne frega un bel niente. Sono così arrabbiata da morire di caldo. Macino il terreno sotto ai piedi ed evito tutti i gruppi di persone che si salutano come se non si fossero viste per un secolo, finché non mi scontro con un corpo massiccio e saldo, rischiando di cadere. Due braccia mi afferrano per le spalle e mi tirano su. «Scusami, non ti avevo vista, stai bene?»
La voce mi suona familiare, e anche l'accento.
«Francisco!» esclamo, lui sembra confuso, poi mi riconosce.
«Cheyenne! Ciao, chica, scusami se ti ho quasi uccisa, non ti avevo vista, anzi neanche ti riconoscevo sotto tutti questi vestiti... come stai?» Come se fossimo amici da una vita mi passa il braccio attorno alle spalle e mi trascina verso l'ingresso.
«Bene» mormoro, un po' sconvolta. «Hai visto Allen?»
Francisco si ferma di botto e sorride in modo furbo. I capelli riccioluti e biondi gli ondeggiano attorno al viso. «James non viene stamattina, e forse non verrà neanche per un bel po'... c'è la possibilità che cambi scuola.»
Spalanco la bocca, pietrificata. Non mi ha detto nulla. «Cosa?» Non penso che riuscirò a sopravvivere a una notizia del genere.
Francisco mi osserva per un po' incredulo, con le labbra socchiuse, poi scoppia a ridere. Resto interdetta. «Che c'è da ridere?»
«Ti sto prendendo in giro, chica, era un semplice test.»
«Un test?» Sono sempre più incredula.
Francisco annuisce, poi saluta un suo compagno di squadra e torna a concentrare la sua attenzione su di me. «Dicevamo?»
«Mi hai fatto un test, davvero?» comincio ad essere infastidita, lui invece diventa mortalmente serio.
«James fa tanto il duro ma in realtà è un orsetto di peluche» comincia, facendomi cenno di seguirlo verso le scale. In effetti è suonata la prima campanella. «Il che significa che si affeziona con una velocità disarmante, anche se cerca di far trapelare tutto il contrario.»
«E questo che ha a vedere con me?»
Francisco si ferma e vado a sbattere contro la sua schiena. Faccio un passo indietro, poi lo guardo negli occhi quando si volta.
«James è affezionato a te, volevo soltanto vedere se anche a te importava di lui.» Poi mi dà di nuovo le spalle e riprende a salire le scale. Rimango pietrificata. Ma stiamo scherzando? Gli altri studenti mi urtano per passare e borbottano, ma non hanno il coraggio di guardarmi in faccia. Mi risveglio dallo stato di shock e salgo una rampa di scale quasi in un sol colpo.
«Francisco!» lo chiamo, lui si ferma all'imbocco del corridoio del secondo piano e mi guarda curioso. «Non penserai di lanciare questa bomba e che io non esiga spiegazioni.»
Piega la testa da un lato e aggrotta le sopracciglia, proprio come fa Wendy quando non capisce quello che le dico. Gli occhi verdi brillano di curiosità, come se mi stesse studiando. E la cosa mi dà fastidio. Mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, stizzita. Lui sospira e poggia una mano sul fianco.
«Io e Allen non ci siamo conosciuti l'altro ieri» fa una pausa durante la quale alzo gli occhi al cielo. Mi sembrava ovvio. «Frequentavamo le elementari insieme, a Brooklyn, ed eravamo molto legati.»
Adesso ha la mia totale attenzione. Non mi aspettavo che fossero amici da così tanto, anche perché Allen non me ne ha mai parlato.
«Quando i suoi si sono separati lui si è chiuso in se stesso e ha voluto cambiare scuola, così da non rivedere più nessuno dei suoi amici, e io so perché l'ha fatto» continua.
«Perché?» sussurro, anche se credo di conoscere la risposta.
«Perché non voleva rispondere alle domande che sicuramente tutti gli avrebbero posto, non voleva dare spiegazioni a nessuno, e soprattutto non voleva rimanere deluso perché sapeva che nessuno avrebbe capito quello che stava passando, quindi arrivato alle medie ha cambiato scuola e ha interrotto i contatti con tutti.»
«E allora voi...» inizio, lasciando la domanda in sospeso. Francisco sorride.
«Ci siamo ritrovati alle superiori e piano piano mi sono riavvicinato a lui, ho impiegato almeno tutto il primo anno per riguadagnare la sua fiducia, per questo ero preoccupato quando ho visto che tu invece ci avevi messo così poco. Lo chiami per nome, Cheyenne, e nessuno lo fa a parte sua madre e sua sorella. Non vorrei che rimanesse deluso e allontanasse tutti un'altra volta, capisci?»
Annuisco, anche se in realtà mi serve del tempo per assimilare tutte queste informazioni. Francisco a primo impatto sembrava uno dei tanti, invece mi sono sbagliata in pieno. Mi ha studiata per tutto questo tempo. Assottiglio lo sguardo. Non so se fidarmi o meno di lui, ma Allen ha detto che è un tipo che di sicuro non si mette ad alimentare i gossip, e di lui mi fido. Francisco mi sorride. «Allora siamo a posto.» La seconda campanella suona, e lui va verso la sua classe. A metà corridoio però si ferma e alza una mano, io non mi sono ancora mossa. «Comunque James non c'è, arriva per pranzo, ha una visita.» Detto ciò, entra nell'aula dopo avermi fatto un cenno di saluto.
Le mie sopracciglia scattano entrambe verso l'alto. Un'altra cosa che non mi ha detto. Stringo la presa sulla spallina dello zaino. L'ho afferrata quando Francisco mi ha messo il braccio sulle spalle e non l'ho più lasciata andare. Resto un altro po' finché il corridoio non si svuota, poi mi ricordo che anch'io dovrei essere in classe. Mi precipito lungo le scale per tornare al primo piano e raggiungere l'aula di scienze, con la testa che mi esplode per le domande che vi ondeggiano e che sicuramente farò ad Allen.

Misfits - DisadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora