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Londra, 23 marzo 4105 d.C

Con gli occhi fissi sulle strade trasandate di Londra, guidavo la Jeep cercando di non perdere la concentrazione, i pensieri rivolti alle parole che solo la sera prima Guren mi aveva rivolto. Al posto del passeggero Taro giocava con il suo braccialetto, lo sguardo annoiato puntato sul finestrino e la voglia palpabile di entrare in azione.

In un tempo passato e troppo lontano per essere ricordato Londra era stata una grande città, piena di vita, di storia e cultura. Secoli prima della diffusione del virus era stata uno dei centri più abitati d'Europa, così ricca di arte e monumenti da attirare turisti da tutto il mondo; purtroppo non ero nata negli anni giusti per godermi tutto ciò che una volta aveva da offrire. Ora Londra era triste, vuota e fredda, distrutta da una continua guerra per la sopravvivenza, macchiata di sangue, disabitata, pericolosa. Le strade, i palazzi, tutto ciò che c'era d'antico e bello stava cadendo a pezzi, lasciando dietro di sé solo un vago ricordo, una sfocata memoria dell'umanità che tempo addietro aveva abitato il mio stesso mondo.

Sospirai, parcheggiando sulla riva del Tamigi, vicino al corso d'acqua e in un posto nascosto dai cespugli selvaggi e dalle fronde degli alberi.

«Da qui a piedi» riferii al mio compagno, che altro non fece se non annuire e scendere dall'auto.

Dalla Jeep dietro la nostra scese il resto della squadra. Era una prassi che l'esercito seguiva meticolosamente quella delle due auto: se una fosse andata distrutta, la squadra in missione avrebbe potuto sempre usufruire dell'altra, avendo così la possibilità di salvarsi da eventuali pericoli. Non era qualcosa di strettamente necessario, certo, ma la presenza di un secondo mezzo aumentava le possibilità di sopravvivenza e questo era a quanto ci si affidava.

«Dovremmo avvicinarci di più, Nick. Siamo troppo lontani dall'obiettivo» fece notare Guren, sbattendo la portiera.

Rin lo affiancò nell'immediato e gli puntò un coltello contro il petto, un sorriso divertito e di scherno dipinto sul volto.
«Hai paura per caso?»

«Lascia stare il mio fratellino» si intromise Taro, afferrando Rin per i fianchi e caricandosela sulle spalle.

Assistere a quella scena di spensieratezza in un altro momento mi avrebbe fatto di certo sorridere, tuttavia la mia preoccupazione mi impediva di abbassare la guardia. L'ansia della missione mi logorava perché era una nobile che avremmo dovuto uccidere, ansia che non aveva intenzione alcuna di placarsi: nessuno dei nostri superiori ci aveva ufficialmente informati di ciò. Gli unici a conoscere la verità eravamo io e Guren, ma non potevamo avvertire i nostri compagni perché teoricamente l'informazione non ci apparteneva. Perché non avvisarci della natura dell'obiettivo? Perché nasconderci qualcosa di così importante? Nick sapeva a cosa stavamo andando incontro? Oppure anche lui ne era all'oscuro? Non aveva senso. Nulla aveva senso.

Sobbalzai quando una mano si poggiò sulla mia spalla. Guren mi guardava apprensivo, consapevole dei pensieri che mi stavano torturando.

«Cosa c'è?» mi chiese infatti, gli occhi verdi che scrutavano allarmati il mio viso.

«Dovremmo dire a Taro e Rin che si tratta di un Aurum»

«Non possiamo, lo sai»

«Lo so, ma ho un brutto presentimento» ammisi.

Guren sospirò, il braccio intorno le mie spalle che protettivo mi tirò verso di lui.

«Andrà bene, okay?»

Non feci in tempo a rispondere che Taro urlò i nostri nomi da lontano.
«Piccioncini, dobbiamo sbrigarci!»

Imbarazzati e sotto lo sguardo di rimprovero di Nick, attraversammo quindi la strada, raggiungendo gli altri.

Blood Bullet [IN REVISIONE] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora