I Capitolo

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Era la terza volta quel mese che non sentivo la sveglia, mi chiesi cosa mi stesse succedendo.

Ancora una volta avevo fatto sogni strani, confusi.

Sognavo enormi stanze vuote e scure, collegate l'una all'altra da delle porte; nei miei sogni mi ritrovavo ad aprire una porta attraversare la stanza, e poi ecco un'altra camera, la attraversavo aprivo ancora una porta, e poi una ancora, qualcuno mi seguiva, o forse qualcosa? Terrorizzata correvo a più non posso, sentivo i passi avvicinarsi e ... mi svegliavo con il respiro affannato, madida di sudore e con una sensazione di vuoto allo stomaco.

Quel giorno avevo un'importante riunione, e sapevo che se fossi riuscita a convincere il mio capo con la presentazione del progetto a cui avevo duramente lavorato nelle ultime settimane, finalmente avrei avuto la promozione che desideravo, e allora si che mi sarei realizzata.

Ero in ritardo, in tremendo ritardo. Aprii il mio armadio e l'indecisione ovviamente la faceva da padrone, scorsi con lo sguardo tutto il guardaroba e non riuscivo a trovare nulla che mi sembrasse appropriato, sono una perfezionista, colpa del mio lavoro mi dissi.

Guardai l'orologio e... panico! Erano già le 07:45 del mattino, dovevo attraversare tutta la città, essere in ufficio per le 08:30 e ancora mi ritrovavo in accappatoio.

Alla fine optai per un abito color prugna con una leggera arricciatura e dei fiori su un fianco e un paio di stivali nero senza tacco, "almeno sto comoda" dissi fra me e me. Come soprabito scelsi un cappotto nero con dei disegni sono su tono ed una sciarpa dello stesso colore dell'abito; il nero del cappotto e il prugna della sciarpa facevano risaltare il colorito ambra della mia pelle.

Mi truccai velocemente con un filo di mascara per incorniciare il mio sguardo stanco; la fortuna di avere grandi occhi e lunghe ciglia? Non doversi necessariamente truccare più di tanto, e poi il mascara nero sta bene con tutto, anche con un colore anonimo come il castano delle mie pupille.

Velocemente controllai di aver preso tutto: borsa, lap top, chiavi.

Sembrava di si! Un ultimo sguardo allo specchio per sincerarmi che tutto fosse in ordine e via, chiusi a chiave la porta di casa e scesi di corsa le scale fino in garage.

In auto ripassai tutto il discorso che, fino allo sfinimento avevo ripetuto negli ultimi giorni. Il mio progetto finalmente aveva preso forma e se tutto fosse andato come speravo, sarei stata io ad avere assegnato il rifacimento e gli arredi di DavenWood, un castello di un paesino in provincia di Boston.

Certo, solo con una piantina della casa, le relative misure, e qualche foto, oltretutto sfocata, non era stato affatto semplice realizzare il progetto di ristrutturazione.

Era già da un anno che lavoravo in questo studio e mi ero stufata di essere solo l'assistente di Charles.

Charles Funderburk, non credo di aver mai conosciuto nessuno di più arrogante nella mia vita. Un uomo alto più o meno come grande puffo, panciuto e con un colorito di pelle più simile a quello di un umpa lumpa che a quello di un essere umano, fronte imperlata di sudore e pochi capelli.

Vestito sempre con il suo abito color cachi, cravatta e scarpe marroni e camicia bianca, "la divisa" ecco come definisco il suo outfit.

Ha sempre un'aria saccente e tutti in ufficio non lo sopportano. Il suo pregio però è la grande competenza che possiede in ambito lavorativo, il che lo rende il pupillo dell'amministratore delegato della Monster House Revival, Mr Roger Krueger.

La Maledizione di DavenwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora