Capitolo XIX

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Ero in ambulatorio, a riordinare alcuni unguenti sugli scaffali, provavo a spiegare a Faiza quali erano i vari utilizzi:

«Questo serve per le ferite infette, vedi? Questo qui verde.» Faiza annuiva poco convinta.

«Questo qui, quello di colore rosso» dissi prendendo una boccetta con un liquido color cremisi dentro «questo serve per la febbre alta, un cucchiaio se il paziente è un bambino, due se invece si tratta di un adulto, ok?» Faiza annuì ancora una volta con poca convinzione. Mi dava ai nervi quando era cosi svogliata ovvero, praticamente sempre.

«Nasheeta, ma devo metterlo sulla fronte o farglielo bere?» Mi chiese

«Devi farlo bere, questo rosso! Quello verde va messo sulla ferita.» Alzai gli occhi al cielo chiedendomi se era davvero così oppure se fingesse.

Mi girai sbuffando, mentre mettevo a posto uno sciroppo per la tosse preparato da me, quando una forte fitta allo stomaco mi fece lasciare la presa. Sentii il rumore del vetro che impattandosi al suolo andava in frantumi; lo sentii come se il suono del vetro venisse da lontano, e non dallo stesso posto in cui mi trovavo io, sembrava più un eco; improvvisamente mi ritrovai nella cripta dove avevo trovato il libro, quella delle mie visioni. Il dolore allo stomaco era fortissimo, abbassai lo sguardo ed una spada lunga e luccicante mi trapassava da una parte all'altra. Le mie mani erano sporche di sangue, provai a sfilare la spada dalla mia pancia senza successo. Ero in ginocchio con i miei vestiti logori, dolente e con le forze che pian piano mi abbandonavano.

Alzai gli occhi e lui era lì, davanti a me. Aveva un ghigno soddisfatto sul viso, si avvicinò ad un centimetro dalla mia faccia e mi ringhiò contro:

«Mi hai rovinato la vita, era giusto che ti restituissi il favore, mettendo fine alla tua, lurida sgualdrina.»

Il suo sguardo era feroce, terribile, mai avrei pensato che quegli occhi

verdi come due smeraldi sarebbero riusciti ad arrivare a tanto.

«Tu!» Riuscì a dire con un filo di voce «Il mio bambino, come hai potuto? Era tuo figlio, vigliacco» Cercai di tirar fuori tutta la rabbia, provai a farlo sentire in colpa ma, lui mi rispose con freddezza «Non era mio, era il figlio di una puttana!»

Mi poggiò una mano sulla spalla destra, mi guardò dritto negli occhi, sorrise e con forza tirò la spada fuori dal mio corpo.

Sentii le forze abbandonarmi, mi accasciai a terra e guardai ancora una volta verso di lui che sorrise fiero di se e mi sputò addosso, prima di voltarsi e andar via.

La mia vista si appannava e il mio respiro diventò sempre più affannato! Mi restavano pochi istanti, pensai in fretta "non ho il calice, forse non riuscirò a farlo come si deve" con le ultime forze implorai Seth di aiutarmi «Divino Seth, la tua serva non ti chiede la salvezza ma ti chiede vendetta. Lasciami tornare quando il tempo sarà propizio, lasciami compiere la maledizione in tuo nome, che tanto bramo. Mi affido a te, come ti ho affidato mio figlio.»

Non riuscivo più a respirare, chiusi gli occhi e mi addormentai per sempre!

Vidi il mio corpo per terra, esanime, come se mi stessi osservando da fuori; arrivò un ombra, l'ombra di un uomo, un uomo con la testa di lupo, il Dio Seth.

L'ombra si accasciò sul mio corpo e questo cominciò a tremare, sempre più forte, fino a che sul pavimento non si aprì una voragine che lo inghiottì.

«Dottoressa! Nasheeta! Svegliati per favore.» Sentivo la leggera voce di Faiza. Aprii gli occhi ed il dolore era passato.

Mi toccai lo stomaco, non dissi una parola perché mi resi conto che si trattava di un'altra visione. Diventavano sempre più vivide, sempre più realistiche, anche se erano settimane che non ne avevo una.

La Maledizione di DavenwoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora