VI Capitolo

87 8 2
                                    


Oggi è uno di quei giorni in cui fa talmente caldo da sentirsi soffocare.

Al campo medico continuano ad arrivare uomini sofferenti per il caldo: disidratazione, mancamenti, cali di pressione sanguigna... i grandi classici del mese di luglio; ma, in questi giorni i nostri pazienti vengono tutti da li, dal sito degli scavi.

Ma che ci avranno mai da scavare mi chiedo, sotto il sole cocente oltretutto.

Perché non lasciano riposare in pace i morti?

Ai tempi dei nostri antenati, queste persone sarebbero state arrestate e processate per sciacallaggio; adesso, invece, questi profanatori vengono chiamati "studiosi", "archeologi", cercano di far passare per etico il loro vuotare dei tesori le tombe dei faraoni egiziani e rivendere i manufatti al miglior offerente che, a sua volta li tiene esposti in mostre, visibili a tutto il mondo, ma dietro pagamento di biglietti di accesso. In pratica vengono venduti più e più volte agli spettatori, questo ai miei occhi può essere considerato puro sciacallaggio.

Andassero a lavorare nei campi o se ne hanno le competenze, visto che sono degli "studiosi" a cercare come curare le epidemie, sarebbero senz'altro più utili!

Il campo medico è una sorta di tendopoli in miniatura; l'ospedale più vicino è a Tebe, e viste le varie guerriglie, le pandemie e gli scavi, per non parlare della quasi totale assenza di strade percorribili velocemente e sicure al 100%, hanno pensato di dislocare medici e infermieri in villaggi sperduti lungo il deserto.

Il problema sono le strutture, non abbiamo edifici che possano ospitare gli ambulatori, i più fortunati hanno delle baracche, io, che naturalmente sono tutta fuorché fortunata sono finita in un ospedale da campo.

Sento urlare il mio nome dal dottor Basim che sbraita «Dove caspita sei finita? Vieni qui, ho bisogno di te, c'è ne è uno da cucire e sia io che Faiza non capiamo granché di inglese.»

«Arrivo» gli urlo io di conseguenza.

Vado a prendere disinfettante e l'occorrente per ricucire le ferite, sono pronta a scommettere che si tratti di un manovale che ha sottovalutato la pericolosità delle trappole egiziane: ogni anno qualcuno, più di uno per essere precisi, ci lascia le penne per fare il saccente.

Entro nella tenda dove ad attendermi c'è il mio paziente, è seduto con le spalle verso la porta sul lettino delle visite; prendo la cartella clinica sulla scrivania e leggo ad alta voce in inglese :

« Mr. C.T.A. Daven» dico ad alta voce scandendo le lettere «ferità da taglio sulla caviglia destra, lunghezza circa due cm. Bene, come si è procurato questa ferita Mr Daven?»

Il paziente si volta verso di me mentre comincia a parlare, io intanto mi avvicino in modo da poterlo vedere in viso, e resto colpita da due occhi verde smeraldo intensissimi, per qualche secondo mi distraggo e non lo ascolto neppure.

«Mi scusi può ripetere? » gli dico

«Si, dicevo che mi sono distratto mentre stavo leggendo degli appunti di lavoro, ero così preso dalla lettura che non ho visto delle pietre appuntite che venivano fuori dal terreno, ci sono finito sopra, sono inciampato e mi sono graffiato, non credo sia nulla di grave, ma i miei colleghi hanno insistito perché venissi a curarmi, sostengono che siano necessari almeno un paio di punti di sutura, anche se a me sembra un'esagerazione»

Mi avvicino ostentando professionalità, e dicendo a me stessa che non posso farmi soggiogare dagli occhi, se pur magnifici, di uno sciacallo profanatore venuto da chissà dove a saccheggiare la mia terra.

«Mi faccia vedere di che tipo di graffio si tratta, eventualmente possiamo sempre mettere un cerotto»

Il taglio è piuttosto profondo, il sangue cola copioso sui teli che Faiza deve aver messo sul lettino.

«Ha già provveduto a disinfettarsi prima di arrivare qui Mr Daven?»

«Non avevo disinfettanti con me, però ho lavato con acqua la ferita» Mi risponde lui fissandomi con quegli occhi magnetici.

«Bene, le spiego, il taglio è profondo. Non molto per fortuna, ma ha una lacerazione e ci vorranno più di un paio di punti mi sa, almeno una ventina, ma non è nulla di grave. Dovrei darle un anestetico, ma lei è un uomo grande e grosso, e visto che è un bene praticamente razionato e che lei ha giudicato la sua ferita un semplice graffio , preferirei tenerlo da parte per chi dovesse arrivare con ferite più problematiche, però, se proprio non riesce a sopportare il dolore me lo dica e provvederò subito, va bene?»

«D'accordo dottoressa»

«Adesso si distenda e non si muova, cercherò di fare prima possibile».

Comincio a cucire e ad ogni punto sento i muscoli di Mr Daven irrigidirsi. Lo sento gemere di dolore, sono un medico e non mi piace sentire la gente soffrire.

«Le posso dare un antidolorifico? Le fa molto male, lo capisco» Ha la fronte imperlata di sudore, ed in viso un'espressione dolente, ma, mi guarda, mi sorride e risponde in tono molto gentile:

«No grazie Dottoressa, non è necessario, riesco a sopportare»

«Come preferisce, ma se cambia idea me lo dica ok?»

«ok, però magari se parliamo un pò mentre mi ricuce mi distraggo e non penso al dolore, è d'accordo?»

«Sono d'accordo! Di cosa vuole parlare?»

«Parliamo di lei. È egiziana? Parla molto bene la mia lingua, dove l'ha imparata? »

«Ho studiato medicina all'università del Cairo, per via delle dominazioni britanniche molti insegnanti erano e sono tutt'ora madrelingua anglosassone, ho imparato l'inglese così. E si, sono egiziana!» Mi rendo conto che il mio tono era acido, non l'ho fatto apposta, ma non mi piace parlare di me con gli estranei.

«L'ho chiesto per via del suo accento, credevo fosse inglese o che avesse origini inglesi, complimenti. Io invece vengo in Egitto da quasi dieci anni e non parlo neppure lontanamente l'arabo, forse qualche parolina, ma niente di più»

«Ah si? E invece con l'egiziano antico come se la cava? Se non ho capito male lei è un archeologo, è corretto?» Anche il tono di questa frase non nasconde la mia stizza verso i profanatori.

«Riesco a tradurlo dai geroglifici e riesco a formulare le frasi, non credo riuscirei ad affrontare una conversazione con Ramses però» risponde sorridendo.

«Ecco, ho finito! Deve cambiare la fasciatura ogni giorno, lo disinfetti con questo e cerchi di tenerlo pulito.

Tra dieci giorni torni qui così togliamo i punti. Mi raccomando, tenga la zona pulita o le si infetterà» cerco di tagliare corto.

«Va bene! Se dovessi sentirmi poco bene posso tornare?»

«È un campo medico qui, se dovesse stare male cercheremo di curarla. Ma, se segue le mie istruzioni e cerca di non sovraffaticare la caviglia, starà bene e tra dieci giorni i punti saranno pronti per essere tolti»

«Mi sta dicendo che per rivederla dovrò aspettare dieci giorni quindi?»

Mi coglie di sorpresa questa frase, cerco di rispondergli provando a mascherare il nervosismo

«Beh, si. Oppure deve ammalarsi, o farsi male di nuovo»

«In questo caso vedrò cosa posso fare, a presto dottoressa... dottoressa?» Mi guarda con espressione interrogativa sul volto e mi porge la mano,

«Taymur, dottoressa Taymur» rispondo e gli porgo la mia mano per stringere la sua, ma lui mi coglie di sorpresa, chinandosi a baciala.

«È un vero piacere conoscerla, se lo avessi saputo mi sarei tagliato io stesso, diverse settimane fa» sorride «mi chiamo Christopher Thomas Albert Daven»

Sento il sangue affluire al viso e spero che la mia carnagione nasconda il fatto che probabilmente sto arrossendo.

«Sicuramente utilizzare il suo cognome è il modo più breve per chiamarla» dico sorridendo imbarazzata « Si riguardi Mr Daven, qui ho finito, la accompagno fuori»

Lo accompagno all'uscita dove ci sono due uomini ad aspettarlo, zoppicando li raggiunge si volta e mi saluta con un sorriso a trentadue denti

«Arrivederci dottoressa Taymur»

Lo saluto con un cenno della mano.

La Maledizione di DavenwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora