Londra, 1 aprile 4105 d.C
Sospiro per l'ennesima volta mentre infilo i miei anfibi ed indosso la mia giacca di pelle.
-Ciao mamma, ciao papà-
Saluto i miei genitori abbracciando prima uno e poi l'altro.
-Ti aspettiamo il mese prossimo- mi sussurra all'orecchio mio padre. Un modo per dire tante cose insieme, come "resta viva", "ti vogliamo bene". Quando mi stacco dall'abbraccio mi dedico completamente a Ron, che come sempre, mi osserva con le lacrime agli occhi.
-I soldati non piangono- gli ricordo sorridendo tristemente. Mi accovaccio davanti a lui prendendo poi le sue piccole manine tra le mie.
-Piangere è nella natura dell'uomo- mi risponde non riuscendo più a trattenersi. Lo stringo forte e cerco di farlo calmare accarezzandogli la testa.
-Ti devo dare una cosa- dice poi tra i singhiozzi. Lo seguo confusa nella nostra stanza e mi siedo sul letto mentre lui apre un cassettino.
-Chiudi gli occhi-
Obbedisco e aspetto per quale secondo. Quando li riapro tra le mie mani si trova una catenina di metallo, molto semplice, con un piccolo ciondolo a forma di cuore.
-Ron... grazie- balbetto colta alla sprovvista continuando a fissare la collana con sincera meraviglia.
-Ne ho una simile anch'io- dice mostrandomi la sua.
-Così anche se siamo lontani i nostri cuori saranno sempre vicini-
Alle sue parole non mi contengo più e scoppio a piangere disperatamente come una bambina. Mi butto tra le braccia del mio fratellino sommerso anche lui dalle sue lacrime e ci abbracciamo così forte che mi sembra di sentire le nostra ossa scricchiolare.
Non so con quale forza mi sono staccata da lui, non so con quale forza ho salutato nuovamente i miei genitori, non so con quale forza sono uscita da casa mia. Cammino a testa bassa, distrattamente, senza guardarmi intorno. Mi rendo conto di essere arrivata davanti al cancello che divide la zona militare da quella civile, solo quando un soldato, di cui non ricordo neanche il nome, mi saluta facendomi poi passare.
Noto Nick poco più avanti e mi affretto a raggiungerlo.
-Naomi, come stai?-
-Meglio dai, tu?-
Una bugia. Una bugia di cui siamo a conoscenza entrambi.
-Bene. Cambiati in fretta, il comandante ci aspetta nella sala del settore B2-
Annuisco per poi salutarlo e avviarmi verso i dormitori. Non ho mai capito perché il mio caposquadra non chiami suo fratello per nome. È qualcosa che proprio non riesco a concepire. Comprendo che il Comandante Howard è il nostro Capitano, ma sono legami di sangue quelli che legano loro due. Anche in famiglia si portano rispetto, si rivolgono tra loro, in questo modo?
Quando arrivo nella camera che divido con Rin, mi rendo conto che la mia compagna di stanza non c'è.
Sospiro e mi affretto ad indossare la mia divisa militare, nascondendo per bene la collanina che Ron mi ha regalato. Non potrei tenerla, ma non mi importa. Non ho intenzione di separarmene.
Raccolgo i capelli in una treccia, con l'obiettivo di domarli e metterli in ordine. Fallisco miseramente, ma non avendo molto tempo a disposizione, decido di rinunciarci e lasciar perdere. Sospiro e infilo i miei anfibi per poi correre verso il settore B2.
Sono abbastanza confusa riguardo il luogo di incontro. La zona militare si divide in cinque settori, che si dividono a loro volta in ambienti più piccoli che sono appunto numerati.
Il settore A è quello in cui vengono affidate le missioni e in cui si trova il cancello principale per uscire dalla zona sicura, il settore B è il luogo in cui avvengono le riunioni, in cui i nostri superiori prendono decisioni, nel settore C si trovano gli alloggi delle famiglie dell'esercito più importanti, in quello D i dormitori femminili e maschili di noi soldati, e infine nel settore E si trovano le varie palestre in cui i militari si allenano e quelle in cui si inizia e termina l'addestramento.
Pensavo che una volta tornati a lavoro io e la mia squadra avremmo ripreso subito con le missioni, invece se ci hanno chiamato nel settore B2 deve esserci una questione urgente da risolvere.
-Comandante- faccio un cenno con il capo mentre mi siedo al mio posto.
Come al solito sono l'ultima ad essere arrivata. Cerco lo sguardo di Guren, che si trova proprio di fronte a me, ma che mi ignora come se niente fosse. Lo continuo a fissare insistentemente. So bene che è a conoscenza del fatto che sto cercando di avere un contatto con lui. Lo vedo da come si stacca le pellicine delle unghie, gesto abituale di quando è nervoso o si trova in difficoltà. Mi arrendo solo quando Nick mi poggia una mano sulla spalla e scuote la testa. È l'unico che sembra volere avere qualcosa a che fare ancora con me. Guren mi ignora, fa finta che io non esista, mentre Rin mi fissa colma di una rabbia che non comprendo totalmente. Non riesco a sostenere i suoi occhi di fuoco.
-Mi incolpano, non è vero?- sussurro nell'orecchio al mio caposquadra.
Lui si irrigidisce e annuisce dispiaciuto. Adesso capisco la sua gentilezza nei miei confronti al funerale. Solo adesso. Prova pietà. Niente di più, niente di meno. Non è mai stato un ragazzo aperto nei confronti degli altri, non è mai stato empatico o altruista. No, tutto ciò lo era Taro, non lui. Nick è freddo, egoista in un certo senso. Non era da lui consolarmi. Non lo ha fatto da amico, il suo gesto non è nato da un sentimento di affetto, di dispiacere nei miei confronti. Il suo gesto è nato dal fatto che è il nostro caposquadra ed era suo dovere farlo. Dovere, dovere, dovere. Conta solo l'esercito.
Sbuffo ed inizio a giocherellare con i miei capelli in attesa che il comandante dica qualcosa.
-Quindi? Perché siamo qui?- sbotta Rin. La pazienza non è mai stata un sua qualità.
Howard la fulmina con i suoi occhi glaciali, poi si schiarisce la voce ed inizia a parlare.
-Se siete qui c'è un motivo ben preciso. Come ben sapete adesso la vostra squadra è composta solo da quattro membri e quindi non può operare attivamente sul campo.-
Non un accenno su Taro, non una parola sul fatto che sia morto, sul fatto che ci abbia lasciato. Il dovere è messo al primo posto, mentre l'affetto, ancora una volta, passa in secondo piano. Dov'è l'umanità nelle sue parole? Noi soldati siamo davvero delle persone agli occhi dei Capitani, o solo delle pedine che prima o poi moriranno sul campo di battaglia? Le sue parole mi feriscono. Dovremmo combattere per la nostra umanità prima di tutto. La stessa umanità che ci distingue dalle bestie fuori dalle mura. Senza di quella non siamo niente. Senza di quella non siamo diversi.
-...Un nuovo compagno di squadra- mi rendo conto di essermi persa metà del discorso solo quando un ragazzo entra dalla porta.
Guren si alza di scatto dalla sedia, facendomi sobbalzare. Per una frazione di secondo i nostri occhi si incrociano. Leggo rabbia nel loro verde smeraldo, tuttavia non dice niente e con i pugni chiusi se ne va.
Poco dopo, seguendo il suo esempio, Rin fa la stessa identica cosa.
-Non si possono sostituire le persone in questo modo.-
Non posso essere più che d'accordo, eppure qualcosa mi frena, qualcosa non mi permette di seguire i miei due amici, gli stessi che adesso sembrano disprezzarmi.
-Che squadra unita- borbotta il nuovo arrivato.
Sento gli occhi di Howard sulla mia pelle, come se si aspettasse una reazione anche da parte mia. Reazione che però non arriva.
-Bene. Nick, Naomi occupatevene voi- detto ciò esce anche lui dalla stanza con fare autoritario.
-Vado a parlare con gli altri. Mostragli la zona militare. A dopo-
Guardo il mio caposquadra abbandonarmi e resto letteralmente sconvolta. Non me lo aspettavo anche da lui.
Alterno il mio sguardo dalla porta al ragazzo, dal ragazzo alla porta e mi ritrovo a balbettare come una scema.
-C...ciao-
Lui inizialmente mi guarda perplesso per poi sorridermi con dolcezza.
-Ciao- ricambia il mio timido saluto. Mi siedo nuovamente, stravolta e all'improvviso stanca.
-Mi dispiace... sei arrivato in un brutto momento-
-Ho notato-
Si siede al mio fianco e con la coda dell'occhio lo osservo incuriosita. È proprio bello. Non dimostra più di vent'anni. Il volto pallido, trasognato, è incorniciato da una massa di capelli neri spettinati. Gli occhi scuri fissano un punto nel vuoto e le mani grandi sono poste sulle gambe distese in un atteggiamento rilassato. Ha il naso dritto, gli zigomi alti e le mascelle pronunciate con un sottile strato di barba. Le labbra carnose sono schiuse in un sorriso tirato.
-Naomi, giusto?-
Annuisco.
-Sono André De Poitiers- si presenta porgendomi la mano. Mi costringo a sorridere e gliela stringo. Rabbrividisco da quanto è fredda.
-Non sei inglese-
-Sei la prima che ne accorge-
-Il nome non è di queste parti- mi giustifico io.
-E il tuo accento è particolare-
André si avvicina pericolosamente e mi scruta con i suoi occhi color della brace. Probabilmente sono arrossita per l'imbarazzo, ma non distolgo lo sguardo e non mi sposto neanche di un centimetro.
-Ed io che pensavo di averlo camuffato perfettamente-
-Mi dispiace deludere le tue aspettative-
Quando si allontana riprendo come per miracolo a respirare, tuttavia non distoglie lo sguardo, continua a studiarmi ed io faccio lo stesso, con però un'espressione confusa.
Cosa ci fa un francese a Londra?
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Blood Bullet [IN REVISIONE]
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