15. The Reason Why

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Mi sentii tirare indietro. Mi ritrovai improvvisamente tra le braccia forti di Ashton, mentre Jonathan era caduto a terra dopo aver perso l'equilibrio a causa di tutto l'alcool che gli scorreva nelle vene. Il ragazzo in ginocchio alzò lo sguardo e socchiuse gli occhi cercando di mettere a fuoco le persone che aveva davanti. Quando ci riuscì scoppiò in una risata sguainata.

- Pensavo scherzassi quando mi avevi detto che ti frequentavi con questo perdente. - rise cercando inutilmente di tirarsi su in piedi. Sentii i muscoli di Ashton irrigidirsi all'istante, mentre si protendeva verso di lui, probabilmente indeciso se pestarlo o meno. Lo fermai con il mio corpo, allontanandolo di qualche passo.

- Cosa ci fai qui, Jonathan? - gli chiesi cercando di mantenere la calma.

- Speravo di trovarti da sola, così da fare un altro round. Visto che l'ultima volta non ti è dispiaciuto. - rispose ammiccando malamente. Non capivo se stesse parlando sul serio o stesse cercando un pretesto per farsi picchiare a sangue. In ogni caso per la seconda opzione ci stava riuscendo benissimo. Ashton mi scavalcò e prese il ragazzo alla porta per la maglietta, tirandolo su di peso.

- Tu non ti meriti nemmeno che lei respiri nella tua direzione, lurido bastardo. Sparisci prima che perda completamente il controllo delle mie azioni. - lo minacciò. Per un attimo pensai che mandarlo via fosse la scelta giusta da fare, se non avessi visto la sua macchina parcheggiata malamente davanti a casa mia. Non potevo avere sulla coscienza un altro incidente, non dopo tutto quello che era successo.

- Ashton. - lo chiamai flebilmente. Lui non si voltò. Mi avvicinai, staccando il riccio da Jonathan. - Non può andare in giro in queste condizioni, è già un miracolo che sia arrivato fino a qui senza fare incidenti. - sussurrai. Vidi la sua mascella contrarsi. Era a dir poco furioso.

- Dici di voler chiudere con me, ma non hai mai detto di voler chiudere con lui. A che gioco stai giocando, Christine? - volle sapere. Non attese nemmeno la risposta. Semplicemente se ne andò sbattendo la porta.

***

Fortunatamente in qualche modo Jonathan si addormentò su divano. Probabilmente tutto l'alcol nelle vene l'aveva messo a k.o.

Le parole di Ashton non facevano altro che rimbombare nella mia mente. Aveva dannatamente ragione. Negli ultimi giorni non avevo mai preso in considerazione l'idea di lasciarmi di nuovo alle spalle Jonathan. L'avevo già fatto una volta, in un bar a L.A. Aveva fatto maledettamente male. Forse era per questo che ero riluttante a farlo una seconda volta. Avevo convissuto così a lungo con lui al mio fianco che l'idea di essere abbandonata o abbandonarlo era impensabile. Ma era successo. Ed ora dovevo farlo di nuovo.

Per quanto stentassi ad ammetterlo, Jonathan era la mia kriptonite. Non Ashton. Era l'abitudine ad ucciderti. Come una droga, era difficile abbandonare le abitudini. Sempre lì in agguato, a schiacciare nei punti giusti, sulle proprie debolezze, sperando di ricascarci di nuovo. Nella dolce e calda sensazione di familiarità che ci davano.

***

Sentii un mugolio indistinto provenire da Jonathan. Rimasi immobile. L'ansia stava cominciando ad attanagliarmi lo stomaco. Ero rimasta tutto il tempo a formulare e riformulare delle frasi per mettere in chiaro la situazione tra noi due, ma ora le parole erano confuse nella mia mente.

Il ragazzo si voltò su un fianco senza aprire ancora gli occhi. Forse stava cercando di ricordare le ultime ore, invano. Sbatté un paio di volte le palpebre prima di riuscire a focalizzarmi.

- Christine. - disse con voce roca. Si schiarì la voce tentando di mettersi a sedere. Per un attimo temetti che sarebbe caduto a terra, ma fortunatamente non dovetti aiutarlo. Si prese la testa pulsante tra le mani e rimase in silenzio per qualche minuto, prima di parlare nuovamente. - Sono a casa tua. - fece alla fine. Mi mossi imbarazzata sul posto. Avrei dovuto ripetergli le sue stesse parole per ricordargli cosa aveva cercato di fare?

- Hai bisogno di un'aspirina? - gli domandai, più per temporeggiare che per cortesia. Lui si limitò ad annuire. Con lentezza mi alzai e gliela portai con un bicchiere d'acqua. Il silenzio era pesante, troppo pesante da sopportare, ma non avevo il coraggio di parlare.

Jonathan sospirò pesantemente dopo aver preso la pastiglia. Mi ridiede il bicchiere, rifiutandosi di alzare gli occhi ed incrociare il mio sguardo. - Vogliamo parlare di quello che è successo? - volle sapere alla fine. Mi mozzò il respiro per un instante. Il cuore cominciò a battermi all'impazzata nel petto, forse era sul punto di rompersi di nuovo. Non sapevo se questa volta sarei riuscito a ricomporlo. Ogni volta mi sembrava di perderne un pezzo. Magari questa volta c'erano troppi buchi per riuscire a rimetterlo insieme.

- Penso che non dovremmo più vederci. - risposi invece io, schiettamente. Jonathan questa volta alzò la testa e mi guardò. Vidi  solo paura e frustrazione nei suoi occhi.

- È per quello che è successo a casa mia? - chiese disperato. - Non ha significato niente per nessuno dei due. Non puoi semplicemente dimenticare l'accaduto? -

Rimasi quasi sorpresa dalle sue parole. Non mi sarei mai aspettata da lui un accanimento del genere. Non dopo che lui per primo mi aveva lasciata. Avevo sperato sarebbe stato più semplice.

- Ho tradito mio mio ragazzo, Jonathan. Tua sorella era appena morta. Tu ti sei rifatto una vita a Los Angeles. Io sto cercando di rifarmene una dal giorno dell'incidente. - replicai. - È tutto così sbagliato. Ci stiamo avvelenando a vicenda. Il nostro passato ci sta uccidendo. -

Lui cercò di parlare, ma non riuscì ad emettere nemmeno un misero suono.

- Senti. - sospirai. - Lo so che ci comprendiamo, so quanto stai soffrendo in questo momento, lo sento sulla mia pelle quello che stai provando, ma non è questo che ci serve. Io devo rifarmi una vita e tu devi continuare a vivere la tua. -

Un singhiozzo sommesso sfuggì dalle labbra del ragazzo. Scosse la testa e strizzò forte gli occhi. Le lacrime sgorgavano senza controllo dalla sue palpebre ancora serrate. Non avevo la minima idea del motivo per cui stesse piangendo, mai avrei pensato che quelle parole avrebbero potuto ferire più lui di me. 

- Tu non capisci. - rispose scoppiando in una risatina isterica. Si asciugò il viso sfregandolo con i palmi delle mani aperte. - Non ho niente io. Tutto quello che ti ho detto, quello che ti ho fatto credere. Essermi costruito una nuova vita via da qui... è tutto una menzogna. Ho finito i soldi della borsa di studio da un pezzo e ho mandato a puttane la scuola, lavoro come inserviente per comprarmi quello che basta in alcolici per dimenticare per qualche ora la mia miserabile vita. Non sono riuscito ad andare avanti e non credo che ci riuscirò mai. - mi confessò. Rimasi spiazzata dalla sue parole. Rimanemmo per un'eternità immobili ad ascoltare il velo di silenzio che era calato su di noi.

- Tu eri la mia ultima speranza. - parlò alla fine Jonathan. - Forse speravo che potessimo rialzarci insieme, oppure che tu mi aiutassi a rimettermi in piedi, ma a quanto vedo non sono più voluto. -

In un altro mondo, in un'altra situazione, se le persone coinvolte non fossimo state noi due, forse, forse tutto sarebbe andato diversamente. Io lo avrei abbracciato, lo avrei consolato, avrei continuato a crogiolare nel dolore con lui. Ma le cose andarono in modo differente, non ci fu nulla di teatrale nella nostra rottura. Sentimmo le porte del garage cigolare nell'intento di aprirsi. Non fu un vero e proprio segno, ma lo interpretammo quasi in quel modo. Non ci guardammo negli occhi neanche per un'ultima volta. Lui si alzò ed io lo accompagnai alla porta, uscì senza dire una parola ed io chiusi la porta.

Mi lasciai cadere sul divano nel momento in cui mia sorella entrò nella stanza. Sentii i suoi occhi su di me.

- Tutto bene? - mi chiese senza nessun tono particolare della voce. La guardai per un attimo. No, di certo bene non stavo, ma perlomeno avevo smesso di farmi trascinare dalla corrente della vita.

- Certo. - risposi.


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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 24, 2018 ⏰

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