Londra, 29 giugno 4105 d.C
Eccolo. Il fatidico giorno è arrivato. Non ho paura o almeno non ancora, sono giorni ormai che non vedo l'ora di dare un taglio a tutta questa storia.
Sospiro osservando il soffitto della mia cella. È così bianco che mi fa venire il mal di testa.
Mi rigiro nel lettino per l'ennesima volta nascondendomi sotto le leggere lenzuola per coprirmi gli occhi dalla luce del neon, perennemente accesso.
Ho il corpo dolorante, non riesco nemmeno ad alzarmi a causa dei lividi e delle ferite. Dopo quell'episodio le torture sono aumentate, diventando sempre più brutali. E chi se non il Capitano Campbell poteva occuparsi di me?
Quando sento lo scatto della serratura della porta mi giro svogliatamente, aspettandomi qualche comandante, pronto a rendermi la vita un inferno.
Invece da quella porta entra mia madre, la mia mamma.
Mi sembra di non vedere il suo viso da anni. È stravolto e dimagrito, quasi irriconoscibile. Due profonde occhiaie si trovano sotto i suoi occhi e le sue labbra sono più screpolate che mai.
Si precipita su di me, scoppiando a piangere sul giaciglio del mio letto. Non realizzo che si tratta di lei finché non afferra dolcemente il mio viso con le sue piccole mani delicate.
-Fa parte della tortura?- mormoro paralizzata, non riuscendo a credere ancora ai miei occhi.
È lei, è proprio mia madre. La riconosco dal suo profumo di fiori, lo stesso che si trova sui miei vestiti dopo che lei li ha lavati, lo stesso di cui profuma casa.
Alle mie parole si irrigidisce, avvolgendomi in un abbracciato disperato.
-Cosa avete fatto a mia figlia!?- urla rivolta alle telecamere con le lacrime che le rigano le guance.
-Eglantine, calmati- dice mio padre entrando anche lui nella stanza e raggiungendo mia mamma, per poi tranquillizzarla accarezzandole i capelli. Anche lui è leggermente cambiato: si è fatto crescere la barba e due profonde occhiaie gli contornano gli occhi.
-Daryl, guarda! Guarda cosa hanno fatto alla nostra bambina!- risponde mia madre scoppiando a piangere di nuovo tra le mie braccia.
-Mamma... Papà... perché siete qui?- domando in un sussurro, mentre mio padre si siede al mio fianco, trasmettendomi tutto il suo amore solo con una carezza.
-È vero che hai tradito l'esercito per un vampiro?-
-Si tratta di André, papà... tu per la mamma non lo avresti fatto?- distolgo lo sguardo un po' imbarazzata dal discorso, rivolgendolo verso la vetrata dove il comandante Howard osserva la scena impassibile. Gli lancio un'occhiataccia che lui fa finta di non vedere.
Mio padre, con la scusa di abbracciarmi, mi spinge contro il suo corpo avvicinando la sua testa alla mia, in modo tale da nascondersi dagli occhi indiscreti.
-Ricorda tesoro... l'amore supera qualsiasi legge-
Vedo la mamma sorridere, ha sentito, e non posso fare a meno di pensare che loro due, durante la leva, hanno condiviso davvero tanto e chissà, magari, combinato anche qualcosa di grosso. Mi piacerebbe avere una storia come quella dei miei genitori un giorno, una storia dove l'affetto, la fiducia e il rispetto reciproco sono alla base di tutto.
-Aaron?- chiedo poi, rosicchiandomi le unghie.
Papà si morde il labbro dispiaciuto, lasciando a mia madre il compito di informarmi. Prima di rispondermi prende un bel respiro, come se le facesse male il cuore dirmelo.
-Tuo fratello non vuole vederti... lui... cerca di capirlo, è solo un bambino-
Sento qualcosa incrinarsi nel petto, un dolore mai provato si fa spazio dentro di me. Stringo istintivamente la mia collana, limitandomi ad annuire. Fa male. Fa male sapere che il mio Ron, il mio piccolo, non vuole nemmeno salutarmi.
-Ditegli che gli voglio bene, nonostante tutto- sussurro deglutendo.
La porta si apre di nuovo, il mio Capitano resta fermo sulla soglia.
-Tempo scaduto- annuncia con il suo solito tono freddo e distaccato.
I miei genitori si alzano sconsolati ed io con loro. Li stringo un'ultima volta, beandomi del loro odore e della loro voce familiare, prima che escano, facendomi sentire nuovamente sola. Non lascio le loro figure finché non spariscono del tutto dalla mia vista e solo quando mi infilo nuovamente sotto le coperte, coprendomi fino alla testa, tiro fuori il piccolo pezzettino di carta che la mamma ha lasciato tra le mie mani.
-Ti fidi di me?- leggo.
Sorrido. Con sole quattro parole mi sento immediatamente meglio, con sole quattro parole capisco di non essere sola, capisco che non si sono dimenticati di me.
-Ho altra scelta?- bisbiglio scuotendo la testa commossa.
Quel bigliettino non è solo da parte dei mie genitori, quel bigliettino è di André. Sono le stesse parole che mi ha rivolto per la prima volta sul tetto della palestra prima di lanciarsi con me in braccio, sono le stesse parole che mi ha rivolto in più occasioni. E la mia risposta? La mia risposta non è mai cambiata.
-Certo che mi fido- tiro su con il naso per poi chiudere gli occhi, improvvisamente stanchi.
-Vienimi a prendere- dico prima di precipitare nell'ennesimo sogno senza senso.
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Blood Bullet [IN REVISIONE]
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