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Leo rimase turbato da quell’incontro: Per tutta la mattina non aveva fatto altro che ripensare a Nicholas, ai suoi modi di fare stravaganti, ai suoi occhi pitturati d’azzurro ed a quel modo di parlare un po’ ottocentesco e sarcastico che caratterizzava ogni sua frase.

Ne era rimasto colpito… Ma in negativo. 

In un certo senso, il ragazzo lo aveva tenuto in pugno per tutto il tempo, prevedendo ogni sua mossa e anticipando qualsiasi cosa avesse voluto dire. 

Più Leo tentava di capire come Nicholas riuscisse e leggerlo in un modo così simultaneo e spontaneo, siccome Leo non era affatto quel che si diceva “un libro aperto”, più il suo cuore faceva una capriola a causa della paura che lo assediava.

Leo maledisse quella giornata, rinnegò con convinzione il momento in cui si alzò dal suo letto ed odiò profondamente il momento in cui Nicholas entrò in casa sua.

Eppure, nonostante tutto l’odio che faceva ribollire il suo sangue come un calderone, rigoglioso d'una brodaglia verdastra e schiumosa, sul fuoco, non poteva far a meno che ripensare al bacio che Nicholas gli aveva dato.

Gli era piaciuto? Eccome! 
Poteva accettare una cosa del genere? Assolutamente no! Fuori questione!

Leo si ravviò i capelli, rimettendo al proprio posto quei ciuffetti ribelli che sporgevano da ogni lato, in preda alla più pura disperazione.

Inutile combatterla: L’ansia s’avventava contro di lui, invadendo la sua anima con facilità, come una freccia avvelenata andatasi a conficcare proprio nel petto, facendo poi espandere la tossina dal cuore a tutti gli altri organi. 

Un’infezione che marciava senza sosta, guadagnando terreno.

All’improvviso si ricordò del telefono, quell’oggetto benedetto dal Signore che gli permetteva, alle volte e quando era richiesto, di chiamare aiuto. Avrebbe potuto denunciare Nicholas Winter e guardarlo marcire dietro le sbarre di un carcere, mentre lui viveva la sua vita senza più dover temere che egli potesse disturbarlo.

Inizialmente, però, Leo ebbe una leggera repulsione, essendosi ricordato solo in seguito di una frase pronunciata dall’albino: “Il mio nome non esiste da nessuna parte”. Un ringhiò di frustrazione sfuggì al suo controllo: infatti, le parole di Nicholas, non suonavano come false, sembrava proprio che stesse dicendo la verità, ma - come è usuale dire in questi casi - la speranza è l’ultima a morire.

Afferrò il suo telefonino ed iniziò a digitare il numero 113, portandosi poi il cellulare ad un orecchio in modo da ascoltare la risposta del poliziotto.

Gli squilli, inizialmente, rimbombarono nel vuoto, nel fittizio oblio del nulla, rimbalzando violentemente contro pareti inconsistenti fatte da sabbia e polvere.

Poi qualcuno rispose:
- Salve, polizia. - disse un probabile poliziotto, meccanicamente e velocemente.

- Vorrei denunciare una persona. - Affermò Leo, cercando di farsi coraggio, in modo da potersi liberare una volta per tutte di quel ragazzo fastidioso ed eccentrico. 

- Nome? - domandò la polizia.

- Nicholas Winter. - Pronunciò il suo nome in un sussurro, come un soffio di vento a Luglio. In quel momento le sue preoccupazioni riemersero dagli abissi, come il fantasma di un relitto affondato nel punto più oscuro dell’oceano più profondo del mondo: E se Nicholas avesse detto il vero? E se il suo nome non esistesse davvero? E se fosse stato tutto frutto della sua immaginazione?

- Via? - continuò a domandargli il poliziotto, volendo il punto preciso in cui si trovava l’abitazione di Nicholas per mandare (Laddove ce ne fosse stata la necessità) una pattuglia.

Illunis ||•Yaoi•||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora