Parte 11

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La coppia camminava tenendosi stretta, felice del semplice fatto di stare insieme. La ragazza disse: - Brr... Che freddo! – ottenendo come risposta una scontata facezia.

- Non preoccuparti, ci sono qui io a scaldarti... - sorrise il suo lui, malizioso.

- Stupido! Pensi sempre a quello! –

- Ma sentitela... Tu no? – la canzonò, insinuante.

Li raggiunse, e la ragazza lo guardò. Lo guardò, lo vide, e il sorriso le si spense all'istante, come se dentro le fosse stato premuto un interruttore. Le sue labbra si rimodellarono in una smorfia di paura e repulsione. Non durò che un istante, e già li aveva superati, continuando tranquillamente a camminare nella direzione opposta. La ragazza si confidò subito col fidanzato, in un sussurro che comunque riuscì ad afferrare nel silenzio della notte.

- Hai visto quello? –

- Chi, il tipo che è passato adesso? Che aveva di strano? –

- Non lo so. E' come se nascondesse qualcosa... E' che sembrava... Così solo. -

Aveva capito. Ma quanto? "Dovrei ucciderla" meditò per un attimo, ma cambiò subito idea.

- Non posso. – disse a sé stesso, a voce alta – Non è lei!

Sbucò in una grande piazza. Un gruppetto di adolescenti, due maschi e due femmine, ridevano ubriachi, le birre in mano, seduti sul cofano di un'auto parcheggiata, tranne un biondino allampanato che restava in piedi sul marciapiede. Una delle ragazzine propose con entusiasmo: - Hey Nico, perché non ci racconti un'altra volta la storia dell'assassino che si nasconde nella notte? –

L'altra ragazza aggiunse, complice: - Si, dài, finiamo la serata con un brivido! –

Nico, il biondino in piedi, non si fece certo pregare.

- Ok, ok! Allora... - Alzò le mani, piegando le dita a mo' di artiglio, e cominciò con voce cavernosamente ridicola: - Un po' di tempo fa, c'era un uomo che girava la notte per le strade buie, con una sola idea in testa... -

Guardare quei ragazzetti lo fece sorridere di pietà. Cosa ne volevano sapere, loro? Continuò per un po' ad osservarli divertito, tenendosi rispettosamente lontano, non visto.

"Uccidere... Uccidere... Uccidere..." riflettè, tornando serio "E' il chiodo fisso nel cervello, l'idea che spazza via tutte le altre".

Le risate dei giovani riecheggiarono nella grande piazza vuota. Si avvicinò un poco, per guardarli meglio. Stava succedendo qualcosa che non capiva, e voleva accertarsi cosa fosse, anche a rischio di farsi scoprire. Si erano trasformati. Non erano più dei ragazzi, erano scheletri. Si dimenavano in modo osceno e ghignavano malignamente, le loro erano macabre risa fatte di scricchiolii di denti e ossa. Si erano consumati, e tutto si consumava insieme a loro: i palazzi ridotti in rovina, da cui cadevano piogge di mattoni; la polvere copriva tutto come una grigia coperta di lerciume. Il mondo era finito.

"Uccidere... Uccidere... Uccidere..." ripetè a sé stesso, con convinzione "E' l'azione più misericordiosa che esista, libera un essere vivente da una sofferenza inutile. Non siamo forse tutti già morti? E' solo una questione di tempo. La vita non è che un istante inutile in un'eternità di nulla".

Lasciò quegli scheletri alla loro grottesca commedia e cambiò direzione. Le strade che ora attraversava avevano un aspetto normale. Ma fino a quando? Era ormai sulla via di casa, desideroso di riposare, quando la vide. Pareva più vecchia del solito, alcune rughe sottili solcavano il viso, comunque ancora giovane. Si era travestita, ma era lei, l'aveva riconosciuta comunque. Era tornata davvero presto, questa volta. Quella maledetta diventava ogni giorno più forte e più spavalda. Non lo sfidava, forse? O peggio, si prendeva gioco di lui...Un rosso furore lo invase come una malattia, spingendolo a correrle incontro, brandendo il coltello già sporco di sangue. Presa alla sprovvista, la donna fu troppo lenta nel reagire. Non era neanche riuscita a voltarsi per scappare, che già la colpiva ripetutamente al corpo e alle braccia. La sua furia non riusciva a placarsi. Anche quando al vide riversa a terra, morta in un lago di sangue, la fame non gli era passata. Urlò alla luna come un cane rabbioso, ancora ed ancora, poi si rivolse al cadavere e si accanì sul suo viso.

Mezz'ora dopo riprendeva la via di casa, camminando tranquillo, come il più innocente degli uomini. Riprese a filosofeggiare, in una maniera amara e decadente, sempre più compiaciuta.

"Uccidere è il brivido di un attimo: la lama che squarcia la carne, il sangue che scorre come lacrime rosse, lo sguardo terrorizzato della vittima che capisce che la vita la sta abbandonando... E che sei tu a togliergliela! Nei suoi occhi morenti rivedi il tuo delirio di onnipotenza, la tua presunzione di essere Dio. Ah, la gioia di uccidere... Ma com'è effimera! E' il brivido di un attimo; poi, sceso dal trono, la paura ti assale, abbandoni la vittima e non puoi che fuggire lontano, lontano... Ma per quanto lontano tu possa arrivare, non potrai mai fuggire da te stesso".

Già, era così. Ma valeva anche per lui? Decise di no. No, lui non era come gli altri. Aveva fatto un ottimo lavoro, come le altre volte. Si, decisamente era il migliore. Perché mai avrebbe dovuto provare paura? Niente avrebbe potuto rovinargli quel momento. Accantonò le sue contraddizioni con una facilità che stupì se stesso, e si impose di essere allegro. Si mise a fischiettare una vecchia canzone, di quelle che parlano d'amore.

La macchia nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora