33. Promesse

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Cheyenne
Prima ancora di aprire gli occhi mi sento una persona diversa. Un sorriso spontaneo si allarga sulle mie labbra, seguito subito dopo dalle palpebre. Pigramente sposto lo sguardo a destra, dove trovo Allen ancora addormentato. Era da tanto che non vedevo la sua faccia così rilassata, i lineamenti morbidi e le lunghe ciglia scure a sfiorargli gli zigomi. Ha le labbra leggermente socchiuse e i capelli arruffati perché ci ho passato le mani in mezzo per ore. Gli sposto un ciuffo dalla fronte con la punta dell'indice, attenta a non svegliarlo, poi mi rannicchio contro il suo fianco, con la testa poggiata sul petto, dove posso sentire il cuore battere forte e regolare. Piano piano gli occhi mi si chiudono di nuovo, e immagini della sera prima mi cullano con dolcezza. È stato tutto perfetto, ma con Allen non potevo aspettarmi nulla di diverso. Ci incastriamo alla perfezione, come se i nostri corpi fossero stati creati in un unico stampo e poi separati e destinati a ritrovarsi. Gli ho detto che lo amo, e un peso opprimente si è sollevato dal petto, volando via come una piuma. Nella situazione più incerta della mia vita, con tutte le conseguenze che devo affrontare, non mi sono mai sentita più sicura delle mie scelte. Non ho più paura. Sono pronta ad affrontare mia madre, l'alta società newyorchese, i pregiudizi. Ma non oggi. Questa giornata di pace è dedicata a me ed Allen.
Allungo un braccio per recuperare il cellulare, lo accendo e trovo decine di chiamate perse da mia madre e altrettanti messaggi in cui mi chiede che fine ho fatto. Sarebbero quasi commoventi, se non fosse che la metà sono minacce.

Torna o ti lascerò morire di fame senza un tetto sulla testa.

Sposa Hans o la Juillard te la scordi.

Ti rinchiudo in casa fino al giorno del matrimonio.

Spengo il cellulare perché non ce la faccio più a vedere tutto quell'odio. Mia madre è tossica, ha cercato di avvelenarmi e per un po' ci è anche riuscita, ma non ha raggiunto le radici, saldamente ancorate a terra, dove Allen le protegge con cura.
C'era anche un messaggio di mia sorella: Sono fiera di te. Ed è proprio a lei che penso stringendomi il cellulare al petto.
Non ti deluderò, Amélie.
Il fruscio delle lenzuola mi distrae dai pensieri martellanti nella mia testa.
«Buongiorno». Allen si stiracchia, allungandosi come un gatto, e mi saluta con quella voce roca per il sonno che mi fa impazzire.
«Ehi». Scivolo verso di lui, fino a trovarmi a pochi millimetri dal suo volto, e lo bacio. Non ne avrò mai abbastanza, non dopo essermene privata per così tanto tempo. Le sue mani disegnano un itinerario che parte dalla mia vita e arriva alle guance, dove dipinge dei piccoli cerchi sulla pelle, unendo tra loro le lentiggini.
«Questo è decisamente un buongiorno coi fiocchi», mormora. Rido contro le sue labbra, e Allen si mette a sedere tirando su anche me. Poggio una mano sul suo petto, sopra al teschio con la farfalla, e gli sorrido. Lui mi scruta attentamente con un'espressione di pura adorazione, come se volesse imprimersi in testa ogni minimo dettaglio del mio volto, e non posso fare a meno di arrossire. Non mi sono mai sentita amata, ed è una sensazione meravigliosa. Un calore che si sprigiona dal cuore e raggiunge ogni punto del corpo, come quando d'inverno t'infili sotto al piumone. È così che mi sento sotto al suo sguardo.
«Cosa ti va di fare?» chiede, mentre si arrotola una ciocca dei miei capelli attorno al dito. Con un sorriso furbo gli poggio le labbra sul collo, per poi risalire verso la mascella e lasciargli un bacio casto sulle labbra. Ridacchio mentre lui mi osserva con un'espressione compiaciuta.
«Messaggio ricevuto». Le sue mani s'insinuano sotto alla maglietta che indosso. «Credo che questa sia mia».
«Pensavo me l'avessi prestata», mormoro con tono innocente, ma senza riuscire a togliermi il sorriso dalle labbra.
«Ora la rivoglio indietro». Con un solo movimento mi sfila la maglia, e mi ritrovo ancora una volta senza vestiti di fronte ai suoi occhi. Eppure non mi vergogno. Non l'ho mai fatto con Allen. Mi ha già vista nuda un'infinità di volte.
«Ti amo», sussurro, mentre le sue labbra mi accarezzano il collo, le spalle, le clavicole.
In un secondo è lui a torreggiare su di me, e l'attimo seguente siamo di nuovo in sintonia, e i nostri corpi tornano a incontrarsi, si accolgono. Più mi fondo con lui, più sono sicura che siamo stati creati per essere una cosa sola.
«Ti amo», ansima, un secondo prima di nascondere la testa nell'incavo del mio collo e rilassarsi contro di me.
Restiamo in silenzio per qualche minuto, finché Allen non solleva gli occhi sul mio volto. «Non mi hai detto cosa vuoi fare oggi».
«Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara». Sollevo le sopracciglia con fare eloquente, e lui scoppia a ridere.
«A parte questo», ghigna.
«D'accordo... voglio andare a Coopers Beach».
Allen mi guarda con un sopracciglio sollevato. «Una delle dieci migliori spiagge degli Stati Uniti? Dove il parcheggio costa cinquanta dollari? Chi sei e cosa ne hai fatto della mia Cheyenne contraria a ogni forma di lusso?»
Rido piano. «È innegabilmente una bella spiaggia, e anche una delle poche che conosco. La mia famiglia trascorre almeno un mese negli Hamptons ogni estate, e ogni volta io mi nascondo lungo quella distesa infinita di sabbia bianca per sfuggire alle chiacchiere di mia madre. Per fortuna è sempre occupata nei brunch con le amiche».
Mi alzo dal letto per raggiungere il bagno. Osservo il mio riflesso nello specchio, e finalmente mi vedo piena di vita. Sorrido mentre mi spazzolo i capelli, e dal riflesso becco Allen a guardarmi, a pancia in giù sul piumone morbido che ci ha avvolto stanotte.
«Sei bellissima, Cheyenne». Il complimento mi scalda il cuore come sempre, ma nei suoi occhi vedo passare un'ombra.
«Che succede?» Poggio la spazzola sul lavandino di porcellana candida. Allen sospira, poi si alza per raggiungermi in bagno. Si ferma sulla soglia con le mani appoggiate allo stipite della porta.
«Non ti mancherà tutto questo?» Getta un'occhiata attorno a sé.
«Cosa?» Sono sinceramente confusa dalla sua domanda.
«Le estati negli Hamptons, la villa a New York, il circolo del golf, i brunch... Io non posso darti niente di tutto questo, Cheyenne. Potrei, perché mio padre è miliardario, ma ho fatto una scelta. Tu vuoi la stessa cosa? Io non voglio privarti di...» allarga le braccia, avvolgendo la camera da letto arredata in modo impeccabile. «...questo».
Lo osservo per qualche secondo, poi una lieve risata abbandona le mie labbra, ed ora è Allen quello confuso. «Da dove salta fuori questo discorso? L'abbiamo sempre pensata allo stesso modo, Allen. Io sono capitata in questa vita, e sono grata per tutto ciò che la mia famiglia possiede, ma sai cosa penso di tutte queste... cose da ricchi. Gli oggetti sono vuoti, privi di anima, e a forza di rincorrerli anche le persone diventano tali. E io non voglio essere una di quelle persone. Non me ne frega niente degli Hamptons, del conto in banca a nove zeri o del circolo del golf. Non è mai stato un problema rinunciare a questo, ciò a cui non avevo il coraggio di rinunciare...» faccio una pausa. Le lacrime mi pizzicano gli occhi, ma ho pianto abbastanza. «...era l'amore di mia madre. Ma ho capito che non mi ama. Non ne è capace. Vuole solo controllarmi, e non può farlo con il denaro, perché non me ne frega niente dei suoi soldi».
Vedendo la mia espressione, Allen avanza nel bagno e mi stringe tra le braccia. «Va tutto bene. Ci sono io con te, Cheyenne. È lei a non meritarti, ed è lei a perderci qualcosa perché non si è sforzata di conoscerti davvero. Sei una donna forte, meravigliosa, non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno e persegui i tuoi obiettivi senza mai tirarti indietro».
Mi crogiolo nel suo abbraccio, assorbendo tutti i complimenti che mi rivolge. Allen è la mia roccia. Senza di lui non avrei mai trovato il coraggio di abbandonare ogni certezza.
«Se non ti avessi incontrato, adesso sarei ancora infelice», mormoro contro la sua pelle calda.
Un sorriso gli tira le labbra, e il suo volto si rilassa all'istante. «Sei felice?»
«Sì». Sorrido. «Ora sì».

Misfits - DisadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora