Parte 13

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Giovanni Farelli si sentiva la sconfitta addosso, come un vestito scomodo che non riusciva a togliersi. Era convinto che il suo successo professionale fosse solo apparente, che avrebbe potuto e dovuto fare molto di più. In realtà era un giornalista solo discreto, e stava perdendo anche quel po' di talento che l'aveva tenuto a galla negli anni. Gli articoli non si scrivono da soli, e ciò che aveva scoperto quella notte non gli bastava. Sognava di smascherare l'assassino, o quantomeno di riportare indizi rilevanti, utili alla sua cattura. Uno scoop, un colpaccio da prima pagina che riscattasse una carriera opaca. Così pensava mentre si richiudeva alle spalle la porta di casa, per poi versarsi una generosa dose di whiskey nel bicchiere, senza neanche togliersi il cappotto. Lo tracannò tutto d'un fiato, quindi se ne versò un altro, sentendo il tepore irradiarsi piacevolmente nel suo corpo, la mente appannarsi. Al terzo bicchiere era già brillo, al quarto decisamente sbronzo. La bottiglia gli scivolò di mano e si infranse sul pavimento, spargendo ciò che rimaneva del suo contenuto, ed evitando una sbronza ben più grave e duratura.

- Non riesco nemmeno ad ubriacarmi come si deve – farfugliò Giovanni fra sé e sé – sono un fallito totale. -

Barcollò verso la camera da letto, e crollò sul letto ancora vestito.

- Sono un fallito e non so neanche accettarlo. Non so adattarmi a me stesso, sono solo un... Un velle... Come si dice? Ah, si... Velleitario... Sono un velleitario, valgo meno di quello che mi piace credere. -

Tentò goffamente di togliersi il cappotto, senza riuscirci. Si dette del fallito un'altra volta, prima di scivolare in un sonno leggero e senza sogni.

La macchia nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora