Dalton

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"Come ve la passate qui?" domandò Nathan, scrollandosi dalla mente i brutti ricordi del passato.

"Non ci lamentiamo, ma sai meglio di me che è una questione di tempo prima che le cose vadano in malora"

"Che vuoi dire?"

"Blawr. Come ben sai due anni fa hanno distrutto quel che rimane del piccolo villaggio a sud di Julien. Certo, non posso provare che siano stati loro, ma chi altri sennò?" 

"Per questo mi hai detto che sono loro a volere le armi?" Nathan serrò gli occhi.

"Esatto. Nessuno si è mai mostrato così aggressivo, se non di rado gli sciacalli, ma quelli non ha interessi da queste parti." Colbert tornò a sedersi con le spalle allo schienale, divaricando leggermente le gambe.

"Ti sei scordata un particolare" disse Nathan, attirando l'attenzione di Patrick "I militari ingaggiano spesso i Blawr per lavori sporchi. Forse ci sono loro dietro la distruzione del villaggio, non credi?"

Patrick rimase in silenzio per un po', fissando il pavimento. "In effetti potrebbero essere collegati, ma a quale scopo? Perché i militari hanno distrutto il villaggio?"

"Beh, non lo so, ma sai meglio di me che ogni tanto si mettono a fare cose molto strane nella regione..."

"Bonifiche del territorio?" domandò Patrick confuso. Non riusciva a capire cosa volesse dire Nathan.

"Non sono bonifiche, ma altro..."

"Altro?" Patrick era molto perplesso.

"I Militari hanno piani molto precisi. Guarda come tengono sotto scacco Port Lock, città portuale e ultimo baluardo di una civiltà ormai distrutta"

"Port Lock è neutrale. Impossibile." Patrick scosse la testa.

"No. I militari non si fanno mai vedere da quelle parti, se non per prendere le loro provviste, e di certo non pagano il consigliere John Storm. Quello che voglio dire è che stanno ripulendo tutta la zona attorno alla città per fare qualcosa..."

"Il consigliere John e i militari hanno un accordo. Tutti lo sanno. In cambio delle provviste, i militari si impegnano a tener lontano gli sfregiati"

"Puttanate. Stanno pianificando qualcosa, qualcosa che secondo me, spazzerà via tutti gli avamposti... compresi i nostri"

"Stai parlando di..."

"Di sterminio!"

Patrick rimase in silenzio, si sentiva uno stupido a non averlo pensato prima. Il fatto che glielo avesse detto Nathan, un uomo che non faceva parte del suo gruppo, lo infastidì un poco. Sapeva che la sua testardaggine poteva creare problemi alla sua gente ma, dall'altra parte, aveva pieno potere decisionale. Non aveva bisogno di altri pareri, non chiedeva mai consigli o aiuti, se la sbrigava sempre da solo. Si definiva un dittatore buono, anche se non esistono dittatori buoni e lui lo sapeva. Dalton era diversa dalla comunità di Julien, diversa in ogni aspetto, anche se pur piccolo, faceva la differenza. Nato come un gruppo di persone malnutrite e armate fino ai denti, non avevano mai avuto intenzioni malevoli verso gli altri ma, gli scontri con gli sfregiati, avevano dimezzato la popolazione. La miniera abbandonata, poco lontano dall'attuale accampamento, aveva visto la più grande carneficina di sempre, almeno secondo loro. Intere famiglie furono massacrate mentre centinaia di sfregiati venivano giù dall'entrata principale come una cascata. Nessuno seppe mai come fecero a trovarli, poiché la miniera era isolata e nessuno, neanche gli sfregiati, vagavano in quella terra arida e rocciosa, con grandi valli e burroni. Patrick fu l'unico a trovare una via di fuga, seguito da una cinquantina di superstiti. E fu sempre lui a chiudere la botola, vedendo l'orda di sfregiati accanirsi sulle persone, strappando le carni dai corpi martoriati, urlando aiuto e gridando dal dolore. La montagna di gente in fuga, ammassata verso le strettoie, inghiottiva i bambini e i vecchi sotto il peso dei luridi scarponi come un travolgente tsunami. Patrick ricordava ancora quell'ultimo sguardo della donna terrorizzata che porse a lui il suo bambino di qualche mese, implorandolo di salvarlo, ma Patrick si volse e chiuse la botola, sentendo i gemiti gutturali degli sfregiati in arrivo. Lo straziante grido di dolore della donna echeggia ancora suoi sogni e il CRACK delle ossicine che si rompono lo tormentano, assieme ai gemiti degli sfregiati, carni strappate, ossa rotte, grida, lamenti e pianti di bambini che poco dopo vengono inghiotti dai gemiti. Ma era un prezzo che doveva pagare, un prezzo per salvare ciò che rimaneva delle novanta persone che vivevano nascosti nei cunicoli. Fu allora che venne nominato capo a vita, il loro salvatore, la persona da cui tutti dipendevano, ma solo lui sapeva cosa aveva fatto. Poi, la fortuna o caso, rinforzò la sua posizione, poiché sbucando da quella uscita, si ritrovarono dentro a una piccola centrale elettrica, protetta da una spessa recinzioni in ferro. Dentro il grande edificio cementato trovarono un corpo senza vita con in pugno una Glock e nell'altra una foto di famiglia: una donna e due bambini, una femmina e uno maschietto, all'altezza del petto una targhetta col nome Dalton. Patrick scelse quel nome per la comunità come se quel cadavere in putrefazione e semi-scheletrico, avesse guidato i suoi passi verso l'uscita, che trovò fortuitamente. Erano passati vent'anni, vent'anni da quel orrore che tutti ricordano come fosse accaduto ieri, e dove un tempo c'era la botola, oggi sorge un monumento spartano con i nomi dei morti scritti sulle pietre ammassate in ricordo del tragico evento.

"Patrick?!" disse Nathan stranito dal comportamento di Patrick che era rimasto in silenzio e con gli occhi fissi nel vuoto. 

"Ah.. sì... stavo pensando, scusami..." Patrick sbatté le palpebre. 

"A cosa?"

"Allora, visto come stanno le cose" Patrick cambiò discorso "Devi avvertire Julien"

"Sì... ma prima voglio saper una cosa: perché eravate alla fossa?" Nathan aggrottò le sopracciglia.

"I miei uomini erano, e sono in perlustrazione tutt'ora. Voglio essere sicuro di avere le spalle coperte, di essere pronto a un eventuale minaccia, ma sai già come la penso."

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