1. Vuoi fare un tiro?

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Cheyenne
La mia vita è la più grande bugia che io mi sia mai costretta a recitare. La mia famiglia ha origini francesi, ma i miei genitori si sono trasferiti a New York un anno prima che io nascessi, quando mia sorella aveva solo tre anni e non era ancora una gallina acida, una gallina acida in procinto di sposarsi, per la precisione. Mia madre è una donna molto severa per quanto riguarda l'educazione e il rispetto delle regole, e si aspetta che io e Amélie siamo la perfezione in forma umana, cosa che a mia sorella riesce naturalmente perfetta, mentre io ho sempre avuto qualche problema. Amélie fa tutto ciò che nostra madre vuole che faccia: ha sempre frequentato amici e ragazzi scelti da lei, si è laureata in giurisprudenza proprio come nostra madre voleva e sta sposando l'uomo che lei ha scelto. Io non ce la faccio. Non riesco a seguire le sue decisioni come se fossi cieca, nonostante tutto mi impegno al massimo per mandare avanti il teatrino in cui recito la figlia perfetta. Mi faccio vedere in giro con le "amiche" che lei ha scelto per me, frequento ragazzi di buona famiglia – anche se queste storie durano a malapena un paio di mesi, ma in compenso per frequentare l'ultimo ho ottenuto in cambio il septum –, vado ai brunch, ai pranzi, alle cene... l'unica cosa su cui mi rifiuto di darla vinta a mia madre è l'università. Non voglio assolutamente finire a studiare medicina per il resto della mia vita. Vorrei fare un corso avanzato di violino e dare l'esame per entrare alla Juilliard, ma lei non sarà mai d'accordo, non ho nemmeno provato a chiederglielo.
In ogni caso, anche stamattina mi sono alzata, ho fatto la doccia, ho indossato i vestiti che Lauren, la domestica, mi ha gentilmente lasciato in fondo al letto ieri sera, mi sono truccata e, dopo una breve colazione passata a sentire la discussione accesa fra mia madre e Amélie riguardo l'abito per il matrimonio, sono andata a scuola. Come ogni mattina da ormai un anno, sono montata sulla BMW che mio padre mi ha regalato per il mio sedicesimo compleanno e ho guidato fino alla Silverhood High, nascosta nel cuore di Manhattan. Ho parcheggiato al solito posto e sono scesa al solito orario dirigendomi verso la solita porta.
La mia immagine mi scorre davanti agli occhi quando la apro, rivelando i capelli rosso chiaro provati dal vento e gli occhi arrossati per lo stesso motivo. Per fortuna Lauren ha dato retta a me e non a mia madre e mi ha preparato un paio di jeans aderenti e un maglione di cashmere al posto del solito vestito con cui le mie gambe adesso sarebbero due ghiaccioli.
Lascio che la porta si richiuda sbattendo alle mie spalle e passo lo sguardo sugli adolescenti che come zombie vagano da una parte all'altra dell'atrio in questa gelida mattina di gennaio. È tutto sempre uguale: le facce assonnate, demoralizzate o arrabbiate, le coppie che si scambiano effusioni già alle otto del mattino, le amiche che spettegolano e i ragazzi che parlano dell'ultima partita di football. A volte pensare a quanto in realtà mi sento fuori luogo in un ambiente in cui recito la parte della regina di casa mi fa ridere. Non ho niente da spartire con queste persone, a parte le amicizie e i fidanzamenti programmati, le belle macchine e gli eventi prestigiosi. Con nessuno di loro ho alcun tipo di rapporto che vada oltre le chiacchiere superficiali, non mi interessa di loro e mi sono rassegnata al fatto di non avervi nulla in comune. In realtà non mi dispiace per niente usarli come scusa solo di fronte a mia madre e poi vivere la mia vita come la desidero. Le dico che sono a fare shopping con Courtney e Chantal quando in realtà sto provando con il violino, oppure uso la scusa di essere ad un appuntamento quando voglio semplicemente starmene da sola e fumare una sigaretta.
Dio, avrei così bisogno di una sigaretta in questo momento. Quando verso di me viene Courtney con il suo solito buonumore e un vestito che non nasconde alcuna delle sue grazie, sento la voglia crescere ancora di più. Con un gesto della mano si lancia i capelli castani dietro le spalle e sorride a trentadue denti. «Ciao Chey, carino il maglione! Tommy Hilfiger non si smentisce mai. In ogni caso, tua madre ha chiamato la mia per dirle che sei decisamente a corto di vestiti per il Sadie Hawkins e che dobbiamo assolutamente andare a fare shopping lungo l'Upper East Side dopo scuola, quindi ci vediamo al mio armadietto dopo l'ultima campanella. Divertiti, tesoro!» Dopo aver parlato praticamente da sola per cinque minuti si gira e se ne va. Quel divertiti, tesoro è stato proprio il colmo, la ciliegina sulla torta. Come posso divertirmi chiusa sette ore della mia vita dentro questo manicomio? Dopotutto però potrei dire lo stesso del rimanere a casa. Almeno qui per la maggior parte del tempo posso fare finta che vada tutto bene.
Stringo la custodia del violino contro il fianco e vado verso il mio armadietto. La Silverhood High è una scuola enorme situata nel cuore di Manhattan. Ci sono cinque piani da quindici aule l'uno, un terrazzo enorme, tre palestre al chiuso, un campo da football, uno da pallavolo e uno da basket, e un cortile immenso che ospita altre strutture in cui sono situati club come quello di cucina e quello di falegnameria. È frequentata da circa cinquemila studenti, è impossibile conoscere tutti, ma ci sono dei nomi che rimbalzano sulle pareti, come per esempio quello di Allen James. Diciamo che il suo nome è sempre sulla bocca delle ragazze, e non solo quello. James vanta davvero un visetto niente male, con quell'aria da bad boy uscito direttamente da un telefilm, gli occhi e i capelli neri come la pece, i tatuaggi che gli ricoprono le braccia e buona parte delle mani e i piercing al labbro e al sopracciglio. È popolare sia per essere il capitano della squadra di football, sia fra le ragazze per le sue incredibili... prestazioni, a quanto pare. Ho i conati solo a pensarci.
La cosa strana di James è che, nonostante sia davvero popolare, è sempre da solo. Non lo vedo mai scherzare con i suoi compagni di squadra cerebrolesi o andare in giro al fianco delle tante ragazze che vantano di conoscere il colore delle sue lenzuola, per questo mi sta più simpatico rispetto a tutti gli altri, anche se non conosce nemmeno la mia esistenza. È l'unico che riesca a trasmettermi qualcosa, è enigmatico ma non per finta come tanti fanno per attirare l'attenzione, ogni cellula del suo corpo urla di lasciarlo in pace. E sul serio.
Al contrario, Courtney, Chantal, Brad, Rick e tutti gli altri del gruppo dei "popolari" sono le copie spiccicate dei loro genitori: stupidi, crudeli e viziati. La cattiveria che sprigiona questa gente è talmente grande che ci si può andare a sbattere. Furti di ragazzi, tradimenti con le proprie migliori amiche, pettegolezzi... un mondo da cui cerco di stare lontana il più possibile e con cui entro a contatto solo quando devo recitare per mia madre.
Lascio il violino e al suo posto prendo il libro di economia, per poi salire le scale e raggiungere l'ultima aula sulla destra. Mi siedo e aspetto per una decina di minuti l'arrivo di Mr. Sand, battendo le dita sul banco al tempo delle lancette dell'orologio.

Misfits - DisadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora