IV Capitolo

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Erano le 09:15 l'imbarco era già cominciato e Timothy non era ancora arrivato. Avevo già provato a chiamarlo due volte ma il suo cellulare era staccato. Mi aveva chiamato la sera prima ed era super entusiasta, mi aveva chiesto se i bagagli fossero pronti, se io fossi pronta, mi aveva praticamente tenuta un'ora al telefono ed adesso era scomparso.

Non sapevo cosa fare se non si fosse presentato.

Ero in coda, rassegnata a dover partire da sola, e mentre cercavo di immaginare la reazione dei Daven e premeditavo l'omicidio di Timothy, una voce familiare e allegra alle mie spalle esclamò: «Scusa il ritardo, ho beccato traffico e non potevo chiamarti, batteria ko, ho dimenticato di ricaricarla»

«Tim, prima o poi mi farai venire un colpo! Per una maniaca del controllo come me anche cinque minuti di ritardo sono una tragedia, pensa quarantacinque e senza segni di vita da parte tua cosa possano diventare.

Stavo già pianificando come ucciderti e farlo sembrare un incidente!»

«E dai, vedrai che in questi mesi saprò farmi perdonare.»

Entrammo sull'aereo e ci sedemmo ai nostri posti, ed io ero nervosa come al solito. Tutte le volte in cui prendevo un aereo mi agitavo in maniera esponenziale. Volavo continuamente da quando avevo quattordici anni, eppure l'ansia del decollo non mi aveva mai lasciato una sola volta. Per fortuna sarebbe durata solo qualche minuto, ma che sembrava interminabile.

Tim sembrò accorgersi del mio disagio:

«Suse, tutto ok? »

«Non è nulla, appena si spegne il segnale delle cinture di sicurezza mi tranquillizzo»

«Ok fifona, se lo dici tu»

Ero quasi sul punto di replicare quando l'hostess davanti a me cominciò ad illustrare le procedure di sicurezza.

Si accesero i motori, l'aereo iniziò la sua rincorsa sulla pista, correva sempre più velocemente, strinsi le mani sui braccioli e mi irrigidì, l'aereo decollò, prese quota ed io cominciai a rilassarmi.

Sentì il carrello che si ritraeva, e lentamente l'aeromobile si mise in posizione orizzontale. Ancora un istante, "Din", si spense il segnale delle cinture di sicurezza ed io finalmente mi tranquillizzai.

«Susan, Susan... svegliati!»

Aprì gli occhi lentamente e mi chiesi perché Timothy mi stesse svegliando e che ci facesse lui in casa mia:

«Tim, che ci fai qui?»

«Quello che ci fai tu. Siamo atterrati a Boston, dobbiamo scendere dall'aereo. Meno male che avevi paura eh?»

Avevo dormito tutto il tempo, non mi smentivo mai, anche quella volta l'ansia del volo si era trasformata in sonno tremendo al quale non ero riuscita a sottrarmi.

Scendemmo dall'aereo e ritirammo i bagagli, andammo verso l'uscita ed agli arrivi ad attenderci c'era un uomo sulla cinquantina, alto e possente con capelli nero corvino e sguardo duro, secondo me da giovane era un addetto alla security, aveva un cartello in mano con stampato il logo MHR, doveva essere Harry.

«Salve, lei è Harry giusto?»

«Si, Miss Sheets, Mr Hanson, benvenuti! Seguitemi, ci aspetta una lunga passeggiata da qui a Davenport».

Una volta entrati in macchina Timothy cominciò a chiacchierare con Harry, parlarono di cibo, piatti tipici del posto ed Harry cominciò a raccontarci di quanto fosse difficoltoso arrivare da Davenport a Boston, distante un'ora di automobile dove non c'erano treni, e che se non si conosceva la strada rischi di impiegare due di ore per arrivare dal castello alla città, molto più semplice il paese da raggiungere, Davenport.

La Maledizione di DavenwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora