16-ALEX

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Quella notte non chiusi occhio. Eva mi aveva baciato. Avevo sentito le sue labbra sulle mie, il suo seno tra le mie mani, le sue cosce strette attorno a me. Non mi sembrava vero. Mi sdraiai sul letto e, nel buio, mi diedi pace da solo.

Quando la mattina seguente mi svegliai mi sentii da Dio. Mi feci una lunga doccia calda e mi accesi una sigaretta. Il fumo mi usciva dal naso mentre sceglievo cosa indossare. Mi voltai verso il letto e nella mente si riformò ciò che era accaduto diverse ore prima.

Cazzo, lei era stata lì e io non vedevo l'ora di riportarcela. Mi infilai i jeans, una maglia grigia e la giacca di pelle.

Mi fissai allo specchio e mi sistemai i capelli. Aprii la porta e mi diressi in quello di fronte.

Bussai e attesi qualche minuto prima di ricevere risposta. Michela mi fissava coi suoi occhi azzurri che avevano assunto un'espressione preoccupata. «Alex, ciao, che ci fai qui?», chiese con le porta socchiusa.

«Sono qui per vedere Eva.»

Michela abbassò lo sguardo e si passò la lingua sulle labbra. Sospirai. «Miky, fammi entrare, devo parlarle», l'implorai e, quando aprì meglio la porta, la superai.

«Dov'è?», chiesi fissando Michela e lei con un cenno del capo mi indicò la sua stanza. Bussai.

«Chi è?», chiese una voce impastata dalle lacrime.

«Sono io, Alex», risposi attendendo un invito.

La sentii tirare su col naso. «Vattene Alex, voglio restare sola», pianse ma io non mi mossi.

«No, io resto qui.» Mi sedetti a terra, appoggiato alla porta. Erano passati circa dieci minuti e lei ancora niente. Non mi voleva. «Eva, ti prego... ho bisogno di parlarti», ammisi con voce rotta.

Sentii la serratura scattare e quando entrai la trovai rannicchiata sotto le coperte. Mi dava la schiena. «Cosa vuoi?», mormorò.

Mi sedetti sul materasso. «Te», risposi semplicemente.

Eva si voltò lentamente e mi guardò.

Aveva i capelli spettinati e gli occhi gonfi. Era adorabile ma vederla così mi faceva star male. Allungai una mano e le scostai i capelli dalla fronte.

«Non credo che sia possibile», disse con la voce rotta per le lacrime.

«Perché?»

Eva si rannicchiò ancora di più. Io mi tolsi le scarpe, alzai il copriletto e mi sdraiai accanto a lei. «Cosa fai?», esclamò terrorizzata d'un tratto, girandosi dalla parte opposta.

«Ti abbraccio», dissi avvicinandomi a lei. «Ti bacio», confermai posando le labbra sul suo collo. «...Ti voglio tutta per me.»

Sospirò e si strinse a me. «Sarebbe bello, ma non so se voglio che accada», ammise e poi mi guardò da sopra la spalla. «Io sono innamorata di Francesco.»

In quel momento realizzai cosa avrei dovuto fare: farla innamorare di me. «Lo so piccola, ma non sarà così per sempre», dissi incrociando le mie dita con le sue.

«Come fai ad esserne certo?», chiese voltandosi verso di me.

«Perché tu sei la mia anima gemella!», dissi abbracciandola ed entrambi ci addormentammo.


Qualche ora più tardi tornai al mio appartamento e chiamai Stefano per scusarmi. «Tranquillo, amico. Non è successo nulla, davvero. Io e Michela abbiamo parlato e risolto ma non lo farò più, chiaro?», disse ed io, ridendo, risposi che ero pienamente d'accordo.

Il pomeriggio passò in fretta al garage. Le prove erano importantissime dato che il concerto sarebbe stato tra soli tre dannatissimi giorni.


La sera rientrai a casa stanco morto e decisi di ordinare del cibo d'asporto. Quando sentii il citofono dissi il piano ma, aprendo la porta, mi ritrovai Camilla invece dell'uomo delle consegne. Cosa cazzo ci faceva qui?

«Ciao Camy», balbettai.

Fece un passo entrando nel mio appartamento. Era vestita con un abito nero molto scollato e dei tacchi vertiginosi.

«Ehm... cosa ci fai qui?», chiesi grattandomi la nuca.

«Sono passata per vedere come stavi», rispose sfilandosi il cappotto.

Sbarrai gli occhi e deglutii. «Oh, che carina che sei, ma come vedi sto bene, quindi...», dissi ma lei mi stava già toccando l'addome con una mano mentre l'altra era intenta ad esplorare altre parti del mio corpo.

La presi per le spalle e la scostai da me. «Avanti, Alex, lo so che mi vuoi», sussurrò scuotendo i capelli.

In quel momento citofonarono e scoprii che era il ragazzo delle consegne. Aprii per farlo salire.

«Senti, è appena arrivata la cena e io dovrei... mangiare», dissi, le parole che mi morirono in gola quando, voltandomi, la trovai in intimo.

«Perché non mangi me?», chiese con fare civettuolo.

Suonarono al campanello e io ringraziai il cielo per quel miracolo. Appena aprii mi resi conto di essere precipitato all'inferno.

Eva era davanti a me e mi fissava con un sorriso sul volto. «Ciao Alex, posso parlarti?»

Lanciai un occhio dietro di me mentre annuivo. Eva spostò lo sguardo verso il basso mentre si rigirava le dita. «Ho pensato molto a quello che mi hai detto stamattina.»

«Davvero? Esattamente a cosa?»

«Al fatto che vuoi stare con me e che io sono la tua anima gemella», disse contorcendosi la camicia.

«E cosa pensi?», chiesi interessatissimo.

«Ecco penso che...», disse quando si bloccò di colpo.

Sentii la voce di Camilla in lontananza e strinsi gli occhi sperando che lei non l'avesse udita. «Sbaglio oppure c'era la voce di una ragazza?»

Eva alzò lo sguardo e mi fissò. Aveva capito tutto.

«Ti giuro che non è come pensi», sussurrai ma, in quel momento, Camilla si fece avanti rivelando la sua mise.

Eva sgranò gli occhi fissando prima lei poi me. «Mi fai schifo!», urlò voltandosi.

La bloccai per un braccio. «Eva ti prego non è come...»

«Non è come sembra?», sbraitò. «Dio, e io che ero venuta qui... ero qui... sai che ti dico, non m'importa! Va pure a sbatterti la tua puttanella da quattro soldi perché con me hai chiuso, capito? È finita!», disse e, dopo di che, sbatté la sua porta.

Rimasi fuori osservando il legno, gli stipiti di quella barriera tra di noi. Mi voltai e vidi un ragazzo con una pizza in mano. Pagai e rientrai col mio bottino. «Te ne devi andare», dissi a Camilla senza guardarla.

Era sdraiata sul mio divano mentre dondolava le gambe.

«Ma io...»

«Ho detto che te ne devi andare!», urlai.

Camilla si alzò, raccolse le sue cose e se ne andò dopo avermi insultato. Mi sedetti sul divano, aprii il cartone della pizza e afferrai un trancio. Me lo portai alla bocca e masticai. Sapeva di cartone, ma la colpa era solo mia. Tutto aveva perso gusto nella mia vita, ogni cosa perché Eva mi odiava e, con questa consapevolezza, feci una cosa che non facevo da tantissimo tempo. Piansi.


ASPETTAVO SOLO TE ( 3-The Lovers Series)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora