Parte 18

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Ne varcò la soglia ed entrò in una cantina dalle dimensioni generose, adibita a sala di pittura. Più o meno al centro c'erano tre quadri, retti dai rispettivi treppiedi, ognuno coperto da un panno. Erano preceduti da un altro, bruciato quasi del tutto, ridotto in cenere tranne che ai bordi, dove si notava il colore sciolto. Sul muro di sinistra, delle mensole erano colme di pennelli e materiale vario. In fondo ad una di esse era posato un oggetto dalla forma vagamente sferica, anch'esso ricoperto da un panno. Addossati alla parete in fondo, erano negligentemente ammucchiati alla rinfusa altri quadri, appena accennati, evidentemente lontani dall'essere completati. Alle sue spalle, a destra dell'entrata, un enorme arazzo era poggiato alla parete per il lato lungo. Si rigirò, guardandosi attorno stupita, e il suo sguardo andò in alto, al soffitto. Un lampadario circolare, con candele al posto delle lampadine, illuminava sinistramente la scena con una gialla luce irreale, lasciando in ombra le zone periferiche della cantina.

- E' un artista... - mormorò, e le venne in mente la pinacoteca. Si avvicinò ad uno dei quadri coperti, quello a sinistra. Sollevò il panno e scoprì il dipinto di quella casa, vista dall'esterno, prima della sua rovina. Aveva un aspetto tranquillo, normale. Sotto c'era una targhetta, il titolo dell'opera: Una volta. Quindi c'era stato un tempo in cui non aveva ancora scelto il buio... Ma quanto era lontano? Sollevò il panno del quadro adiacente. Raffigurava un uomo con le mani alla gola, il viso atteggiato ad uno sforzo sovrumano, come se provasse a gridare invano, e invece soffocasse. Era una versione riveduta e corretta de L'urlo di Munch, intitolata L'urlo strozzato. Era ancor più angosciante dell'originale, senza nemmeno lo sfogo dell'urlo.

Rimaneva il quadro a destra. Sollevò il panno, non del tutto sicura di volerlo fare davvero. Era un orribile reinterpretazione del Guernica di Picasso: rispettando il tratto cubista dell'originale, il dipinto mostrava solo donne bionde ferite e sfigurate. Al centro della raffigurazione ce ne era una con due fosse sanguinanti al posto degli occhi. Tutte urlavano disperate. Il titolo: Loro, Guernica.

- Mio Dio! E'... E' orribile! – mugolò impaurita – Quell'uomo ha l'inferno dentro! –

Voleva andarsene da lì, oh, come voleva andarsene! Ma rimaneva un'ultima cosa da vedere, si, l'ultima... E poi sarebbe scappata a gambe levate. Sulla mensola, la cosa tonda. Voleva vedere, nonostante tutto. Tirò via il panno, e sprofondò nell'orrore, quello più buio, da cui non c'è ritorno senza follia. Era la testa di una giovane donna bionda, con due occhi finti, di vetro, incastrati nelle orbite sanguinolente, a creare un'oscena bambola di carne. Linda cadde per terra e urlò invasata per parecchi secondi, ad ondate di isteria. A fatica riuscì a stento a riprendere il controllo di sé stessa, almeno in parte. Il suo pensiero dominante era unico e semplice: andarsene. Maldestramente si alzò dal pavimento lercio e si girò in direzione dell'uscita.

Fu allora che lo vide. Veniva fuori da dietro l'arazzo poggiato alla parete, lì dove la luce arrivava a stento. Si muoveva in quella zona d'ombra come se ne facesse parte, come se fosse un pezzo di buio che si staccasse dal resto, venendo gradualmente allo scoperto, figlio delle tenebre.

Era magro e non molto alto, il pesante impermeabile nero pareva troppo grande per lui. Il viso fu l'ultima cosa a rendersi distinguibile: prima la parte inferiore, poi il resto, come se fosse riluttante ad abbandonare il buio. Le labbra si atteggiavano ad un sorriso posticcio che appariva solo lugubre; il viso pallido ed emaciato e le guance scavate gli davano l'aspetto di un essere che consumava sé stesso giorno dopo giorno. I capelli scuri gli ricadevano scomposti sulla fronte ampia, i cupi occhi azzurri bruciavano del male che gli divorava l'anima. Dimostrava circa cinquant'anni.

Linda rimase immobile, come pietrificata. Respirava a stento. Era lui. Non sapeva cosa provare. Sapeva solo che le ricordava un ritratto di Edgar Allan Poe che una volta aveva visto, non rammentava nemmeno più dove. L'uomo aveva uno sguardo fisso, allucinato, che vedeva oltre lei, oltre la realtà, una scena che esisteva solo nella sua mente. Piegò la testa di lato, quasi a toccare la spalla, in un gesto infantile e fuori luogo, a studiarla. Disse, con voce profonda e vibrante, in stupefacente contrasto con la sua figura esile: - Mi chiamo Nero, Marco Nero. –

La macchia nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora