Allen
Cheyenne mi fa morire dal ridere. A vederla sembra così posata ed elegante, e lo è, probabilmente come conseguenza della sua personalità di ghiaccio, ma basta conoscerla un po' meglio per scoprire che in realtà ha un lato da maschiaccio niente male. Penso questo mentre la osservo che impreca contro il suo armadietto, che non ne vuole sapere di aprirsi.
«Andiamo! C'è la mia giacca qui dentro!» si lagna, sbattendo la mano contro il metallo, come se questo potesse aprirlo.
«Scansati, femminuccia.» Mi basta un braccio per spostarla di lato. Scruto l'armadietto sotto il suo sguardo che dice soltanto "ora voglio proprio vedere cosa fai, idiota", giuro, mi sembra quasi di sentire la sua voce che pronuncia queste parole.
Provo a forzare la serratura, ma non c'è niente da fare. Forzo di più, ma l'unico risultato sarebbe romperlo, e non ho intenzione di ripagarlo alla scuola.
«Mi dispiace, è bloccato» mi arrendo, infine. Cheyenne sgrana gli occhi e applaude. «Ma non mi dire!»
Alzo gli occhi al cielo e mi tolgo la felpa di dosso, per poi tirargliela in faccia. Lei allarga le braccia, probabilmente seccata, e io trattengo a stento una risata.
«Forza, ti conferisco l'onore di indossare la mia felpa, almeno possiamo lasciare questo edificio infelice.»
Con le mani la afferra e se la toglie da sopra la testa, lanciandomi uno sguardo di fuoco. Tuttavia non si lamenta e la indossa, quasi scomparendoci dentro. Mi viene da ridere, ma mi trattengo.
«Che c'è? Non sono bella?» si mette in posa, facendomi l'occhiolino, e anche se la felpa la fa sembrare un palo mi astengo dal farglielo notare, perché potrei scatenare un uragano.
«A tratti divina... forza, andiamo.»
Uno di fianco all'altra scendiamo le scale e attraversiamo il corridoio ormai deserto, fino alla porta d'ingresso. La apro per lei, un gesto naturale che faccio sempre da quando la conosco, ma ogni volta ne sembra sorpresa. E la cosa mi piace, non so perché. Non mi faccio troppe domande quando sono con Cheyenne, è difficile spiegare me quando sono con lei, e sono abbastanza sicuro che per lei sia lo stesso.
«Il fatto di aver lasciato la mia bellissima giacca di camoscio dentro l'armadietto mi fa piangere il cuore» commenta Cheyenne con lo sguardo perso nel vuoto.
«Indovina cosa sto per dire» ribatto, lei alza gli occhi al cielo.
«Drama queen» risponde, atona.
«Proprio così! Indovina cosa hai vinto: un emerito...»
«Quanto sei maleducato» mi riprende, ridacchiando.
«Non sono io quello che imprecava come un camionista contro un povero e indifeso armadietto, baby.»
«Quel baby mi ha fatto accapponare la pelle» commenta, inorridita, simulando un conato di vomito.
«Io mi ripeto: drama queen» scherzo e la colpisco con la spalla.
Cheyenne si stringe nella felpa sfregando le mani una con l'altra. «Sto congelando.»
«Ovviamente immagino sia tutta colpa dell'aver lasciato la tua giacca» alzo gli occhi al cielo, deducendo ciò che sicuramente avrebbe detto.
«Proprio così» annuisce, convinta.
«Drama que-»
«Ho capito.»
«Sono solo onesto» alzo le braccia per giustificarmi e Cheyenne scuote la testa con un debole sorriso.
«James! James, aspetta!» Una voce familiare mi chiama, e mi volto nella direzione da cui proviene. Cheyenne sembra irrigidirsi, ma prima o poi scoprirò la ragione per cui non vuole che la nostra amicizia sia rivelata. Mi rifiuto di credere che si vergogni di me.
Francisco, un mio compagno di squadra – e la cosa più vicina che io abbia a un amico –, sta camminando a passo sostenuto verso di noi. Il solito sorriso brillante dipinto in volto e lo sguardo amichevole. Quando si trova a un paio di metri si ferma e mi sorride, poi si accorge di Cheyenne. Vedermi con una ragazza in una situazione apparentemente normale lo sorprende, lo noto dalla sua espressione, ma si sforza per non darlo a vedere.
«Vedo che hai compagnia... ciao, chica» allunga una mano verso Cheyenne con un sorrisone. Lei la scruta per un po' stranita, infine si decide a stringergliela. Francisco è molto espansivo, ma è un bravo ragazzo, e forse l'unico a tenerci un po' a me.
«Sono Francisco, piacere di conoscerti» le sorride, ma Cheyenne sembra ancora pensierosa. Lo noto da come tiene le sopracciglia aggrottate e dal fatto che non ha ancora finito di fargli lo scanner.
«Cheyenne» si decide a rispondere infine.
Quando Francisco si accorge che indossa la mia felpa mi lancia un'occhiata di sbieco in cui si annida una domanda, ma il mio sguardo lo esorta a tenerla per un altro momento.
«Brad mi ha detto di riferirti che le prove di domani sono rimandate, perché lui non ci sarà e non ritiene che la squadra sia in grado di farcela da sola» l'ironia nella sua voce è palpabile.
«Mica dobbiamo andare al fronte, e poi che ce l'abbiamo a fare un vice capitano?» ribatto, infastidito.
«Ah non chiederlo a me... in effetti, nemmeno io mi fiderei a lasciare la squadra nelle mani di Rick» ridacchia. Rick è l'opposto dell'intelligenza, e ho detto tutto.
«L'ha scelto lui come vice capitano.»
«L'hanno scelto i soldi come vice capitano» ribatte Francisco.
«Touché» dico io. Che palle. L'unica cosa positiva del sabato sono gli allenamenti, e se non ci sono gli allenamenti significa che mia madre avrà una scusa per obbligarmi a passare del tempo con papà. E questo non succederà mai, a costo di passare tutto il sabato pomeriggio a correre per la città.
«Perché semplicemente non vi allenate lo stesso?» Cheyenne si intromette nella conversazione, e forse ne resto più sorpreso io di Francisco.
«C'è una specie di regola, che il campo della scuola può essere utilizzato solo sotto approvazione del capitano della squadra» le risponde Francisco.
«Certo che vi piace complicarvi la vita» Cheyenne alza gli occhi al cielo, ma la sua espressione rimane immutabile. Non abbassa mai la guardia quando c'è qualcuno che non conosce, o forse sarebbe più preciso dire qualcuno che frequenta la nostra scuola. Sembra sempre timorosa, come se chiunque potesse pugnalarla alle spalle. E non si sbaglia, ma Francisco non è davvero quel tipo di persona.
Il mio amico ride, poi torna a guardare me. «Ho una voglia matta di allenarmi domani, James, questo rovina tutti i miei piani.»
Penso a una soluzione, ma non mi viene in mente nulla. Sto quasi per arrendermi all'idea "pomeriggio con papà", quando Cheyenne decide di trasformarsi in un angelo inviato dal cielo.
«Mio padre ha un amico che amministra un centro sportivo a Brooklyn, c'è un campo da football, se volete...»
«Stai scherzando?» la interrompo. Lei mi fulmina con lo sguardo.
«Ti sembro una che scherza?»
«Sei sicura, Cheyenne?» gli occhi di Francisco brillano di gratitudine, e lei si lascia andare a un sorriso a malapena accennato e annuisce.
«Posso abbracciarti?» Francisco spalanca le braccia e fa un passo verso di lei, che di riflesso indietreggia.
«Ti prego, non farlo» ridacchia. La guardo sorpreso. I capelli le cadono disordinati per il vento oltre le spalle, le guance sono arrossate per il freddo, la felpa è sproporzionata e sta sorridendo. Cheyenne Leroy che sorride a qualcuno che non sia io. Osservo Francisco assottigliando lo sguardo, poi scuoto la testa. È così estroverso da superare ogni tipo di ostacolo che gli si presenta, anche se è alto un metro e settanta, freddo come questa giornata e si chiama Cheyenne Leroy.
«Va bene, ma ti ringrazio di cuore... James, ci sentiamo domani allora!» mi batte il cinque, saluta Cheyenne e se ne va. Sia io che lei rimaniamo a osservarlo mentre scompare dall'altro lato del parcheggio.
«Perché lo hai fatto?» le chiedo sorpreso, una volta che non scorgiamo più Francisco.
«Possiamo parlarne in un posto più caldo? Non ce la faccio più» si lagna, annuisco e insieme andiamo verso la macchina. Cheyenne si sbriga a salire dalla parte del passeggero, accendo il riscaldamento e metto in moto. Sono contento di avere un posto in cui giocare, domani, ma allo stesso tempo mi sento confuso.
«Ti va di andarci a prendere qualcosa di caldo? Poi ti accompagno a casa» le propongo, lei acconsente. Svolto lungo la strada che porta al mio locale preferito. Un giorno ci sono passato per caso e da quel momento me ne sono innamorato. Credo facciano il miglior caffè della zona, e ne ho provati tanti. Oltretutto è molto carino e poco frequentato, il che fa sì che ci sia sempre posto, cosa che a Manhattan è abbastanza complicata.
Parcheggio nella zona riservata ai clienti e scendo dall'auto. Cheyenne mi imita e il suo sguardo cade immediatamente sul café.
«Che carino, come hai scoperto dell'esistenza di questo posto?» mi chiede mentre ci dirigiamo verso l'ingresso. Le apro la porta e lei sorride impercettibilmente, poi entra all'interno.
«Mi sono fermato qui un giorno, mi andava di prendere un caffè e mangiare qualcosa, e ho scoperto questo posto... se ti piace esteticamente, aspetta di assaggiare i loro dolci» le faccio l'occhiolino mentre ci avviciniamo al bancone.
«Allen, io ho un'ossessione per i dolcetti» i suoi occhi si sgranano per la meraviglia di fronte al bancone cosparso di delizie. Io non sono un amante dei dolci, ma so che lei li adora. Ci ho fatto caso la settimana scorsa, ogni giorno in mensa ha un cupcake fatto in casa o una fetta di crostata, o un altro tipo di dolce, e sembra essere decisamente la sua parte preferita del pranzo.
«Lo so, prendi pure quello che vuoi, offro io» sorrido, estraendo il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans.
«No, non se ne parla: mi accompagni a casa, mi porti qui... almeno lasciami pagare» litighiamo un po', ma alla fine mi arrendo e lascio che sia lei a pagare. Quando ci avviciniamo per ordinare, la ragazza al bancone, Lydia, mi riconosce e mi sorride.
«Ciao, James, come va?» chiede. È molto solare e ha sempre un sorriso per tutti, di sicuro lo richiede il suo lavoro, ma per essere così allegra ogni giorno deve anche far parte del suo carattere.
«Tutto bene, tu come stai?» sorrido educatamente. Ho il sospetto che abbia una cotta per me, arrossisce sempre quando le sorrido. Si passa una mano fra i capelli scuri prima di rispondere.
«Me la cavo... vieni, ti faccio strada.» Prima che possa rifiutare il suo aiuto è già davanti a noi. Mi ricordo che siamo un noi solo ora, assieme alle buone maniere.
«Ah, Lydia, lei è Cheyenne» faccio le presentazioni. «Cheyenne, lei è Lydia.»
Cheyenne ha la solita espressione imperscrutabile in volto, quella che mi impedisce di capire cosa sta pensando, invece Lydia sembra essersi pietrificata. Il suo sguardo cade sulla mia felpa addosso a Cheyenne, e assume un'espressione tirata prima di allungare una mano.
«Piacere di conoscerti, mi chiamo Lydia.»
«Piacere mio» le risponde Cheyenne, ma non le stringe la mano. In compenso si sforza di sorridere. Okay, strano... e anche un po' imbarazzante.
«D'accordo... uhm, Lydia?»
«Sì?» Alza lo sguardo su di me con un sorriso.
«Il tavolo... sai-»
«Certo, certo!» Arrossisce e ci dà le spalle di botto, per poi svicolare fra i tavolini color crema.
«Cosa è appena successo?» chiedo a bassa voce a Cheyenne, mentre seguiamo Lydia che sta apparecchiando un tavolino in fondo al locale.
Fa spallucce. «Incuto così timore?»
«Forse un po'» ridacchio, e ci mettiamo seduti al tavolo. Lydia ci rivolge un ultimo sorriso tirato e schizza via.
«Okay» sospiro per sdrammatizzare, quando alzo lo sguardo su Cheyenne noto che ha un sorrisetto dipinto in volto.
«Cosa c'è?»
Sembra riscuotersi e si morde il labbro inferiore, divertita. «Niente.»
Alzo un sopracciglio, ma decido di lasciar perdere. «Come mai non le hai stretto la mano?»
«Cosa?» chiede confusa. I suoi occhi verde chiaro entrano in collisione con i miei. È un colore bellissimo, di quelli così rari da essere introvabili.
«Non hai stretto la mano a Lydia» ripeto.
Cheyenne alza le spalle. «Non lo faccio mai.»
«A Francisco l'hai stretta» ribatto.
«Francisco era carino» mi fa l'occhiolino, sgrano gli occhi e lei scoppia a ridere. Non me l'aspettavo.
«Sto scherzando, Allen, puoi anche uscire dallo stato di shock... mio Dio, a volte sembra che ti dimentichi che sono una ragazza» scuote la testa, divertita.
In realtà mi dimentico un po' tutto, quando sono con lei. Non so se sia un bene, ma finché non diventa un male, che problema c'è?
Incrocio le braccia al petto e mi appoggio allo schienale della sedia. Cheyenne gioca con il portatovaglioli, e io ne approfitto per osservarla. Mi piace farlo, come se potessi scoprire sempre qualcosa di nuovo solo guardandola, e infatti è proprio così. Penso a tutto quello che non so di lei, e immagino sia davvero tanto. Forse non basta una vita a conoscere davvero una persona, alla fine si tratta solo di quando scegliamo di accontentarci. Nel momento in cui decidiamo di sapere abbastanza di una persona affermiamo di conoscerla, ma in realtà non è così. Eppure io non voglio accontentarmi, voglio conoscere quanti più particolari possibili costituiscono il disegno generale. Ed è un disegno complicato, ogni persona lo è, ma Cheyenne lo è in modo particolare, un modo tutto suo. Quando mi azzardo a pensare di sapere quale sarà la sua prossima mossa, ne fa una totalmente opposta che mette in discussione tutte le mie certezze, e forse è proprio questo che mi attira inesorabilmente di lei. Che non c'è nulla di ovvio, di scontato. Ogni volta che la guardo scopro qualcosa di nuovo, e ogni volta mi sembra soltanto che la trama si infittisca sempre di più. A volte sorride e non se ne rende nemmeno conto, di certo non lo notano neanche gli altri, perché nessuno la guarda negli occhi. Grave errore, sono quelli a sorridere, non le labbra.
«Hai un sorrisetto inquietante, di quelli che hanno gli stupratori un po' schizzati» la sua voce mi riporta alla realtà, e mi sembra quasi di precipitare da un mondo tutto mio. La sua affermazione mi fa ridere.
«A cosa stavi pensando?» la curiosità le inonda il volto. Chissà se anche lei mi osserva cercando di conoscermi senza parlare.
«Nulla di importante» faccio spallucce, e anche se è evidente che non ci crede, lascia cadere il discorso.
Arriva la cameriera che ci lascia ciò che abbiamo ordinato sul tavolo con un sorriso cordiale, poi se ne va. Lo sguardo di Cheyenne si fa sognante quando cade sulla fetta di sachertorte, tanto da ignorare completamente la cioccolata calda.
«Allen...» è quasi commossa mentre pronuncia il mio nome. «Grazie.»
«Figurati» rido e addento il sandwich al formaggio. Questa sera mia madre non c'è, Amy ne ha approfittato per restare a dormire da Taylor, e io sono da solo a casa. Non ho per niente voglia di cucinare, dunque approfitto di questa occasione.
«Perché non sapevo dell'esistenza di questo posto?» mormora Cheyenne, dopo aver addentato un pezzo di torta.
«Perché sennò io a cosa sarei servito?» scherzo. «I proprietari sono francesi.»
«Si sente: siamo i migliori nella pasticceria, i dolci che ho mangiato a Parigi non li ho mai trovati così buoni da nessuna altra parte del mondo. E ho girato abbastanza da assaggiarne di svariati. Quelli austriaci forse reggono la competizione, ma non la vincono, mi dispiace.»
Scuoto la testa e do un altro morso al sandwich, infine decido di farle la domanda che mi tortura da prima. «Perché hai proposto a Francisco di giocare nel centro sportivo dell'amico di tuo padre? Non me l'aspettavo.»
Come se fosse una novità, vorrei aggiungere, ma ho paura che possa interpretare la frase nel modo sbagliato. Cheyenne finisce di masticare, ma non mi guarda negli occhi. Infine incrocia le braccia al petto e, sempre senza guardarmi, sospira. «Ho pensato alle tue parole sul football, a quanto sia importante per te... oltretutto, quando Francisco ti ha detto che sarebbero saltati gli allenamenti, sembrava che ti fosse crollato il mondo addosso... cioè, non so il motivo preciso per cui l'ho fatto, volevo...»
«...fare qualcosa di gentile per qualcuno che non fosse te stessa» sorrido, terminando la frase per lei. Sentire le sue parole mi rende ancora più felice, e so di stare andando nella direzione giusta.
«Esatto» si gratta la punta del naso, in imbarazzo. È così raro vederla a disagio che sorrido ancora di più.
«Grazie, Cheyenne.»
«Prego» borbotta, e solo quando si decide ad alzare lo sguardo su di me, mi accorgo che è arrossita in modo adorabile.
«Ti accompagno a casa» le dico, per poi alzarmi e porgerle la mano, sforzandomi di trattenere un sorriso. La osserva confusa.
«Un'altra delle tue stranezze assieme al fatto di aprirmi la porta?» domanda, tornando la Cheyenne sarcastica di sempre. Annuisco, lei sorride e afferra la mia mano. È gelida come sempre. La faccio alzare e, sempre tenendole la mano, andiamo verso l'uscita. Lydia non è dietro al bancone, deve essersene andata. Dovrei scusarmi con lei? Non so neanche per cosa, di preciso.
«Non ho mai tenuto qualcuno per mano.» La voce di Cheyenne mi distoglie dai miei pensieri, e ancora una volta rimango senza parole.
«Come?» Non è assolutamente possibile. Mi volto a guardarla, il sole è ormai calato e la luce dei lampioni le illumina il volto in quel modo che su chiunque avrebbe creato un effetto orribile, ma non su di lei. Si è legata i capelli in uno chignon un po' caotico, che non riesce tuttavia a scalfire l'innata armonia che anima i suoi lineamenti.
«Hai sentito molto bene» afferma, con un sorrisetto un po' imbarazzato.
«E i tuoi fidanzati?» domando, confuso.
«Ehi, calma, non sono mica stati così tanti» ride, anche se è evidente che vorrebbe rimangiarsi ciò che ha appena detto. «Nessuno di loro mi hai mai tenuta per mano, non gli interessava, suppongo. E nemmeno a me.»
«Cosa significa?»
«Significa che non mi hanno mai frequentata perché gli piacevo, ma solo perché sono Cheyenne Leroy.»
«Capisco ciò che intendi... beh, meriti qualcuno che ti tenga per mano, invece» le confesso, sincero. Non riesco a immaginare cosa si possa provare ad essere continuamente visti dalle persone come un nome e un cognome. Mi sono strappato questo appellativo di dosso già tre anni fa, e non ho intenzione di essere considerato di nuovo come Allen James, il figlio del miliardario di Manhattan.
Cheyenne sorride e lascia andare la mia mano, per poi infilare le mani nelle tasche della mia felpa e dirigersi dalla parte del passeggero. Apre la portiera e sale in auto, io rimango ancora qualche secondo di fuori, a gustarmi la brezza gelida di New York, mi aiuta a pensare meglio. Infine la seguo in macchina e metto in moto, accendendo subito il riscaldamento per lei.
«Perché me l'hai detto?»
Si prende qualche minuto per rispondere. Lo fa sempre, quando si tratta di qualcosa di importante.
«Perché volevo farlo, volevo dirti qualcosa che non sa nessuno» sussurra. Qualcosa di sconosciuto mi inonda e mi fa sorridere. «Mi sembrava la cosa giusta da fare.»
«Neanch'io ho mai tenuto per mano una ragazza, se escludiamo Amy, mi fa piacere aver condiviso questa prima esperienza con te» le rivelo, adesso è lei quella scioccata.
«Non prendermi in giro» ride.
«Non ti sto prendendo in giro» ribadisco, più serio che mai. Cheyenne smette di ridere e sgrana gli occhi.
«La cosa mi consola, allora, pensavo di essere io l'aliena che in diciassette anni di vita non ha mai tenuto un ragazzo per mano.»
«Ora l'hai fatto» le sorrido, ma è un sorriso diverso, non saprei dire perché, e anche quello che mi rivolge lei ha qualcosa di differente dal solito. È come se, allo stesso tempo, avessimo fatto un passo uno verso l'altra.
«Si è fatto tardi» constata Cheyenne, leggendo l'orario sul cruscotto. Sono quasi le otto.
«Ti porto a casa.»
Guido verso la sua villa immerso nei miei pensieri, e non mi preoccupo che ne possa rimanere offesa, perché per lei sembra lo stesso. Oggi è successo qualcosa di strano, che non riesco a spiegarmi, non so nemmeno se voglio farlo, ma sembra aver acceso qualcosa di remoto nella mia anima, qualcosa che avevo seppellito ormai da anni, e che molto probabilmente è legato a Cheyenne. Parcheggio circa un vicolo prima del cancello di casa sua, perché così mi ha chiesto, e la osservo incamminarsi verso di esso dopo esserci salutati. Quando svolta dietro l'angolo e sono ormai sicuro che non possa succederle niente, mi immetto di nuovo in strada e guido verso casa mia. Una volta entrato nel mio appartamento calcio le scarpe lontano e salgo i gradini del piano superiore a due a due, fino a ritrovarmi di fronte alla scala a chiocciola che porta in soffitta. Faccio un grande respiro e, senza esitazione, proprio com'è nel mio carattere, torno in quella stanza polverosa per la seconda volta nelle ultime due settimane. Un record, dato che non ci mettevo piede da quando avevo forse dieci anni. Inizio a frugare negli scatoloni, finché non trovo ciò che cerco. Un po' meno sicuro di me stesso, vado a sedermi sulle vecchie scale in legno e osservo il raccoglitore blu che ho sulle gambe. Fino ai quattordici anni questo è stato una specie di diario segreto, anche se quello che c'è al suo interno non sono vere e proprie confessioni. Mi è sempre piaciuto disegnare, e lo faccio tutt'ora, ma non come un tempo. Adesso si tratta soltanto di disegni sporadici che vanno ad animare i margini dei miei quaderni durante le ore di scuola. Il sentimento assopito che Cheyenne ha risvegliato è proprio questo: il desiderio di creare qualcosa. Senza esitare oltre, apro il raccoglitore e rimango senza fiato di fronte ai disegni della mia infanzia. Emozioni totalmente opposte si danno battaglia dentro di me, e il mio corpo non è altro che il teatro di questa guerra che è costretto a contenere, impotente.
Deglutisco a fatica mentre lo sguardo continua ad assorbire le immagini ritratte che man mano mi tornano alla mente, immagini di un passato che ho scelto io stesso di cacciare nel dimenticatoio, ma che adesso ho davanti. Chiudo di scatto il raccoglitore dopo aver afferrato un foglio e una matita che ho trovato negli scatoloni. Inizio a tratteggiare i lineamenti di un volto che ormai conosco bene, perché non ho fatto altro che osservarlo nelle ultime tre settimane.
Così, solo con me stesso, lascio che siano le emozioni a muovere i miei gesti come non facevo da tempo, lascio che quella vena che avevo tappato esploda in tutta la sua follia. Perché così mi sento: folle, mentre rido dentro di me e il cuore mi batte all'impazzata per l'emozione di aver finalmente ritrovato l'ispirazione che io ho stesso ho ucciso. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sono felice.Ciao fiori di campo! 🌻
Capitolo molto intenso e controverso per certi sensi, spero di aver reso al meglio le idee che avevo in testa e che sono nate proprio mentre lo scrivevo...
Di sicuro c'è qualcosa tra Allen e Cheyenne, e il loro rapporto è molto più potente di una semplice amicizia, o anche di un qualunque affetto. È un legame che trascende ogni nostra banale credenza. Cosa succederà ora?
Non so cosa dire di preciso su questo capitolo, vorrei che foste voi a farlo per me, come l'ultima volta che mi ha fatto tanto piacere ❤️
Vi ricordo la mia pagina Instagram (@xholdonpainends) in cui pubblico anticipazioni e contenuti extra. Venite a seguirmi! 💘
Al prossimo capitolo!🔜
-A✨
STAI LEGGENDO
Misfits - Disadattati
RomanceCheyenne Leroy è la figlia perfetta: brava a scuola, frequenta ragazzi educati e di buona famiglia, ha amiche popolari e ha già in tasca una borsa di studio per Harvard. O almeno è quello che credono i suoi genitori. In realtà Cheyenne non sopporta...