VIII Capitolo

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Mente l'auto si allontanava vidi arrivare il piccolo Alì, da lontano urlava il mio nome correndo con il suo dolcissimo sorriso sdentato stampato sul viso.

Mi chinai alla sua altezza:

«Ehi piccoletto perché corri così?»

«Ho preso un bel voto in inglese, ho preso otto, grazie a te!» Mi riferì affannato per la corsa «sei la mia preferita, ti adoro!» Mi abbracciò stretta e mi stampò un bacio sulla guancia.

«Anche io ti adoro piccoletto» Era la verità.

«Io torno in classe, ero venuto solo a dirti del voto. Ci vediamo più tardi»

«Fa attenzione.»

Lo guardai correre di nuovo ma stavolta verso la scuola.

Alì era uno degli orfani della struttura "Il nuovo tempio di Maat", un orfanotrofio che ospitava quindici bambini senza famiglia; Alì aveva sette anni ed era li da quando ne aveva soltanto due, i suoi genitori morirono a causa di un'epidemia che fortunatamente lo aveva risparmiato.

Quando arrivai, due anni prima, ci fu un virus gastrointestinale che colpì tutti i bambini della struttura, erano tutti ricoverati da noi. Fortunatamente non era nulla di grave ed in quell'occasione conobbi Alì, aveva solo cinque anni. Una volta dimesso lo andai a trovare, mi ero affezionata a lui, a quel bimbetto vispo anche con la febbre alta, con quegli occhi neri pieni di vita, così decisi di cominciare a fare volontariato in struttura durante il mio tempo libero.

Purtroppo non avrei mai potuto adottare Alì, una donna sola non era idonea all'adozione neppure nel caso di un medico. Alì mi ricordava il mio bambino o forse bambina.

Poco più di sette anni prima la mia vita era perfetta, io ero felice e tutto sembrava stupendo.

Ero una figlia non desiderata, mia madre venne stuprata giovanissima e rimase incinta, la mandarono lontano a partorirmi e una volta nata mi portarono in una struttura di accoglienza per bimbi senza genitori.

Abitai in orfanotrofio fino alla maggiore età, ma ero una studentessa modello e questo mi permise di vincere una borsa di studio per l'università. Soffrii molto quando lasciai la mia casa, avevo passato li tutta la vita, ero la "sorella maggiore" di tutti i bimbi ancora li presenti ma, dovevo costruire il mio futuro.

Scelsi di studiare medicina, per poter aiutare la gente che stava male ed all'università del Cairo incontrai Carl Winchester.

Il professor Winchester era da poco docente in medicina, si era laureato da pochi anni, un giovane medico che insegnava in facoltà. Era inglese, ma una volta ultimati gli studi si era trasferito in Egitto per fare la "gavetta", poco dopo era finito ad insegnare.

Ci piacemmo da subito ma nonostante ciò, ne io né lui ci sbilanciammo mai, non prima della mia laurea almeno. Lo stesso giorno della mia proclamazione Carl si avvicinò per parlarmi:

«Volevo congratularmi con lei signorina Taymur. Ha ottenuto il massimo dei voti, veramente notevole.»

«Grazie professore, sono lusingata»

«Se lei è d'accordo proporrei di darci del tu, adesso non sono più il suo insegnate, sono Carl»

Mi parlava sorridendomi, senza alcuna malizia, e questo mi mise a mio agio.

«Ma certo.»

«Preferirei pronunciare il tuo nome a cena, o pranzo, o quando preferisci»

Arrossii senz'altro, ma non riuscii a proferire parola, sorridevo e basta

«Allora? Quando?»

«Adesso!» Risposi senza riflettere.

Ci trovammo a pranzo quel giorno stesso, e fu subito amore. Una settimana più tardi avevo cominciato a lavorare al poliambulatorio di zona e cercavo casa, perché di li a poco il mio contratto d'affitto a prezzo studente sarebbe scaduto; Carl mi disse che aveva una soluzione per me... mi chiese di sposarlo e, anche se avevo paura che fosse troppo presto accettai perché infondo entrambi sapevamo di essere fatti l'uno per l'altra.

Ci sposammo venti giorni dopo, e non penso sia mai esistito matrimonio più felice di quello tra me e Carl.

Lavoravamo entrambi come medici: periodicamente, ogni circa tre mesi, uno di noi o alle volte entrambi venivamo mandati in un campo medico, solitamente in territori neutri dove si stava abbastanza tranquilli per circa due settimane.

La nostra vita felice proseguiva a gonfie vele e così fu per quattro meravigliosi anni.

Scoprii di essere incinta poco prima del nostro quarto anniversario di nozze, per cui decisi di aspettare proprio quel giorno per comunicarlo a Carl.

Il giorno del nostro anniversario chiesi il pomeriggio libero da lavoro, volevo sistemare casa e preparare una cenetta romantica per dare a mio marito la lieta novella.

Venne presto ora di cena e Carl tornò a casa con un bellissimo e profumatissimo mazzo di gelsomino, il mio fiore preferito.

Al momento del dolce presi coraggio e chiesi a Carl: «Tesoro, ho un regalo per te... è da qualche giorno che è qui a casa, ma ho aspettato oggi per dartelo»

«Avevo capito che nascondevi qualcosa, sono curioso...»

«Aspettiamo un bambino Carl, diventeremo genitori!»

Carl scattò in piedi e mi prese tra le braccia, mi sussurrò all'orecchio «Adesso ho tutto quello che ho sempre voluto»ero al settimo cielo.

Purtroppo però la mia felicità ebbe vita breve, la gravidanza, come spesso capita, portò ben presto diversi effetti collaterali, e affinché andasse tutto bene fui costretta ad assoluto riposo, ma questo non era nulla, per il mio piccolo avrei sopportato questo ed altro.

Intorno alla dodicesima settimana di gravidanza Carl venne convocato in un campo medico al confine con la Libia, doveva rimanere li quattordici giorni.

Nel villaggio libico era in corso una guerriglia civile, una come tante, mi dissero ma, un folle mentre Carl lo medicava ad una gamba lo pugnalo al cuore uccidendolo sul colpo.

Mi portano mio marito avvolto in una bandiera egiziana, il dolore nel vederlo esanime e nel sentirlo credo come il ghiaccio mi sfinì, svenni e quando mi risvegliai mi ritrovai ricoverata in ospedale con delle fitte fortissime allo stomaco. La notizia della morte di Carl e la vista del suo cadavere avevano causato uno shock troppo forte al mio fisico ed al mio cuore, lo stress mi fece perdere il bambino.

Dopo il funerale di Carl non riuscivo a riprendermi, ero di nuovo sola, avevo perso ancora una volta la mia famiglia. In casa mi sembrava di impazzire, sentivo la voce di Carl ovunque, il suo profumo, vedevo la sua ombra, cominciai ad odiare quella casa, quella città, dovevo andarmene! Resistetti due anni, ma più passava il tempo e più sentivo la mancanza di Carl e del mio bambino mai arrivato. Chiesi di essere trasferita a Tebe e li mi mandarono, all'inizio mi trovavo veramente male ma sempre meglio di quella città che mi aveva fatto assaporare la felicità per poi lasciarmi di nuovo sola e vuota, orfana ancora una volta anzi, più orfana di prima, poi conobbi Alì e piano piano quel monello mi aveva fatto tornare a sorridere.

Erano passati cinque anni e senz'altro potevo dire di star meglio, ma in cuor mio sapevo che le mie ferite non sarebbero guarite mai.

La Maledizione di DavenwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora