Isolati

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Passarono due settimane da quando Nathan litigò con Eva. Nessuno dei due cercò l'altro. Gli sguardi erano lontani, freddi, quasi inesistenti. Eva non voleva perderlo di nuovo, ma Nathan doveva farlo. L'esercito era stato visto da alcune pattuglie lungo le colline Jamson, trasportando su dei camion militari molte casse. Il contenuto era del tutto sconosciuto, così come la destinazione. Infine, sparirono nella foresta nera, lasciando dubbi e domande, senza risposta. Julien aveva radunato quanti più uomini possibili, credendo che l'esercito avesse intenzioni di attaccarli. Non era mai successo prima d'ora, ma per come si stavano sviluppando le cose, niente era impossibile adesso. 

Quarantasette uomini furono addestrati con archi e lance, solo alcuni sapevano usare le armi da fuoco. Le cartucce erano diventati un lusso, quindi si usavano quelle rozze, prodotte in casa. Non erano alla pari delle vere pallottole, ma a distanza ravvicinata facevano la loro sporca figura. Le donne furono anch'esse addestrate con l'arco, ma per scopi puramente difensivi. Julien mandò diversi uomini alla ricerca di rifornimenti: armi, medicine e oggetti metallici con cui produrre le pallottole "bastarde" - Nome ideata da lei stessa -. L'esito delle ricerche non furono delle migliori. Tre uomini non fecero più ritorno e il quarto tornò con un morso al braccio. Dovettero rinchiuderlo in una cella improvvisata. Le pareti erano state costruite con del legno marcio, la puzza di carbone era insopportabile, ma l'uomo non sentiva più odori. Dopo un po' perse la vista e infine, dopo un ora, l'udito. La pelle cominciò a riempirsi di vesciche, le vene diventarono nere e gonfie, quasi a voler scoppiare. L'uomo chiedeva aiuto mentre il suo corpo si trasformava, ma Julien sapeva bene cosa fare. Un colpo in testa; l'uomo non si mosse più. Era un padre di famiglia, due bambine di cinque e sei anni, Katty e Livia. Due anime innocenti catapultate in un mondo distrutto dalla vecchia generazione. Un mondo che aveva vomitato i vizi degli uomini, che aveva posto fine alla loro arroganza. Julien era fiera della sua gente, ma non di se stessa. A malincuore aveva ucciso quell'uomo, ma come lui, ne aveva uccisi tanti, troppi. Non ricordava più i nomi, poiché bastava il primo nome a distruggerla emotivamente. Si era promessa di non affezionarsi più a nessuno. "Le persone muoiono. I ricordi restano." si ripeteva spesso quando a fine giornata, in completo silenzio, si ritrovava da sola nel letto, mentre con un mano cercava qualcuno nello spazio vuoto affianco a lei. Un tempo occupato da risate, sorrisi, gioia, felicità spensieratezza e amore... ma che ora non c'era più. Le sentiva nelle stanze adiacenti, mentre lei rimaneva in compagnia di un vuoto che la divorava da dentro, lasciando spazio ad una donna forte, forgiata con il dolore, il pianto, stretta ad un cuscino come fosse una persona. Quel cuscino che gli faceva credere che lui fosse ancora lì a proteggerla, a consolarla, a darle forza ma sopratutto a darle speranza...

Il corpo dell'uomo infetto fu posto su una pila di legno e fu proprio lei a dargli fuoco, mentre la gente attorno piangeva. Le bambine si stringevano forti, impaurite, quasi morbosamente all'unico parente che gli era rimasto, uno giovane zio. Nathan osservò le bambine, ma nei loro sguardi vide la forza che molta gente nella comunità non aveva, compreso lui. Piangevano, ma non era il solito pianto disperato. Stavano accettando quanto successo. Accettavano che il mondo era così, che non c'era posto per le rassicurazioni, che dovevano restare uniti per farcela. Nathan all'età loro non era così forte, era solo un bambino affezionato troppo ai suoi, un affetto deleterio. Non era in grado di allontanarsi per diversi giorni dalla sua famiglia, poiché tanto era il dolore che sentiva crescere dentro. Se al posto di quelle bambine ci fosse lui, non si sarebbe più ripreso e forse, vigliaccamente o stupidamente, si sarebbe tolto la vita, per poi pentirsene nell'instante in cui il vuoto l'avrebbe inghiottito. Aveva elaborato questo ragionamento durante l'adolescenza, quando immaginava come sarebbe stato l'ultima instante in cui si sarebbe tolto la vita e ricongiunto con i suoi in paradiso. Era una scelta egoistica, sbagliata, i suoi non l'avrebbe accolto con un sorriso, forse non l'avrebbe neeanche accolto. Iniziò a pensare che il paradiso fosse una pura invenzione del cervello una volta morto, perché lesse, non ricordava nemmeno dove, che il cervello rimane attivo anche per più di un ora dopo la morte. Quindi, non si sarebbe mai ricongiunto con i suoi, ma avrebbe costruito, come in un sogno, il suo paradiso, aiutato dai ricordi. I genitori, il panorama e le sensazioni non sarebbero che proiezioni del suo cervello, ma poi, ad ogni risposta, giungeva un altra domanda, come se qualcuno o qualcosa dentro di lui gliela ponesse. "Cosa succederà quando il cervello si sarà spento?". La risposta fu quasi automatica: "Il vuoto... oppure, c'è un energia che ci tiene vivi; un interruttore invisibile che si attiva nel grembo di nostra madre e si spegne quando avremo raggiunto una determinata scadenza, per questo, il nostro corpo continua a vivere senza di noi per un ora o più, grazie ad una piccolissima energia residua, che svanisce una volta che sarà catapultata da tutt'altra parte. Credo che la cremazione aiuti l'energia a uscire dal corpo e a non rimanere intrappolata". Non era un ragionamento di un ragazzino, ma di uomo in cerca di risposte, di un senso. Perché non è facile accettare il silenzio, il vuoto, l'oscurità dopo la morte. E' più facile credere che siamo importanti; inventandoci mondi immaginari e luoghi in cui riunirci. Nello sguardo di Katty e Livia, non c'era questa scintilla. Loro accettavano il mondo così com'è; marcio, sofferente, doloroso, con sprazzi di felicità, inghiottiti avidamente da radiazioni e nubi acide. Vivere il presente, ricordando il passato, ma costruendo un futuro migliore.

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