11. Adolescenti ribelli

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Cheyenne
Premo il bottone del citofono e aspetto che il cancello di Villa Leroy si apra. La macchina di Allen passa alle mie spalle, e la prima cosa che mi torna alla mente, mentre la osservo allontanarsi nel cuore di Manhattan, è il calore della sua mano. È vero, non avevo mai tenuto per mano nessuno prima di lui, e subito dopo averlo detto ad alta voce mi sono sentita morire. È raro che non applichi il filtro tra il cervello e la bocca, e prima non l'ho fatto. Per fortuna il mio autocontrollo è ferreo, e sono riuscita a non diventare un semaforo. Forse non mi sono mai sentita così in imbarazzo come oggi, ma poi Allen ha rivelato che nemmeno lui aveva mai preso per mano una ragazza. Faccio davvero fatica a crederci, dato che è molto probabile che abbia avuto più ragazze lui di tutti gli altri componenti della squadra di football, ma come probabilmente lui fa fatica a credere a me, dunque perché non farlo? Di fondo, quale ragione potrebbe avere per mentirmi?
Il cancello si apre e attraverso il giardino fino alla porta d'ingresso. Nell'enorme atrio le luci sono soffuse e non si sente il minimo rumore. La porta che si chiude alle mie spalle sembra quasi un tuono nel silenzio. Un po' inquieta, raggiungo la cucina e trovo la signora Viscogliesi che sta finendo di mettere in ordine.
«Oh! Buonasera, signorina Leroy, scusi, mi ha spaventata, non l'ho sentita rientrare» mi dice, dopo aver quasi rischiato un infarto quando le sono comparsa alle spalle. I suoi occhi seri ma gentili mi sorridono.
«Buonasera, sa per caso dove sono tutti?» le domando, confusa. I miei dovrebbero essere a casa, e teoricamente avremmo dovuto cenare insieme, ma sono le otto e mezza ed è assai probabile che non mi abbiano aspettata. Le rigide regole ferree di mia madre: cena alle sette e mezza, e se per quell'ora non sono seduta a tavola, la cena per me salta.
«Mi dispiace, hanno già cenato senza di lei, ma le ho lasciato qualcosa in caldo» con lo sguardo dispiaciuto si avvicina a me, e mi sussurra all'orecchio: «Tuttavia non disperi, ho fatto un piccolo sgarro alla dieta di sua madre e le ho preparato il suo piatto preferito: pasta allo scoglio.»
Sorrido e mi si scalda il petto all'idea che, una persona così rigida e devota a mia madre come la signora Viscogliesi, abbia potuto rischiare di incorrere nella sua ira per me. «La ringrazio davvero molto.»
Solo adesso noto che, nonostante la cucina sia pulita come sempre, c'è qualcosa che non quadra. Generalmente la signora Viscogliesi lascia sempre alcuni oggetti qui, perché sa che tornerà il giorno seguente, e non vedere il guanto da forno consumato dall'uso e i suoi antichissimi strumenti per fare la pasta mi porta a una sola deduzione.
«Perdoni la mia indiscrezione, per caso da domani andrà in ferie?» Già mi sento morire dentro all'idea del Natale che si avvicina e dell'ennesimo anno trascorso in una casa di quattrocento metri quadri vuota.
La signora Viscogliesi sorride in modo triste, come se provasse compassione verso di me, e probabilmente è così. «Sì, ma le prometto che tornerò il prima possibile.»
«Ma non scherzi: si goda le vacanze con la sua famiglia, e si goda l'Italia» mentre lo dico, tuttavia, anche se lo penso, un massiccio groppo in gola mi ostacola il respiro. Scambiamo qualche altra parola, poi si congeda. E siamo già a un membro del personale in meno. Dovrò mangiare solo cibo in scatola per i prossimi dieci giorni: un incubo.
Con un gran sospiro mi siedo a tavola, e la pasta allo scoglio risolleva un po' il mio umore, anche se continuo a chiedermi perché ci sia tutto questo silenzio. Forse i miei non ci sono, e spero che il resto del personale non sia già andato in ferie, altrimenti le mie vacanze sono cominciate troppo presto. Lascio il piatto e le posate nel lavandino e salgo al piano superiore. Anche qui è il buio più totale, ma nella mia camera finalmente incontro qualcuno.
«Samantha! Grazie a Dio!» esclamo, e per la seconda volta rischio di far venire un infarto a qualcuno.
«Cheyenne! Accidenti, mi hai fatto venire un colpo» mi guarda con gli occhi verdi sgranati. Samantha è un'altra domestica che, insieme a Lauren e alla signora Rousseaux, durante la settimana, alloggia al terzo piano. Anche lei è molto giovane, ha una trentina d'anni, ma è affabile e diligente.
«Scusami tanto, sai per caso dove sono i miei genitori e il resto del personale?»
«Tuo padre e tua madre sono nella loro camera, Pierre è tornato a casa pochi minuti fa, da domani pomeriggio andrà in ferie, la signora Rousseaux è andata in ferie stamattina e Lauren è al piano di sopra, nella sua stanza.»
«Grazie mille» le dico. «Tu...»
«Io finisco di sistemare la tua stanza e vado a casa, torno mercoledì ventisette.»
Annuisco e sospiro. Meno due, con la Rousseaux meno tre e con Pierre, da domani, meno quattro. «La signora Lawrence?»
«Oggi ha finito di sistemare il giardino, poi è andata via, credo che tornerà direttamente a gennaio.»
Meno cinque. «D'accordo, ti ringrazio.»
«Figurati... qui ho quasi finito, devo soltanto mettere quelli nell'armadio.» Indica una pila di vestiti ben stirati.
«Tranquilla, faccio io, vai pure» le sorrido.
«Sei sicura?»
«Certo, Sam. Buon Natale.»
Con un ampio sorriso mi carezza una spalla. «Anche a te, ci vediamo tra qualche giorno.»
Con un ultimo sorriso prende la valigia che aveva lasciato di fianco alla porta e scompare dalla mia visuale. Sono da sola. Di nuovo. Prendo i vestiti e li ripongo nell'armadio, poi mi lascio cadere sul letto e chiudo gli occhi. Non ho memoria di un Natale trascorso con i miei genitori e con mia sorella, e la cosa mi fa soffrire più di quanto sia disposta ad ammettere. Il silenzio mi buca i timpani, e non riesco a darmi pace a pensare che per i prossimi dieci giorni sarà così. Sospiro ancora, poi mi tiro a sedere. Non so davvero come passare il tempo, finché il mio cellulare non decide di dare una svolta alla serata.

Misfits - DisadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora